Capitolo II

L'ultimo e il primo


...nell'arte monumentale olmeca s'intravede la presa di 
potere di una dimensione che, al di fuori di Dio, 
solo l'uomo ha accesso: la dimensione sacra.
Gli uomini di pietra olmechi erano uomini sacri la cui 
monumentalità nasceva dall'impulso a stabilire 
e riflettere eternamente 
la consapevolezza dell'ordine cosmico.


BEATRIZ DE LA FUENTE,
Gli uomini di pietra

Il ritorno del passato

1

Il bambino che sognava di essere architetto


La luminosità del nuovo giorno, diffondendosi tra le tende del vecchio finestrone, svegliò improvvisamente il bambino. Con gesti rapidi Uriel iniziò ad alzarsi mentre si domandava perplesso perché sua madre non era venuta a svegliarlo. All'improvviso ricordò che non dovrebbe assistere quel giorno a scuola perché era sabato.

Piacevolmente soddisfatto davanti alla prospettiva di un giorno senza un'altra occupazione che quella di giocare con i suoi amici, Uriel si rannicchiò di nuovo nel letto disponendosi a dormire un altro bel po'. Appena iniziava a prendere sonno, quando il vicino picchiettare di numerose pietre gli fece reincorporarsi con un precipitoso sussulto. Incuriosito scese dal suo letto ed aprì la finestra per affacciarsi alla strada. Ben presto scoprì l'origine del rumore: un gruppo di muratori stava demolendo la facciata del pianterreno dell'edificio dove abitava.

L'iniziale curiosità del bambino divenne subito sensazione di paura, perché ciò che contemplava lo portò alla conclusione che quegli uomini si disponevano a demolire l'edificio del quartiere che lo vedesse nascere e nel quale aveva vissuto i dieci anni che integravano la sua esistenza. Dopo vestirsi in fretta, Uriel lasciò la sua minuscola stanza. L'altra camera —una stanza di regolari dimensioni che svolgeva ad un stesso tempo come cucina, sala da pranzo e camera da letto dei genitori del bambino— era vuota. Uriel pensò che sua madre doveva essersi andata al mercato e che suo padre si troverebbe svolgendo il suo quotidiano lavoro di postino. Fermamente determinato ad indagare su ciò che stava accadendo, uscì dall'abitazione e scese dalla scala che conduceva all'esterno.

Nell'angolo delle strade di Brasile e Bolivia —localizzate nella parte più antica della città di Messico— mezza dozzina di muratori demolivano il rivestimento del pianterreno del vecchio edificio esistente lì. I suoi piedi di porco e picconi facevano saltare ovunque grossi sassi, producendo una densa nuvola di polvere.

Con preoccupata voce Uriel domandò ai lavoratori se si proponevano far cadere l'intero quartiere. Le sue parole provocarono la risata dei muratori. Uno di essi rispose con tono ironico che quell'era proprio la loro intenzione, e che pensavano farlo così in fretta che di sicuro molte persone non riuscirebbero ad uscire e morrebbero schiacciate sotto le macerie che crollerebbero su di loro.

Il maistro che era a capo del lavoro, un anziano di sguardo gentile e viso crivellato da cicatrici di vaiolo, cercò di tranquillizzare allo spaventato Uriel, indicandogli che solo stavano abbattendo parte della facciata per poi sostituirla per un'altra più moderna.

Le spiegazioni dell'anziano rasserenarono lo spirito del bambino ma non esaurirono la sua curiosità. Nel corso della mattinata rimase assorto a guardare il lavoro dei muratori. Non solo respinse i ripetuti inviti dei suoi amici del quartiere per partecipare con loro ai soliti giochi, ma perfino sua madre, ritornando del mercato, dovette avvalersi di rimproveri e minacce per convincerlo a lasciare per un attimo il suo contemplativo atteggiamento e ad entrare nella casa ad ingerire la sua colazione.

