Calmecac in Chapultepec
Una volta finito di mangiare, i membri del quintetto lasciarono l'hotel Majestic e si diressero al parcheggio dove avevano lasciato l'automobile. Quando fu loro consegnata, don Uriel si accorse che nel suo volkswagen sfoggiava una palese ammaccatura sul parafango destro. Immediatamente reclamò il danno, ma gli impiegati del parcheggio, mentendo con la più grande disinvoltura, risposero che l'automobile aveva già suddetto danno al momento del suo ingresso. Sapendo che non avrebbe perso il tempo in farlo, don Uriel minacciò nel modo più energico di denunciare nella stazione di polizia più vicina i danni subiti nel suo veicolo.
Dopo sistemarsi nell'ammaccato volkswagen, intrapresero la marcia. Regina era stanca oltre ogni limite. La spossante tensione derivata del notturno combattimento in cui distruggesse il carcere della Luna, il tempo che portava senza dormire e il cibo appena ingerito, produssero il loro effetto. La giovane espresse delle scuse per il fatto di dover dormire e chiese di essere svegliata all'arrivo alla casa dove aveva progettato di rimanere. Nel momento stesso in cui cominciava ad affondare nell'incoscienza, riuscì a percepire che il viale per il quale si muoveva la vettura coincideva con un'invisibile linea di energia che collegava El Zócalo con altro luogo che, di conseguenza, era anche sacro. Comprese che era un'importante scoperta, ma preferì lasciare per un altro giorno l'esatta valutazione di quella nuova scoperta. Istanti dopo dormiva profondamente.
Aprendo gli occhi, Regina si rese conto che era piuttosto buio e l'automobile era ferma. I Quattro Autentici Messicani erano ancora seduti al suo fianco in rispettoso silenzio. Concluse che doveva aver dormito più di due ore.
-Perché non mi hanno svegliato? -inquisì dispiaciuta.
-Non c'è nessuna fretta e volevamo che riposasse almeno un po' -rispose don Rafael.
-Perché non mi hanno svegliato? -inquisì dispiaciuta.
-Non c'è nessuna fretta e volevamo che riposasse almeno un po' -rispose don Rafael.
-È questo l'indirizzo? -domandò la giovane al tempo che leggeva un cartello con il nome della via -"Alumnos"- e osservava la peculiare costruzione nei pressi di dove erano parcheggiati. Era una casa di colore verde ed aspetto fatiscente, costeggiata di un corridoio nel quale cresceva un'enorme quantità di piante, ad un tale livello che queste sembravano essere sul punto di inghiottire le camere, le quali ostentavano nei suoi muri esterni una varia collezione di gabbie contenendo uccelli di diverse specie.
-No, non è questo -rispose don Uriel-. Ho parcheggiato qui perché non c'è posto più avanti. Dovrebbe essere a poche case da qui.
-Andiamo -disse Regina scendendo dall'automobile.
Il quintetto dovette solo camminare alcuni passi per trovare l'indirizzo che cercavano. Corrispondeva ad una vecchia casa a un piano, sulla cui facciata spiccava un grande cancello di legno. Bussarono alla porta ed arrivò una giovane donna di ovale viso. Menzionando Regina il nome della signora amica dei suoi genitori, l'interlocutrice rispose che detta signora era sua madre e la proprietaria della casa. Ancora stavano parlando quando apparve la signora in questione. Era una signora sulla sessantina, di gentili modi e magra figura che immediatamente li invitò ad entrare. Tutto in quella casa sembrava provenire da un museo di oggetti d'antiquariato. Mobili, quadri, lampade, tappetti e perfino semplici oggetti di uso comune, indicavano avere un'età considerevole.
La signora manifestò una grande sorpresa che avessero trascorso già venti anni dalla data in cui lei partecipasse al parto che desse nascita a Regina. Essendo interrogata sulla possibilità di concedere la casa in affitto, manifestò la sua conformità. Spiegò che la maggior parte del tempo lo passavano lei e sua figlia nella casa che avevano ai piedi dei vulcani; era stata una fortuna che le trovassero nella città poiché avevano programmato di tornare a Aldea de los Reyes il giorno successivo. Discussero un po' sull'importo dell'affitto -perché Regina insisteva a pagare un prezzo superiore a quello richiesto- e finalmente giunsero a un accordo.
