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Il ritorno del passato


Il 21 marzo 1954 non succedé niente che, a giudizio di Uriel, risultasse significativo. Accompagnato dalla moglie girovagò dalle prime ore per Catemaco, Santiago e San Andrés Tuxtla. Il paesaggio era eccezionalmente bello. Acqua, cielo e selva si combinavano in varie proporzioni per offrire ovunque quadri di insuperabile colorito. Le ore passarono senza che si verificasse nessun fatto di considerazione. Arrivando la notte la coppia andò alla pensione dove alloggiava, situata nella periferia di San Andrés. Le stelle gareggiavano con le lucciole nel loro tentativo di illuminare strade prive di illuminazione. Un vecchio mendicante che era all'ingresso della pensione ringraziò loro doverosamente per la moneta di argento di venticinque centesimi che gli avevano dato.

Diede inizio una lunga e paziente attesa. Fortunatamente per Uriel le sue tre esperienze precedenti gli avevano dato discernimento più che sufficiente per evitare di confondersi con ingannevoli miraggi. Nella regione abbondavano stregoni e alcuni di essi possedevano innegabili poteri. Non era questo quello che l'architetto cercava, sapeva già che Autentica Messicanità ed elevata spiritualità sono sinonimi. Se esisteva un olmeca —e tutto indicava che almeno sei anni prima viveva ancora uno, perché era stato presente nella trascendentale riunione di Teotihuacan— non poteva trattarsi di un semplice stregone, bensì di un essere superiore in ogni senso della parola.

Uriel e sua moglie si adattarono rapidamente a vivere in Los Tuxtlas. Affittarono in San Andrés una casa e l'architetto si dedicò a eseguire i semplici lavori che normalmente si richiedono in materia di costruzione in piccoli villaggi. Elena cominciò a portare la contabilità e gli affari amministrativi di modesti commerci. Non guadagnavano molto, ma sì quanto basta per vivere senza difficoltà economiche.

Il 21 giugno 1954 è nato il primo figlio del matrimonio. Era una bambina e decisero che porterebbe lo stesso nome di sua madre. Quel giorno, lasciando Uriel il sanatorio, andando verso casa sua ad assaggiare qualche nutrimento, incontrò in strada lo stesso vecchio mendicante che spesso vedeva dal suo arrivo in paese. Cercò nelle sue tasche e non portava nessuna moneta da dargli.

—Tenga, non avrò più bisogno di questi— disse Uriel al tempo che consegnava all'anziano una scatola dei famosi sigari di San Andrés, la stessa che aveva comprato alcuni giorni prima in previsione che l'essere che stava per arrivare fosse bambino e avesse, tenendo conto la tradizione, che regalare sigari a coloro che li visitassero nel sanatorio.

L'anziano espresse la sua gratitudine con la stessa effusione che manifestava sempre persino dalla più bassa elemosina che riceveva. Uriel proseguì la sua strada senza rendersi conto che il mendicante gli seguiva i passi. L'architetto era così felice che desiderava mettersi a cantare. A sua memoria è venuto un ritornello che utilizzano i danzanti concheros nelle loro veglie e che lui aveva imparato quando si esercitava in tali danze:

Alla battaglia mio generale 
lei che indossa sua bella luce 
 la condivida in quattro metà 
per formare molto bene la croce

Uriel si fermò di colpo senza poter credere quello che stava sentendo. Lui aveva solo ricordato mentalmente la canzone, ma allo stesso tempo qualcuno aveva cominciato a cantarla con forte voce alle sue spalle. Si girò di scatto. Di fronte a lui stava l'anziano mendicante, il suo volto e tutta la sua figura sembravano trasfigurati. Era la rappresentazione stessa della dignità e il potere. C'era in lui un aspetto di immemorabile antichità che lo assomigliava alle grandi sculture olmeche. Quando smise di cantare, l'anziano affermò:

—Lei possiede già la sua luce ma non può condividerla ancora. È riuscito ad intagliare tre tronchi, gli manca solo uno in più per formare la croce.

Emozionato come mai lo è stato in vita sua, Uriel abbracciò il mendicante. Non solo sapeva che si trovava davanti al Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca, sapeva anche, con quella certezza profonda che si raggiunge pochissime volte nel corso dell'esistenza,  che quell'era la tradizione che gli corrispondeva.
Il Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca viveva da solo in una capanna, situata in un appartato paraggio accanto alla Laguna Encantada. Nessuno sapeva niente di lui, nemmeno il suo nome. Era soltanto conosciuto da un soprannome. "Il Chaneque." La sua età era molto avanzata, di sicuro superiore agli ottanta anni. Dal primo giorno della presa in carico di Uriel per introdurlo nel sentiero sotto sua custodia, gli comunicò importanti rivelazioni:

—Io sono l'ultimo degli antichi olmechi e lei sarà il primo dei nuovi —sentenziò con tono fermo. —Con me si estinguerà un lignaggio che diede inizio millenni fa, quando il Messico si svegliò da un lungo sonno simile all'attuale e ricominciò il compito che gli è proprio di creare prodigiose culture. La nostra fu la prima di un nuovo ciclo. Con lei darà inizio un altro lignaggio di olmechi. Loro saranno i creatori della prima cultura del ciclo che sta per iniziare. Questo succederà quando l'imperatore ritorni e risvegli il Messico.