In un primo momento molto lentamente, ma poi con crescente celerità, fu impadronendosi di Uriel l'estranea certezza che l'edificio era un essere vivente che soffriva intensamente a causa del lavoro che realizzavano su di esso i muratori. In contemporanea con tale certezza, il piccolo fu preda di un sentimento che sebbene era indefinibile a parole, era percepito per il suo spirito con perfetta chiarezza: presentì che tanto lui come la casa e tutto quanto lo circondava ed esisteva erano una sola e stessa cosa, e che pertanto, quello che stava succedendo all'edificio —come quanto potesse capitare a qualsiasi altro essere od oggetto— lo colpiva in maniera diretta e determinante.

Non appena finì la mattinata, i muratori sospesero i loro lavori, ma Uriel trovò impossibile muoversi dell'angolo in cui si trovava. I suoi paralizzati membri si rifiutavano ad obbedirgli e tutto il suo organismo tremava sotto gli effetti di una altissima febbre. Notando lo stato del bambino, il maistro prese tra le sue braccia il convulso corpicino e lo condusse al punto in cui si trovava la madre del piccolo, la quale, profondamente allarmata, lo portò immediatamente alla casa di un medico che viveva ad appena uno isolato di distanza.

Dopo aver esaminato ad Uriel —e non riuscendo a trovare la causa della febbre— il dottore optò  per prescrivere una gran varietà di farmaci. Nessuno dei medicinali prescritti produsse effetto alcuno, L'alta temperatura prevalente nel malato continuò invariata. Nel suo agitato sonno, la mente del bambino era preda di incredibili incubi, in essi dialogava largamente con tutti i tipi di edifici e vecchie case, ascoltando un stesso appello formulato con disperato tono: di non essere demoliti, perché ciò era ucciderli, né neanche di essere danneggiati con lavori che modificavano radicalmente la sua originale facciata e struttura.

Arrivando il lunedì i lavoratori riprenderono i loro lavori nell'edificio, ma prima di iniziare ai medesimi, il maistro muratore salì fino all'abitazione della famiglia di Uriel per inquisire sulla salute del ragazzino. Questo continuava senza dare alcun segno di miglioramento, tuttavia, la semplice presenza del visitatore sembrò infondergli un nuovo coraggio, perché superando la pesante letargia che lo dominava, riuscì a esporre con spezzate frasi le terrificanti immagini dei suoi sogni.

Dopo aver ascoltato la storia del bambino arrivò il turno all'anziano di rivelare le sue proprie esperienze. Con un discorso semplice, ma che rivelava un'intelligenza naturale ed una profonda sensibilità, manifestò che anche egli aveva presentito in molteplici occasioni che le case avevano sentimenti; il grande rammarico di tutta la sua esistenza era proprio quello di poter intuire le giuste esigenze delle costruzioni  e di non essere in grado di assisterle a causa della sua ignoranza, perché questo era la missione degli architetti, ma non di chiunque, bensì unicamente dei più saggi.

Conclusa la visita, il maistro andò verso dove l'attendevano i suoi operai per continuare il lavoro. Alle spalle lasciava  un bambino immerso in un vero torrente di riflessioni, sogni e progetti.

Nel corso di quella giornata, che doveva rivelarsi decisiva nella sua vita, il piccolo Uriel non solo riacquistò la salute in modo così inspiegabile come l'aveva persa, ma scoprì con precoce certezza la sua vera vocazione: sarebbe architetto e riuscirebbe a sistemare ogni tipo di edifici, prendendo sempre in considerazione i particolari sentimenti di ciascuno di essi.