I Quattro Autentici Messicani salutarono Regina impegnandosi a ritornare accompagnati dalle loro rispettive famiglie. Nel caso di don Uriel ciò era facile poiché viveva nella stessa città. Don Miguel abitava in un stato vicino e poteva essere di ritorno il giorno dopo. Per don Rafael e don Gabriel la questione era un po' più complicata; le loro case erano abbastanza lontane della capitale della Repubblica, nonostante, avevano stimato che sarebbero tornati in pochi giorni.
La mattina dopo Regina incontrò il figlio della padrona di casa; era un avvocato che stava per compiere trentatré anni, anche lui era stato presente due decenni fa nell'Aldea de los Reyes alla nascita della ora giovane Regina del Messico. Essendo presentati, Regina ricevé in istantanea percezione quale era il destino che corrispondeva all'esistenza di tale avvocato. Con sicura convinzione esclamò:
-Lei è "Il Testimone".
-Il testimone di che cosa? -domandò con stranezza l'appena presentato.
-Di quello che accadrà in Messico. Lei sarà l'incaricato di scrivere la fedele testimonianza dei prossimi eventi. Naturalmente può compiere o non questa missione, in questo risiede la sua libertà, ma è quel compito che li darà un senso alla sua vita.
-Francamente non la capisco. Che cosa accadrà in Messico? A quali eventi si riferisce?
-Per risponderle è necessaria una spiegazione mezzo complicata ma se le interessa posso cercare di darvela subito.
-Naturalmente lei ha stuzzicato la mia curiosità al massimo.
Seduti sui vecchi mobili francesi che integravano il soggiorno della casa, Regina e Il Testimone ebbero una prolungata conversazione. La giovane spiegò dettagliatamente la natura della trasognante influenza lunare, così come il fatto che detta influenza cesserebbe di operare nei prossimi sei mesi, di cui derivavano favorevoli condizioni per riuscire a risvegliare l'addormentata coscienza del paese. Alla fine della sua esposizione -vedendo che Il Testimone non solo non dava segni di prenderla per matta, ma perfino sembrava capire ed accettare quello che gli spiegava- Regina lo invitò ad agire come accompagnatore del quintetto formato da lei e i Quattro Autentici Messicani, cosa che li permetterebbe di essere in grado di presenziare tutto quello che sarebbe successo e, in base a ciò, elaborare posteriormente la testimonianza corrispondente.
Il Testimone non esitò in accettare la proposta che gli era fatta. Accordarono che nel suo caso non avrebbe bisogno di trasferirsi a vivere con i membri del quintetto poiché, avendo il suo domicilio in un quartiere vicino potrebbe facilmente incontrarsi giornalmente con loro.
A metà mattinata arrivò don Uriel accompagnato dalla moglie; avevano deciso di non portare i suoi quattro figli, ma lasciarli nella loro casa, la quale non era troppo lontana e pertanto potevano visitarla ogni tanto per rendersi conto di quanto in essa succedesse.
Il Testimone invitò a pranzo a casa sua sia Regina come don Uriel e sua moglie. Arrivando a detta casa furono presentati alla moglie del Testimone. Era una donna bella ed intelligente che si trovava nel terzo mese di gravidanza. La magnifica biblioteca che possedeva il matrimonio affascinò Regina. Conteneva diverse migliaia di libri e la maggior parte riguardavano questioni relative al Messico. La giovane selezionò circa un centinaio di volumi per prenderli in prestito.
Al termine del pranzo ritornarono alla casa di Calle Alumnos. Don Miguel era già tornato di Malinalco accompagnato da sua moglie e di uno dei suoi figli. Il Supremo Guardiano della Tradizione Nahuatl fece menzione che la casa dove stavano si trovava a poco più di un centinaio di metri da uno degli ingressi al Bosco di Chapultepec, il conosciuto comunemente con il nome "Las Flores" ["I Fiori"], a suo parere, risulterebbe interessante per la Regina del Messico conoscere quel posto ed essere presentata con chi aveva il compito di custodire quel luogo.