Tutte le mattine Uriel arrivava con l'alba alla capanna dell'anziano. Lì, contemplando l'incessante spreco di luce e colore che dava prova il paesaggio, riceveva giorno per giorno preziosi insegnamenti, i quali potevano rimanere compresi in una sola parola: "tacere." L'enorme e sconosciuto potere del silenzio era gestito con singolare destrezza per "il Chaneque." Uriel non aveva mai, neanche immaginato, l'armonico equilibrio che può essere raggiunto tra le varie forze che interagiscono nell'Universo quando si esercita su di esse il silenzio. L'ultimo degli olmeca era convinto che quella sarebbe proprio la potente arma che utilizzerebbe Cuauhtémoc al suo ritorno per risvegliare il Messico. Cioè, susciterebbe in primo luogo un silenzio così profondo che quando la voce dell'imperatore risuonasse ordinando alla sua nazione di risvegliare, questa percepirebbe subito il mandato che la convocava ad entrare di nuovo in azione.
Uriel e sua moglie rimasero sei anni nella regione di Los Tuxtlas. In quel periodo sono nati i quattro figli —due uomini e due donne— che avrebbero integrato la totalità della sua discendenza. Fu un tempo sfruttato al massimo. Passo dopo passo Uriel stava diventando un vero olmeca.

"Il Chaneque" era prossimo a morire. Compiuta la missione di trasmettere la sua preziosa eredità, niente sembrava legarlo già al piano materiale dell'esistenza. Uriel insistette nel portarlo a vivere a casa sua ma l'anziano si negò, desiderava morire ed essere sepolto nello stesso posto dove aveva abitato sempre. Uriel si trasferì a vivere alla capanna; questa era impressionante per la sua nudità assoluta. Non c'era in essa nessun mobile, né tanto meno un quadro o documento che rivelasse il minore attaccamento ad un ricordo di carattere personale. Solo gli utensili minimi indispensabili per la quotidiana sussistenza. Era una stanza alla quale non avrebbe opposto obiezione alcuna il più austero degli eremiti.

Il giorno della sua morte le rugose mani di "il Chaneque" accarezzarono lievemente il volto di Uriel. La voce del moribondo riacquistò per un attimo la sua forte e caratteristica sonorità. Pronunciò soltanto due parole:

—Don Uriel.

Il suddetto comprese che era già il Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca e di conseguenza aveva raggiunto la sempre difficile distinzione di diventare un Autentico Messicano.

Non ci fu festeggiamento alcuno per salutare Don Uriel, né questo poté offrire al suo maestro un altro dono che non fosse scavare la sua tomba nello stesso suolo della capanna. Finito il funerale, l'architetto distrusse e bruciò la capanna. Nessuna traccia segnerebbe il posto dove aveva vissuto l'ultimo degli antichi olmechi. Tutto questo accadde il 21 marzo 1960.
Don Uriel e sua moglie si stabilirono nella città del Messico. L'architetto ottenne di nuovo un lavoro nell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia. Aveva ora due progetti concreti da realizzare, ambedue di particolare importanza: il restauro di una parte di Teotihuacan e la costruzione di un museo che facesse conoscere la grandezza delle culture preispaniche messicane.

La città sacra di Teotihuacan, posto dove dovrebbe effettuarsi la riapparizione dell'Imperatore Cuauhtémoc, era diventata una vera e propria discarica. Il Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca decise che prima di tutto sarebbe necessario dare alla zona archeologica un aspetto decente, realizzando in essa un lavoro di pulizia. Studiando accuratamente Teotihuacan, localizzò immediatamente il posto esatto dove l'imperatore avrebbe condotto il suo decisivo incontro. Sarebbe nella Piramide della Luna, prodigioso strumento creato per mantenere sotto controllo la misteriosa influenza della Luna sulla psiche degli esseri umani, e in virtù della quale questi si trovano —senza essere consapevoli— in un stato di perpetua trasognatezza. Don Uriel osservò che il complesso meccanismo che costituisce la piramide era decomposto e diroccato. Occorreva, pertanto, procedere al suo completo restauro.