La scoperta di Uriel rispetto alla sua latente vocazione di architetto non si tradursi in una passiva attesa della realizzazione dei suoi propositi per un lontano futuro. A partire dal che fosse il suo primo contatto con gli operai edili, il bambino cambiò radicalmente le sue abituali abitudini. Invece di dedicare i fine settimana e i periodi di vacanza a giocare con i suoi amici del quartiere, cominciò a lavorare come assistente di muratore sotto gli ordini del gentile maistro di viso butterato. In questo modo, iniziò dal basso nella pratica di uno dei mestieri più antichi, molti di cui strumenti, per la sua preziosa utilità al contempo che estrema semplicità, hanno perdurato inalterabili nel corso dei secoli. La pala e il piombino, come il "cucchiaio" e il piede di porco, cominciarono a rivelare al piccolo apprendista suoi segreti e il modo migliore di impiego.

Allo stesso tempo che incominciava nel pesante mestiere di muratore, Uriel cominciò anche ad evidenziare un vivo interesse per l'esercizio del disegno. La sua maestra di scuola notò le evidenti facoltà che possedeva per questa attività, e non essendo personalmente in grado di aiutarlo a svilupparle, cercò chi meglio potesse farlo. Un insegnante di disegno nelle scuole superiori  —nipote della maestra— accettò dare lezioni senza paga alcuna allo sbarbato aspirante ad architetto.

Entusiasmato per il lavoro che poteva darsi alle sue nuove abilità scoperte come disegnatore, Uriel trascorreva ore intere a copiare su carta le più diverse costruzioni. Nei suoi disegni potevano apprezzarsi con ogni chiarezza i diversi sentimenti che prevalevano in queste. C'erano case allegre e monumenti arroganti, come decrepiti edifici pletorici di ricordi e nostalgie. Il suo proprio quartiere, uno dei temi che più amava ripetere, rivelava in tutti i bozzetti una commovente afflizione. I lavori che con un zelo modernizzante erano stati eseguiti nella facciata del suo pianterreno rompevano tutta l'armonia dell'edificio, originando in questo un imbarazzo simile a quello di esibire un tumore nel viso.

Uriel si trovava frequentando il primo anno di liceo quando morì il maistro con chi lavorava fin da piccolo. Tanto i muratori come molti dei clienti dello scomparso, insistettero davanti al giovane affinché questo si facesse carico dei lavori che erano rimasti da eseguire, cioè, lo spinsero a diventare a sua volta maistro. Uriel si oppose in un primo momento, perché stimava che non aveva ancora abbastanza esperienza, ma poi finì per accettare, mettendo come unica ma inflessibile condizione, quella di effettuare lavori che implicassero il restauro di antiche costruzioni, i quali si effettuerebbero sempre rispettando scrupolosamente la struttura originaria.

Come è logico supporre, con tanto esclusivista approccio per quanto riguardava alla selezione di clienti questa non sarebbe mai molto folta. Erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale ed un piccolo settore della società messicana era in pieno boom economico. Avidi mercanti acquisivano dappertutto vecchie edificazioni, senza preoccuparsi minimamente per la sua antichità, in occasioni più volte centenarie, procedevano a demolirle per sostituirle per altre molto più redditizie. Davanti al criterio di simili persone, l'atteggiamento di un maistro muratore che insisteva a mantenere inalterabile tutto il lavoro del passato costituiva una ridicola e assurda pretesa.

C'era, tuttavia, qualcuno che era destinato a comprendere le finalità che determinavano la condotta di Uriel e che dovrebbe proporzionargli prezioso orientamento e assistenza: il signore Manuel Toussaint, massimo specialista di quel tempo in tutte le questioni relative all'arte coloniale messicano.

Il signore Toussaint veniva combattendo in Messico, da molto tempo, una disperata battaglia per evitare la distruzione della pregiata eredità coloniale nell'ambito architettonico. Per raggiungere questo obiettivo, scriveva di continuo libri ed articoli volti a dissipare la profonda ignoranza del grande pubblico su questi temi. Allo stesso modo promuoveva la creazione di fondazioni che si facessero carico di preservare i più importanti edifici coloniali esistenti nelle diverse regioni del paese.