Il sempre più numeroso gruppo di accompagnatori di Regina si diresse insieme a questa al Bosco di Chapultepec. Man mano che si avvicinavano, la giovane fu notando quale fosse la vera natura di quel luogo. Dopo aver raggiunto le numerose bancarelle di fiori ubicate giusto all'ingresso del bosco, esclamò con stupore:
-Questo è un Bosco Sacro! Come è possibile che sia riuscito a sussistere se sta in mezzo alla città? Ma fanno entrare chiunque?
Le fazioni di don Miguel rifletterono contrastanti sentimenti di orgoglio e tristezza.
-Infatti -disse-, questo è un Bosco Sacro. Gli imperatori toltechi avevano l'abitudine di venire a pregare e digiunare. Il proprio Quetzalcóatl venne qui in diverse occasioni. Il popolo azteco rimase nelle sue vicinanze molti anni, si preparava a raggiungere uno stato di coscienza che gli permettesse localizzare il luogo dove si trovava l'allora nuovo centro del paese. Anni dopo, consolidato il potere tenochca, gli imperatori aztechi chiesero al suo amico Nezahualcóyotl, re di Texcoco che si occupassi a vita della cura ed abbellimento di tutti questi alberi e giardini. A quei tempi solamente alcuni erano autorizzati ad entrare in Chapultepec: l'imperatore, i sommi sacerdoti, i Cavalieri Aquile e i Cavalieri Tigri. Era un luogo di rispetto. Ora è diverso -concluse con tristezza-. Chiunque entra, lancia spazzatura, insozza e distrugge. Oramai non c'è rispetto.
La presenza di Regina e dei suoi amici, conversando all'ingresso del bosco, aveva attirato l'attenzione dei venditori di fiori sistemati in detto ingresso. Individui abituati a praticare di continuo una rapida valutazione della personalità dei suoi possibili clienti -per, in base ad essa, fissare il sempre variabile prezzo del suo prodotto- intuirono che quella bella giovane di particolare abbigliamento ed attraente sorriso era un essere veramente eccezionale. Senza necessità di mettersi d'accordo, in forma del tutto spontanea, i venditori si presentavano davanti a Regina per regalarle grossi mazzi di fiori delle più svariate specie. La Regina del Messico ringraziò compiaciuta l'inaspettata attenzione. Percorse le bancarelle e parlò con i suoi occupanti sulle molteplici questioni relative ai fiori, dai rispettivi luoghi di origine di ognuna di esse, fino alle diverse cure che richiedevano per prolungare la sua esistenza.
Dopo salutare le sue nuove amicizie, Regina e il suo gruppo si addentrarono nel bosco. Don Miguel li guidò prima di tutto fino ad un posto recintato in cui ingresso c'era un'insegna che diceva: Bagni di Moctezuma.
-Sicuramente qui si effettuavano le cerimonie di purificazione - indicò Regina.
-Esatto -confermò don Miguel-. Tutti quelli che entravano nel bosco realizzavano prima di tutto una cerimonia di purificazione che li puliva interiormente ed esteriormente.
Regina osservò attentamente il luogo, scrutando attraverso il graticcio della chiusa porta. C'era una sorta di stagno situato diversi metri sotto il livello del terreno e circondato da ben curati giardini. Dal fondo dallo stagno scorreva ancora un sottile filo d'acqua, ultima traccia del potente torrente di altri tempi.
-Credo che la prima cosa che dovremo fare sarà far lavorare di nuovo questo Bosco Sacro -bisbigliò Regina parlando con sé stessa.
Il gruppo proseguì addentrandosi nel bosco. Ben presto, nonostante la quasi totale assenza di vento, cominciò ad ascoltarsi un crescente suono risultante del continuo tintinnare delle branche degli alberi. Una febbrile eccitazione si manifestava dappertutto. Specialmente i giganteschi e millenari ahuehuetes agitavano senza sosta le sue grosse branche producendo in questo modo un indescrivibile frastuono.