Anche se le antiche civiltà messicane erano oggetto di incessanti studi presso prestigiose istituzioni culturali di diverse parti del mondo, in Messico molti dei suoi abitanti avevano una così grande ignoranza, in quanto a dette civiltà, che tendevano a considerarle inferiori ad altre, specialmente alle europee. Don Uriel stimò che una buon modo per cominciare a combattere tale ignoranza sarebbe la costruzione di un grande museo, nel quale si esibissero alcune delle migliori opere delle civiltà che anticamente fiorirono in Messico.

La modesta carica che l'architetto svolgeva non gli permetteva di ordinare direttamente l'esecuzione di lavori di tanta importanza come quelle progettate. Nonostante, la sua profonda conoscenza della natura umana gli permise di trovare il modo di raggiungere i suoi scopi. Si avvalse per ciò di una sottile manipolazione della vanità di alcuni alti funzionari, facendoli sentire che la realizzazione delle opere proposte avrebbe dato loro un notevole prestigio e l'acquisizione di carichi ancora migliori che quelli che avevano. Senza la pretesa di apparire né ottenere riconoscimento alcuno, Don Uriel mise nelle mani degli alti funzionari ben dettagliati programmi in cui si risolvevano i vari problemi che esponeva l'avviamento di entrambi i progetti. Il presidente della Repubblica, lic. Adolfo López Mateos (1958-1964) accordò favorevolmente la richiesta di trasformare in realtà gli importanti progetti.

La ricostruzione di gran parte di Teotihuacan e l'edificazione del magnifico Museo Nazionale di Antropologia e Storia della città del Messico, furono opere gigantesche realizzate a tempo di record. Nei due casi coinvolgerono i migliori elementi umani del paese. Convocati per don Uriel accorsero a prestare la sua preziosa collaborazione tanto gli altri Autentici Messicani come un grande numero dei Segreti Guardiani delle zone archeologiche, le cui opinioni furono sempre prese in considerazione. Per quanto riguarda la partecipazione degli archeologi, storici ed antropologi ufficiali ebbe di tutto. Da individui gonfiati di presunzione e riempiti di false conoscenze, fino a persone di un vero valore, come la signora Laurette Séjourné.

Quando erano sul punto di concludere il restauro della Piramide della Luna si presentò un problema. Don Uriel si rese conto che di ricostruirsi integramente la parte superiore del monumento questo si riattiverebbe e comincerebbe a funzionare automaticamente, immagazzinando nel suo interno "magnetismo lunare." Teoricamente ciò poteva sembrare ideale, perché sarebbe soddisfatto di nuovo l'obiettivo per cui era stata costruita la piramide. In pratica la cosa non era così semplice. Al fine di controllare e mantenere in esecuzione la piramide ne avevano bisogno di almeno una dozzina di Autentici Messicani e in tutto il paese esistevano soltanto quattro. Questi fecero diverse prove. Si resero conto che bastava con salire all'unisono per il monumento affinché questo cominciasse a funzionare e a concentrare sul suo interno poderose e negative energie il cui controllo risultava loro impossibile, a grado tale che si vedevano costretti a scendere immediatamente, altrimenti correvano il rischio di rimanere intrappolati nella cima della piramide.

Tenuto conto delle circostanze don Uriel decise che la soluzione migliore era lasciare senza ricostruire la parte superiore del monumento, in questo modo la piramide non diventerebbe operativa a meno che i Quattro Autentici Messicani ascendessero simultaneamente per essa, cosa che non farebbero bensì fino alla sera prima della data in cui dovrebbe ritornare Cuauhtémoc.

Le ragioni per lasciare incompiuta la ricostruzione della Piramide della Luna non potevano essere esposte ai dirigenti ufficiali dei lavori che si effettuavano in Teotihuacan. Don Uriel era l'architetto responsabile del restauro del monumento e i suoi capi gli esortavano affinché concludesse quanto prima il suo lavoro. Il presidente della Repubblica aveva offerto assistere ad una cerimonia per commemorare il completamento dei lavori. Non si era fissato ancora la data della cerimonia, ma si supponeva che avrebbe luogo nella prima metà di ottobre di quell'anno 1964.

I presunti pretesti che sosteneva l'architetto per giustificare l'interruzione dei lavori al suo carico finirono per esasperare i suoi capi. Don Uriel fu cessato per "incompetente." La persona che lo sostituì cercò di completare al più presto il restauro. Gli operai si misero in sciopero sollecitando un sproporzionato aumento nei loro stipendi. Fu concesso loro quello che chiedevano ma anche così si rifiutarono di ricominciare loro lavori. Furono licenziati e assunsero nuovo personale. Don Uriel ed il Segreto Guardiano della zona archeologica avevano già organizzato una squadra di lavoratori che rovinerebbero di sera i lavori effettuati di giorno. Il loro intervento non fu necessario. Improvvisamente la visita del lic. Adolfo López Mateos fu fissata per il 14 settembre. Non c'era tempo per finire di ricostruire la cima della Piramide della Luna. Tutti gli operai che lavoravano nell'antica metropoli si dedicarono a concludere con certa urgenza altre opere che risultavano molto più visibili, come il Palazzo di Quetzalpapalotl ed il lastricato circuito costruito attorno ai principali monumenti.