La chiesa di Santo Domingo nella città del Messico, considerata come uno degli esempi più riusciti dello stile barocco, rischiava di crollare a causa dall'abbandono in cui era tenuta. Il signore Toussaint ottenne i fondi necessari per rispondere ai danni più urgenti e personalmente cominciò a dirigere le riparazioni. Il quartiere in cui abitava la famiglia di Uriel era situato a scarsi metri del tempio. Era in quel santuario dove Uriel era stato battezzato e nel quale ricevesse la sua prima comunione. In molti dei suoi disegni la chiesa appariva graziosamente rappresentata, esprimendo sempre l'amara tristezza che la disattenzione e l'abbandono generavano in essa. Non appena diedero inizio i lavori di restauro, Uriel si presentò in compagnia dei suoi operai ad offrire i suoi servizi, i quali furono assunti dal signore Toussaint.

Attraverso il normale scontro ai problemi che l'opera presentava, furono emergendo profondi legami di affetto tra il giovane maistro e il prestigioso specialista. Uriel scoprì molto presto che il signore Toussaint non era solamente una incredibile enciclopedia vivente su questioni coloniali, bensì qualcuno che possedeva anche la misteriosa facoltà di essere in grado di percepire i sentimenti degli edifici e in generale di tutte le cose considerate comunemente come inanimate. Dopo aver dato fine alla riparazione del tempio di Santo Domingo, il signore Toussaint continuò impiegando Uriel e i suoi operai in tutti i casi in cui riusciva ad ottenere donativi di istituzioni e privati per il restauro di alcuna costruzione coloniale.

Al termine dei suoi studi liceali Uriel entrò al primo anno di architettura nella Scuola di San Carlos dell'Università Nazionale Autonoma del Messico. Ben presto sarebbe considerato da insegnanti e coetanei come lo studente più notevole della generazione. La sua comprensione delle diverse discipline che si impartivano nelle classi era di tale grado che piuttosto sembrava stare ricordando dimenticati insegnamenti che imparando nuove conoscenze.

Il lavoro svolto dal signore Toussaint ricevette finalmente il riconoscimento delle autorità. Il generale Manuel Ávila Camacho, presidente della Repubblica (1940 -1946) gli concedé la nomina di direttore del Dipartimento di Monumenti Coloniali. Non appena prese possesso del suo carico il fiammante direttore designò Uriel come il suo principale assistente e iniziò con la sua efficace collaborazione una vasta gamma di attività. Vetusti edifici di tezontle e cava furono salvati del piccone grazie al suo opportuno intervento. Belle e rovinose chiese, esistenti nelle più remote regioni del paese, riacquistarono il suo perso dominio a seguito di accurati restauri. Senza vantarsene, il signore Toussaint e Uriel lasciarono scritte molte preziose pagine in quella sconosciuta storia che racconta la difesa dell'architettura coloniale messicana.

Il signore Toussaint non dubitava che il suo assistente era chiamato a sostituirlo, superandogli, come la massima autorità in materia di arte elaborato nel periodo coloniale. Tuttavia, l'interesse di Uriel per gli edifici coloniali cominciò ad essere soppiantato da un crescente sentimento di ammirazione per l'opera architettonica realizzata dalle antiche culture preispaniche. In un principio era stato solo l'evidente monumentalità di queste costruzioni che svegliasse il suo stupore, ma poi cominciò a rendersi conto che esisteva in esse un senso della proporzione e dell'armonia che le rendeva incomparabilmente superiore a quanto era stato costruito successivamente nel paese.

Ben presto l'interesse di Uriel per l'architettura preispanica si trasformò in un'autentica passione. Lo scopo di svelare il misterioso significato che contengono tutte le costruzioni di quell'epoca diventò nel principale obiettivo della sua esistenza. I trattati elaborati per presunti eruditi in questa materia non lo soddisfacevano per niente. In essi si affrontavano solamente aspetti puramente superficiali — come la minuziosa descrizione degli edifici— ma si lasciavano sempre incontaminate le questioni  in realtà trascendenti di così singolare architettura.