-Il bosco ci sta dando il benvenuto -affermò Regina-. Tutti gli alberi mi chiedono che parli con l'Anziano Guerriero del Bosco. Voi sapete chi è?
-Deve essere il più antico degli ahuehuetes -disse don Miguel-. Era giustamente da lui dove volevo portarla. Sta proprio lì.
In effetti, a scarsa distanza si alzava un albero di enormi proporzioni. La elevata chioma del colosso sembrava perdersi nei cieli e il tronco era così ampio che si sarebbero richiesti varie persone con le braccia estese per poter circondarlo. La sua estrema antichità risultava evidente. Tutti i suoi rami erano coperti di fieno e la grossa corteccia sembrava essere pietrificata. Una piccola insegna indicava il nome con cui il popolo aveva battezzato al vecchio ahuehuete: El Sargento. A differenza degli altri alberi del bosco, El Sargento si manteneva senza alcun segno di agitazione. Né una sola delle sue branche si era mossa minimamente.
Regina osservò nel parapetto che circondava l'albero la figura incisa di una piccola lucertola. Alla sua mente apparve il nome in nahuatl di tale animaletto ("Cuetzpallin") così come il ricordo che sia il lama Tagdra Rimpoche come il Maestro Tsu, le avevano menzionato che esisteva la tradizione di segnalare certi luoghi particolarmente sacri con il disegno o l'effigie di una piccola lucertola. Comprese allora che si trovava nel posto più importante del bosco. Alle sue spalle si sono sentiti alcuni passi che si avvicinavano. Si voltò e contemplò la figura di un uomo di età avanzata e fazioni brune vestito con una sbiadita uniforme di colore blu. La superiore dignità che sprigionava da tutta la sua persona evidenziava che apparteneva allo scelto gruppo di coloro che hanno raggiunto un'elevata spiritualità.
Arrivando davanti a Regina l'anziano cadde in ginocchio di fronte ad essa. La stupita giovane cercò subito di alzarlo, ma non riuscendoci esclamò supplicante:
-Per favore, la prego si alzi.
-Per favore, la prego si alzi.
-Il signore è il Segreto Guardiano del Bosco -disse don Miguel mentre il menzionato si alzava-. Lavora qui come guardia forestale. È l'unica persona con vera autorità in questo luogo, l'unica che conosce tutti i suoi segreti.
Dopo balbettare alcune parole inintelligibili, il Segreto Guardiano del Bosco riuscì a dominare la traboccata emozione che intorpidiva la sua lingua. Con rispettoso accento espresse:
-Ringrazio Dio per avermi permesso di vivere questo giorno. Questo è il vostro bosco -affermò rivolgendosi a Regina e facendo con le braccia un ampio gesto che comprendeva tutto lo spazio circostante-. L'ha aspettata da molto tempo, ma ora vede arrivato il suo momento. Non è stata vana la sua attesa.
-El Sargento non ha mostrato segni di riconoscere la Regina del Messico -affermò don Miguel con voce che denotava un aperto rimprovero all'atteggiamento dell'albero.
- È molto vecchio e di sicuro ha sofferto molte delusioni -rispose in tono di giustificazione il Segreto Guardiano del Bosco -. Quello l'ha fatto diffidente, mai esprime i suoi sentimenti alle prime.
Regina saltò con un balzo sul parapetto che circondava l'albero ed arrivando vicino a questo, appoggiò le sue mani sulla ruvida corteccia. La voce della giovane risuonò insolitamente severa, censurando al gigantesco ahuehuete la sua paralizzante diffidenza. Il Messico stava per portare avanti una battaglia di trascendentali conseguenze. Come era possibile che uno dei suoi più valorosi guerrieri rimanesse indifferente? Forse non gli importava quello che potesse accadere al paese? Non sarebbe che il passare degli anni l'aveva cambiato e non possedeva già il suo antico coraggio? Forse la sua ostensibile sfiducia era solo una risorsa per occultare il fatto che era ormai un essere impaurito e pusillanime.
