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Un nuovo Giulio Cesare


Il lic. Luis Echeverria Alvarez stava vivendo una delle tappe di maggiore intensità di lavoro e più piena di soddisfazioni di tutta la sua esistenza. Nel tardo pomeriggio del lunedì 22 luglio aveva ricevuto nel suo ufficio il Chueco, capo della banda degli porros soprannominati los Arañas. Il teppista era portatore di numerose contusioni e di allarmanti notizie: gli studenti dei tre centri educativi più prossimi all'edificio dove si trovava situata la Segreteria di Governo erano riusciti a rompere il controllo che su di essi esercitavano le bande degli porros.

Preda di un'incontrollabile paura che gli portava ad immaginare vociferanti moltitudini di studenti irrompendo nel suo ufficio, il lic. Echeverría aveva tentato di comunicarsi con il capo del Dipartimento del D.F. per coordinare tra i due la punizione che doveva applicarsi agli scolari. Dopo varie ore perse in infruttuosi tentativi di stabilire comunicazione, cominciò a sospettare che il reggente della città non desiderava parlare con lui. Sconcertato, si rigirava nervoso nel suo sedile senza sapere cosa fare, fino a che il Chueco -chi era rimasto nel frattempo sdraiato in uno dei sofà del privato del segretario- si offrì a tentare di localizzare al suo amico il Chupetas e indagare se questo, per essere sul libro paga del Dipartimento del D.F., sapeva qualcosa sul modo in cui pensava di reagire detta dipendenza davanti alla sfida sollevata dagli studenti.

Il titolare della Segreteria di Governo fornì al Chueco un'automobile e un autista per svolgere le loro indagini. Erano già le due del mattino quando il capo de los Arañas ritornò all'edificio di Bucareli. Non era da solo, lo accompagnava il dirigente dei Ciudadelos la cui fisionomia appariva ancora più rovinata di quella del suo collega. Il Chupetas portava con sé abbondante informazione e la fornì tutta. Con interrotto parlare ed intercalando due o tre parole altisonanti in ogni frase fu raccontando, davanti ad un ansioso segretario di Governo, il suo colloquio con l'aiutante del reggente della città, suo lungo aspettare nell'attesa di istruzioni e gli ordini che ricevesse finalmente del vicecapo della Polizia, consistenti in rivolgersi il giorno dopo alla Piazza della Cittadella e, una volta che i granaderos avessero colpito sufficientemente gli studenti, parlare con questi per far loro vedere la convenienza di continuare sotto il controllo degli porros.

Conclusa la sua relazione, il Chupetas si sentì autorizzato per dilungarsi abbordando un argomento che lo interessava oltremodo. Con evidente indignazione spiegò che il Dipartimento del D.F. stava commettendo una grave ingiustizia nei confronti della banda di porros che lui comandava, perché la paga la paga che gli assegnava era appena la metà di quanto ricevevano i teppisti al servizio della Segreteria di Governo. Non sarebbe possibile -domandò con implorante tono- che fosse questa Segreteria quella che in futuro utilizzasse i preziosi servizi dei Ciudadelos?

Il cervello del lic. Echeverria lavorava a pieno regime, cercando di formulare ogni tipo di deduzioni sulla base dell'informazione ricevuta. Lentamente, molto lentamente, fu elaborando un'ipotesi: forse quello che il reggente cercava era di risolvere da solo il conflitto studentesco, per guadagnare con ciò meriti davanti al presidente Diaz Ordaz e fare in modo che quest'ultimo lo designasse il suo successore.

A malincuore, il lic. Echeverria comprese che non c'era modo di evitare che fosse il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal chi si vantasse in questa occasione davanti al presidente. Trovò un po' di conforto risolvendo favorevolmente la richiesta che gli era fatta, nel senso di incorporare nella Segreteria al suo carico ai membri della banda dei Ciudadelos. Con vigorosa stretta di mano salutò il Chueco e il Chupetas, indicandogli di astenersi dal collaborare con la Polizia nell'operazione che questa realizzerebbe ore più tardi contro gli studenti.

Non rimaneva al lic. Echeverria altro che aspettare lo sviluppo degli eventi e così fece. Senza spogliarsi si coricò nel nero sofà del suo privato e lì dormì un paio di ore. Si alzò con le prime luci del giorno e dopo di radersi e prendere caffè,  aspettò che arrivasse all'edificio il direttore della Federale di Sicurezza. Non appena fu in sua presenza gli ordinò di inviare diversi agenti alla Piazza della Cittadella e vicino alla Preparatoria Isaac Ochoterena, con indicazioni secondo le quali non dovevano fare altro che osservare cosa succedesse ed informarlo immediatamente.