Fermamente deciso a decifrare i segreti che custodivano le rovine delle antiche culture messicane, Uriel tentò, come lo facesse con le costruzioni coloniali, elaborare artistici disegni che riflettessero non solo gli aspetti puramente esterni di dette rovine, ma anche la natura dei suoi sentimenti. Ben presto si rese conto della sua totale incapacità per raggiungere tale compito. I tratti su carta riproducevano con tecnica impeccabile la forma esterna dei monumenti, ma non rivelavano nulla dello spirito che li animava. In più di un'occasione, mentre girovagava per le diroccate città sacre, Uriel credette percepire in loro una sdegnosa indifferenza come unica risposta ai suoi disperati sforzi per raggiungere un barlume di quello che queste città erano state e avevano rappresentato nel passato.

Dopo l'ultimo anno di studi di architettura, Uriel presentò il suo esame professionale, laureandosi Summa Cum Laude. Tutti predissero un brillante futuro al nuovo professionista. Un'impresa edile di grande successo, specializzata in edificare lussuose case per nuovi ricchi in un fittizio stile coloniale, gli offrì impiego con un magnifico stipendio.

Uriel respinse l'allettante offerta, presentò le dimissioni nel Dipartimento di Monumenti Coloniali ed entrò all'Istituto di Antropologia e Storia della Segreteria di Educazione Pubblica, assumendo una posizione con meno paga di quella che aveva nel suo precedente lavoro, ma che invece gli permetteva di avere più tempo per dedicarlo a quello che veniva essendo sempre più la sua principale occupazione; percorrere più e più volte le rovine della millenaria città di Teotihuacan.

Come risultato delle sue incessanti visite all'antica capitale imperiale, Uriel aveva cominciato ad intuire che in quel luogo si manifestava alcuna estranea forma di energia, una sorta di magnetismo —per così dire —che incessantemente scorreva attraverso le imponenti costruzioni. Allo stesso modo fu sperimentando gradualmente che l'intensità di detta energia non era continua ma era soggetta a costanti variazioni, risultando impossibile potere determinare né le cause né il ritmo delle stesse. Più provava a districare i segreti della misteriosa città, più diventavano impenetrabili.

La domenica 21 marzo 1948 Uriel arrivò a Teotihuacan con le prime luci dell'alba. I raggi solari sembravano essere dotati quella mattina di una speciale forza, come se dominasse loro un nervoso affanno di affrettare la sua uscita per così poter contemplare quello che sarebbe successo sulla terra. Il giovane aveva con sé una borraccia ed un zaino di escursionista contenendo alcuni alimenti, perché desiderava rimanere nelle rovine fino al tardo pomeriggio. Era interessato a scoprire se tale data che segnava il primo equinozio dell'anno, era motivo di qualche particolare alterazione di energia nei monumenti in rovina.

Intorno a mezzogiorno il forte caldo costrinse Uriel ad interrompere il suo girovagare per tra le rovine. Con gesto pigro si sedette nel suolo ed estraendo la sua borraccia della custodia cominciò a bere in piccoli sorsi. Era ai piedi di una delle scalinate che portano alla cima della Piramide del Sole. Alcuni turisti salivano e scendevano per le scale ridendo e chiacchierando. Tre soggetti di marcati lineamenti indigeni cominciarono a salire con tranquilla andatura. Improvvisamente, l'enorme massa della piramide cominciò a vibrare e a tremare. Lo scontro di molte migliaia di pietre produceva rumori impressionanti ai quali ben presto si unirono le urla terrorizzate dei turisti.

Il precipitoso balzo di Uriel alzandosi fece rovesciare il liquido contenuto nella borraccia. La sua prima impressione fu quella di considerare che la terra stava essendo scossa per un forte terremoto, ma poi si rese conto che la Piramide del Sole era in realtà l' unica cosa che tremava, poiché tanto il suolo che pestava come i restanti monumenti mantenevano la sua abituale e naturale quiete.