L'assordante chiasso prodotto dagli alberi quando scuotevano i suoi rami era stato sostituito per un attento silenzio. Solamente si percepiva una specie di mormorio prodotto dal lieve ma incessante movimento delle foglie, come se queste stessero trasmettendo di albero in albero le parole pronunciate da Regina, motivando negli abitanti del bosco il più completo stupore, perché mai nessuno si era diretto in così severi termini al suo massimo dirigente.
Regina finì di parlare ma mantenne le sue mani saldamente aderite all'albero, il quale ruppe all'improvviso il suo silenzio. Un brusco fremito che scorreva dalla più profonda delle sue radici alla cima della chioma sconvolse il corpo del gigante. Le sue enorme branche cominciarono a muoversi lasciando cadere sulla Regina del Messico una pioggia di foglie e grappoli di fieno. Ondate di emozione sgorgavano del vecchio ahuehuete. Era il nonno che aveva riconosciuto in una sconosciuta ragazzina alla nipote persa e cercava di riempirla di carezze da lungo tempo soffocate. Regina sorrideva, semicoperta dalla valanga di fieno e fogliame che cadeva su di lei.
L'intima comunione tra l'anziano e la giovane si prolungò un po'. Una volta conclusa, Regina si scrollò i multipli residui vegetali che la ricoprivano e ritornò con il suo gruppo.
-Credo che abbiamo un prezioso alleato -affermò-. El Sargento è il custode di una specie di invisibile porta dove inizia un sentiero che conduce allo Zócalo. Quel sentiero è come una linea di energia; percepii la sua esistenza la giornata di ieri, prima di addormentarmi in macchina. Ora capisco perché gli aztechi dovettero rimanere per molte generazioni alla periferia di Chapultepec. Mentre El Sargento non giudicò che erano degni di raggiungere il centro sacro del paese, non permise che i sacerdoti che li guidavano attraversassero la porta. Mi spiegò che finalmente un sacerdote di nome Tenoch riuscì a convincerlo. Quel sacerdote, insieme ad altri nove, attraversarono la porta ed iniziarono la marcia. Il paese li attendeva in un posto vicino. Uniti paese e dirigenti avanzarono seguendo la linea di energia fino ad arrivare al centro, lì trovarono all'aquila divorando il serpente e fondarono la città.
Gli accompagnatori di Regina ascoltavano assorti la narrazione di quella sconosciuta pagina della storica peregrinazione tenochca. La giovane proseguì:
-Proprio lo stesso dovremo fare noi. In ognuna delle due tappe del rituale oltrepasseremo primo la porta, poi ci incontreremo da qualche parte vicino con le trecentonovantaseimila persone che ci accompagneranno e insieme marceremo fino allo Zócalo, utilizzando lo stesso sentiero seguito dagli aztechi.
-Ha già dato El Sargento il permesso per attraversare la porta? -chiese don Miguel.
-Sì -rispose Regina-. Mi ha detto che possiamo oltrepassarla quante volte vogliamo. Credo che sarebbe opportuno che prima di eseguire il rituale, percorriamo varie volte la linea di energia che conduce allo Zócalo. Nessuno l'ha utilizzata da diversi secoli e deve essere molto sporca. Transitando per essa la puliremo e sarà pronta per l'uso quando andremo con tutte le altre persone. Non appena ritornino don Gabriel e don Rafael, cominceremo a camminare verso il Zócalo.
Sottolineando le sue prossime parole con un'enfasi speciale che rivelava l'importanza che a loro conferiva, Regina concluse:
-Questo giorno Chapultepec torna ad essere un Calmecac, un posto sacro per prepararsi al fine di adempiere un'elevata missione. In questo luogo, intorno all'Anziano Guerriero del Bosco, ci incontreremo giornalmente con tutte quelle persone che desiderino collaborare con noi nella missione di risvegliare al Messico.