Le notizie non si fecero aspettare e ciascuna di loro furono riempendo di una crescente gioia il segretario di Governo. Seppe in primo luogo nel momento stesso in cui succedeva- del fallimento in cui diventò per la Polizia l'utilizzo di granate lacrimogene. Seppe dopo degli incessanti ma incapaci attacchi dei granaderos contro gli studenti. Confermò con i suoi propri occhi la informazione riguardante l'incendio di alcuni dei veicoli di trasporto delle forze della polizia, perché il fumo risultante di detto incendio si apprezzava facilmente dalle finestre del suo ufficio. Finalmente, non dovette sperare a che gli agenti che agivano come osservatori dell'operazione gli comunicassero che questa si era conclusa in un completo fallimento. Di fronte all'edificio della Segreteria di Governo sfilavano in vergognosa fuga gli sconfitti granaderos. Gruppi di giovani perseguivano i veicoli in fuga, lanciando pietre e disprezzo ai suoi occupanti.

Alla vista di così inaspettato spettacolo il lic. Echeverria non riuscì a controllare la sua allegria e grosse lacrime appannarono i suoi occhiali. Immediatamente tentò e riuscì a comunicarsi con il presidente della Repubblica. Fingendo un dispiaciuto tono di voce, riferì meticolosamente quello che stava succedendo nella capitale, sottolineando che la frustrata operazione della polizia era stata esclusiva competenza del capo del dipartimento del D.F., il quale si era rifiutato di rispondere le sue molteplici telefonate volte a raggiungere un'adeguato coordinamento tra i due funzionari per affrontare il problema.

Il lic. Echeverria poteva percepire, attraverso la distanza, la soffocata ira che si stava impossessando del presidente mentre ascoltava le notizie che gli comunicava. Con parole che non occultavano la sua rabbia, il lic. Diaz Ordaz manifestò che tutti i suoi collaboratori erano un branco di inetti, ai quali non poteva lasciare né un istante da soli senza che cominciassero a commettere ogni sorta di errori. Alla luce di quanto esposto, concluse dicendo al segretario di Governo che lo avrebbe chiamato dopo aver parlato con il reggente della città.

Non avevano trascorso né quindici minuti e già il lic. Echeverria ascoltava un'altra volta l'intonazione aspra ed ammaccata che caratterizzava il parlare del presidente della Repubblica. Quello che questo gli disse fu motivo di un senso di felicità mai provato. Il lic. Diaz Ordaz lo autorizzava affinché, d'accordo con il suo criterio, applicasse un'esemplare punizione agli studenti che avevano osato confrontarsi con le autorità. Con l'eccezione dell'esercito e del gruppo repressivo ancora in formazione dei Halcones, tutte le forze dell'ordine esistenti nella capitale del paese erano sotto il suo comando per tutto il tempo che richiedesse l'operazione. Il capo del dipartimento del D.F. era già avvertito di ciò e di sicuro lo chiamerebbe in breve per mettersi ai suoi ordini.

Una volta che smise di parlare con il presidente, il lic. Echeverria rimase per un lungo tempo senza poter muoversi, sopraffatto dalla gioia. Lo fece uscire dal suo sogno ad occhi aperti il roco suono dell'apparecchio intercomunicante di alti funzionari. Era il reggente della città chi chiamava. Non si degnò rispondergli, ma ordinò al suo segretario personale gli indicasse che, accompagnato dal vicecapo della Polizia Capitalina, doveva presentarsi alle sette di mattina del giorno successivo nella casa del segretario di Governo.

Cancellando tutti gli impegni presi per quel giorno, il lic. Echeverria si spostò alla sua residenza privata ubicata nel quartiere San Jeronimo della zona sud della città. L'accompagnavano i suoi più stretti collaboratori, così come una numerosa squadra di disegnatori. Prima di lasciare il suo ufficio diede istruzioni di convocare a diverse persone ad una colazione di lavoro che avrebbe luogo nella sua casa, alle sette di mattina del giorno dopo.

Una volta arrivato nel suo domicilio, il lic. Echeverria si allontanò di coloro che lo accompagnavano e si rinchiuse da solo nella sua piccola stanza. In questa c'erano solo una scrivania ed un vecchio armadio di enorme serratura. Con atteggiamento rispettoso, quasi solenne, il segretario di Governo aprì lentamente le pesanti porte del mobile lasciando allo scoperto il suo contenuto: diverse file di libri che vertevano sui grandi personaggi della storia. Inframmischiate, senza tener conto di divisioni di tempo e spazio, si trovavano le biografie di Napoleone ed Alessandro, di Annibale e Carlo Magno.