Per alcuni istanti Uriel rimase statico, contemplando con stupore l'inspiegabile dondolio della gigantesca piramide, ma poi cominciò a percepire l'estranea sensazione che il monumento lo stava invitando a che tentasse di raggiungere il suo picco. Senza pensarci due volte, come se fosse stato in attesa di quel invito tutta la vita, il giovane cominciò a salire.

Uriel si trovava alla metà della piramide, quando le vibrazioni che la scuotevano cominciarono a trasformarsi in una tensione di indescrivibile intensità. Erano già le prime ondate di energia provenienti dal Cosmo che affluivano attratte dalla suzione che faceva lo strumento creato dagli antichi messicani per l'uso corretto delle forze celesti.

L'insopportabile tensione impedì Uriel di continuare a salire. Il suo organismo rimase paralizzato, con il corpo irrigidito e il viso contorto a causa dello sforzo enorme che doveva fare per poter respirare. Angosciato comprese che rischiava di morire, perché gli sarebbe impossibile sopportare per molto tempo tale sforzo. Improvvisamente si prodursi nella cima del monumento una luminosa scintilla, come un corto circuito generato dall'unione di vari cavi ad alta tensione. Poi, tutto tornò di nuovo alla più completa normalità.

Riprendendo il perso controllo del suo organismo Uriel guardò intorno e notò che non era da solo. A scarsa distanza due giovani l'osservavano con la sorpresa ritratta nei suoi abbronzati volti. L'architetto fecce un saluto e cercò di avvicinarsi agli sconosciuti, ma questi si ritirarono con palese diffidenza. In quel momento si ascoltarono alcuni passi. Un uomo scendeva dall'alto e si avvicinava al luogo dove si trovavano.

Uriel si sentì preda a una forte emozione. Senza alcuna ragione apparente per questo ebbe il chiaro presentimento che stava per succedere un fatto che sarebbe per lui di trascendentale importanza. L'uomo che scendeva era già così vicino che poteva vedere chiaramente il suo viso, composto di tratti di una particolare fermezza, come se fossero stati scolpiti da una forte pressione esercitata su un materiale ad elevata durezza. Tutto in quel soggetto rivelava un'energia e volontà fuori dall'ordinario, dalla vigorosa elasticità dei suoi passi fino al potente e inquisitivo sguardo che si staccava dalle sue nere pupille. La semplicità del su abbigliamento, identico a quell'utilizzato dalla maggior parte dei contadini indigeni del centro del paese, contrastava con l'aria di maestosa dignità che evidenziava in ognuno dei suoi movimenti. La sua età sembrava un tanto difficile da individuare, ma oscillava intorno ai quarant'anni.

—Buon giorno —Uriel salutò, cercando di sembrare il più naturale possibile.

L'enigmatico personaggio non restituì il saluto. Il suo sguardo fisso su Uriel e questo ebbe l'impressione di essere esaminato da due potenti lenti di ingrandimento capaci di esaminare fino alla parte più profonda del suo essere.

— Chi è lei? —chiese in tono pungente al nuovo arrivato.

—Sono Uriel —disse il giovane mentre sentiva una gioia inspiegabile nel pronunciare il suo nome, come se il fatto di chiamarsi così gli concedesse speciali diritti.

—E cos'è che vuole? —interrogò di nuovo il misterioso individuo di gravi lineamenti.

Nel più profondo del suo essere, Uriel sentì la presenza di una forte e strana forza, un po' come l'improvviso risveglio di una seconda personalità che aveva atteso paziente la formulazione di quella domanda per poter manifestarsi. Con voce che a malapena riconobbe come sua, rispose con ferma convinzione:

—Voglio essere un Autentico Messicano!

L'improvvisa confusione che si rifletté nello sguardo del suo interlocutore costituì per Uriel un sicuro segno che aveva formulato la risposta adeguata.

—Mi segua!

Sentendo questa singola ma significativa parola, Uriel ebbe la certezza che in quell'istante la sua vita iniziava un nuovo e superiore destino.