Era scesa la notte e il bosco era popolato di ombre, voci e ricordi. Regina fu dell'opinione che era meglio ritirarsi e proseguire il giorno dopo il giro per Chapultepec. Nel salutare il Segreto Guardiano del Bosco, la giovane commentò:
-Mi ha detto El Sargento che ha appena assistito ad un evento che ha salvato l'esistenza stessa del Messico. A suo parere il paese non solo è addormentato, ma alcuni istanti fa stava già agonizzando. Mi parlò di alcuni cadetti che offrirono le loro vite in questo bosco per evitare che il Messico morisse. Tenendo conto la concezione del tempo che, a causa della sua età, deve avere El Sargento, immagino che l'evento a cui si riferisce non è appena successo alcuni istanti fa, come lui crede, ma forse sono passati più di cento anni. Lei cosa sa al riguardo?
Senza rispondere per un po', il Segreto Guardiano del Bosco fece un segno indicando loro di seguirlo. Camminarono alcuni metri ed arrivarono davanti a un piccolo monumento di pietra la cui estrema austerità gli conferiva un portamento di altezzosa dignità. Nonostante l'oscurità della notte, Regina riuscì a leggere nel monumento una data scolpita con grandi caratteri: " 13 settembre 1847."
-Che cosa succedè quel giorno? -inquisì.
-Come le ha detto El Sargento -rispose il vecchio guardia forestale-, il Messico agonizzava. Il governo di allora, come quello di adesso, dava già per morto al paese e solamente si interessava in mettere all'asta il cadavere. In realtà l'avevano venduto già e i vicini del nord vennero a prendere possesso di quello acquistato. Un esercito invasore arrivò al nostro Bosco Sacro. C'era lassù un collegio di coraggiosi ragazzi - l'anziano segnalò una costruzione di illuminata sagoma che si distaccava in cima alla piccola collina, in cui pendici si trovavano-. Il governo ordinò loro che uscissero fuggendo dalla sua scuola; non voleva che nessuno intralciasse l'avanzata degli invasori, ma essi dissero che non, che lì rimanevano per difendere il Messico.
La voce dell'anziano si ruppe di emozione nel pronunciare le ultime parole. Simulò un accesso di tosse per schiarirsi la gola e subito proseguì il suo racconto:
-Cominciò la battaglia. I cadetti erano un pugno e gli invasori un esercito di molte migliaia. Bombe e bombe cadevano nella scuola, ma i cadetti non si muovevano, seguivano sparo e sparo. Niente da fare, dissero paurosi gli invasori, non siamo riusciti ad ammazzarli da lontano, dovremo scontrarci con loro corpo a corpo. Cominciarono a salire. In mezzo à tutto questo arriva il colonnello Xicoténcatl con i suoi trecento soldati. Attaccarono come bestie agli invasori e li cominciarono a distruggere, ma erano pochi e gli altri, molti; poté più la quantità che il coraggio. Gli invasori continuarono a salire e raggiungerono la scuola.
Nella sua estrema semplicità, le parole del vecchio guarda forestale riuscivano a trasmettere ai suoi ascoltatori una realistica immagine dell'incidente che stava raccontando. Questi quasi potevano ascoltare le fucilate e il rimbombare degli stivali stranieri profanando il bosco. L'anziano continuò:
-E succedé allora una di quelle cose miracolose, di quelle che la gente che possono solo vedere con gli occhi del corpo non potranno mai capire. Gli invasori entrarono nel collegio ed ammazzarono i cadetti. Tutti morirono pronunciando il nome del Messico. Uno di essi giurò: 'no, alla mia bandiera non la toccano'. Sparò la sua ultima cartuccia, si arrotolò nella sua bandiera e si gettò dall'alto del suo collegio; cadde proprio qui. Questo fu quello che si vide, ma quello che non si vide fu quello che sentì il paese. Il Messico sentì vergogna. Addormentato e moribondo come si trovava, riuscì ad intravedere quello che stava succedendo. Di sicuro tutti gli ahuehuete del bosco glielo avevano detto indignati. Primo sentì molta vergogna, dopo molta rabbia. Ed il Messico reagì, non morì. Come poteva morire mentre ci fossero cadetti in grado di dare la vita per lui? Proprio così fu la storia -concluse-. Fu il sacrificio dei fanciulli quello che impedì che diventassimo una semplice stellina in più sulla bandiera dei vicini.