La mattina del 14 settembre il presidente della Repubblica arrivò a bordo di un elicottero alla zona archeologica. L'accompagnavano vari membri del suo gabinetto. Ci fu una solenne cerimonia di inaugurazione, la quale diede inizio con l'esecuzione del poema sinfonico intitolato "Teotihuacan", diretto per il suo proprio autore il signore Blas Galindo. Lontani del tavolo di onore e confusi tra il numeroso pubblico che assisteva all'evento, i Quattro Autentici Messicani osservavano compiaciuti i favorevoli cambiamenti che presentava la millenaria città. Un'impeccabile pulizia prevaleva in tutta la zona. La Piramide della Luna —con la sua cima ancora senza restaurare— sembrava aspettare impaziente l'arrivo di quella che sarebbe una data fondamentale nella storia del Messico: 21 marzo 1968.
All'essere licenziato dal suo lavoro, don Uriel scelse di esercitare la sua professione in modo indipendente. Certo che non era interessato a raggiungere fama o ricchezza, bensì a ottenere solamente i redditi sufficienti per proporzionare alla sua famiglia un'esistenza modestamente dignitosa. La maggior parte del suo tempo cominciò a dedicarlo ad assimilare le competenze delle diverse tradizioni sviluppate in diversi parti del mondo. Lo stesso praticava yoga e karate che studiava greco antico. Ogni volta era più convinto della trascendentale importanza della sua epoca. L'umanità era alla fine di tutta una serie di cicli e, di conseguenza, all'inizio di una nuova serie di tappe storiche. Corrispondeva ai moderni olmechi l'elevata missione di dare origine a una nuova Età e Cultura, per cui dovevano raggiungere in primo luogo un'armonica sintesi della parte essenziale delle antiche conoscenze.

Man mano che si avvicinava l'attesa data, i Quattro Autentici Messicani si riunivano con più frequenza. In dette riunioni facevano ogni tipo di speculazioni su ciò che supponevano sarebbe accaduto quando l'imperatore riapparisse. Erano certi che tutto sarebbe cambiato radicalmente dal momento stesso del suo arrivo. La presenza di un essere dotato di una personalità incomparabilmente superiore causerebbe ovunque un profondo stupore. Avevano deciso che lo stesso giorno del suo ritorno accompagnerebbero Cuauhtémoc al Palazzo Nazionale per prendere possesso del comando che gli spettava di diritto.

Arrivò finalmente la vigilia della data tanto attesa. Nel tardo pomeriggio del martedì 20 marzo 1968, un volkswagen di colore verde oliva fece il suo arrivo a Teotihuacan. Alla guida dell'auto c'era don Uriel e venivano come passeggeri don Miguel, don Gabriel e don Rafael. Accompagnati dell'anziano Simon —Segreto Guardiano della zona archeologica— si incamminarono direttamente alla Piramide della Luna. Arrivando a questa, Simon si inginocchiò e cominciò a pregare. Con i volti tesi e gli occhi fiammeggianti i Quattro Autentici Messicani iniziarono la loro salita, marciando insieme per la ripida scalinata. Quando raggiunsero la cima il macchinario costruito per i saggi toltechi funzionava già a tutta la sua capacità. Ondate di "magnetismo lunare" si accumulavano all'interno del monumento. La forza di quell'energia negativa era terribile, molto superiore a quanto avevano immaginato coloro che si trovavano in quegli istanti al vertice della piramide. Compresero che sarebbe del tutto impossibile scendere se l'imperatore falliva nel suo confronto con le energie lunari, perché queste si stavano trasformando rapidamente in una specie di insuperabile barriera.

—Lui ce la farà —sentenziò con tono fermo don Miguel, cercando di dissipare la crescente preoccupazione che notava negli animi altrui e nel suo proprio.

Sedendosi nelle nude pietre, i Quattro Autentici Messicani cominciarono a suonare gli strumenti che portavano con sé: due tamburi e due conchiglie. Stimavano che in questo modo Cuauhtémoc saprebbe che non era da solo, almeno quattro esseri lo aspettavano desiderosi che raggiungesse la vittoria nel suo trascendentale combattimento.

Era buio e le tenebre pareggiavano in una sola e compatta oscurità ai diversi monumenti. Era una notte di un buio profondo e di una percettibile tensione nell'ambiente. L'incessante battere di un paio di tamburi, e lo sporadico suonare di due conchiglie, erano gli unici indizi che evidenziavano che il Messico era ancora vivo.