Rispecchiando nel suo viso sentimenti di rispetto, ammirazione e invidia, il lic. Echeverria fu esaminando con estrema attenzione molti dei libri. Prima contemplava attentamente la sua copertina e poi sfogliava velocemente le sue pagine, fermandosi soltanto ad osservare le illustrazioni. In realtà non aveva mai letto nessuno di quei libri, ma questi costituivano per lui una permanente fonte di ispirazione che nutriva le sue segrete ed enormi ambizioni di potere. Le opere riguardanti a Giulio Cesare sembravano esercitare sul padrone di quei libri una particolare attrazione. Nel vecchio guardaroba c'erano più di una ventina di volumi che vertevano sul famoso politico romano, i quali si vedevano già leggermente maltrattati dalla frequenza con cui si sfogliavano.

In questa occasione, il segretario di Governo selezionò una mezza dozzina di opere che contenevano abbondanti piani e diagrammi riguardanti ad alcune delle più rinomate battaglie di tutti i tempi. Dopo aver esaminato largamente tali piani e diagrammi, concluse fra sé e sé che si trovava in possibilità di sviluppare una strategia con cui vincere gli studenti in un prossimo confronto. Senza perdere più tempo, si diede pienamente al compito.
Il generale e laureato Alfonso Corona del Rosal stava attraversando una delle fasi più frustranti della sua lunga carriera politica. Nella mattina del martedì 23 luglio era rimasto tranquillamente nel suo ufficio, risolvendo i temi di routine e pienamente fiducioso che, da un momento all'altro, riceverebbe allettanti notizie rispetto alla batosta che i granaderos dovevano star infliggendo agli studenti. Non appena questo succedesse pensava di comunicarsi con il lic. Diaz Ordaz e informarlo dell'adeguata soluzione che aveva saputo dare all'incipiente conflitto.

Il reggente della città non dovette chiamare il presidente della Repubblica, ma fu questo che gli parlò dallo stato di Jalisco per dirgli quello che stava succedendo nella capitale del paese. Adirato, schioccando le sue parole come se fossero sonore sferzate, il primo mandatario informò il capo del Dipartimento del D.F. che i granaderos -massimo orgoglio delle forze della polizia- correvano in quegli istanti per le strade della città perseguitati per imberbi adolescenti. Lo informò inoltre di quale era stata la causa della sconfitta subita dai guardiani dell'ordine: le loro granate di gas lacrimogeni non erano esplose, e la ragione di questo non poteva essere altra che -finì il presidente nel parossismo del furore-  la voracità di coloro chi maneggiavano il bilancio della Polizia.

-Vuole che sospenda all'istante Mendiolea? -domandò il generale e lic.Corona del Rosal, cercando di deviare le ire presidenziali verso il capro espiatorio che stimò più propizio.

-No -rispose il presidente, aggiungendo con sarcastico tono-, so già che è un brigante, ma è l'unico che sa tenere a riga i delinquenti che ancora non sono entrati a lavorare nel governo. Sospende soltanto al responsabile degli acquisti.

Detto questo, il lic. Diaz Ordaz espresse poche parole che suonarono nell'orecchio del reggente completamente simili ad una sentenza di morte:

-Si metta in contatto nel giro di pochi minuti con il segretario di Governo, lui si farà carico di applicare la punizione adeguata a quei ragazzini turbolenti. Collabori con lui in tutto ciò che sia necessario.

-Così farò, signore presidente.

Triste e scoraggiato, il capo del Dipartimento del D.F. si affacciò a contemplare dalla finestra del suo ufficio l'anelata sagoma del Palazzo Nazionale. La centenaria costruzione rimaneva nel suo stesso posto; tuttavia, lo scoraggiato funzionario sentì che ora si trovava molto più lontana, completamente fuori della sua portata.
Erano esattamente le sette di mattina del mercoledì 24 luglio 1968 quando il reggente della città e il vicecapo della Polizia del D.F. entrarono nei ampi giardini della residenza del segretario di Governo. Un domestico li guidò fino al posto dove avrebbe luogo "la colazione di lavoro": una spianata dove c'era una dozzina di tavoli circolari, fiancheggiati per mobili rustici in cui si accomodava una giovanile folla. Gli sguardi di tutti i presenti conversero sui nuovi arrivati. I funzionari scelsero uno dei pochi tavoli che si trovavano ancora senza occupanti. Non appena presero posto, alcuni solleciti camerieri cominciarono a servirli: succo d'arancia, machaca con uovo, caffè e pane tostato.

-Chi sono quei tipi? -borbottò sottovoce il capo del Dipartimento del D.F.

-Sono i dirigenti della FENET1 e i capi delle bande di porros -rispose a bassa voce Mendiolea-. Ora mi spiego perché il Chupetas non era ieri nella Cittadella, l'avranno già comprato nell'ufficio del Governatore.

1 Federazione Nazionale di Studenti Tecnici

Il vicecapo della Polizia fissò il suo sguardo in un giovane da un tavolo vicino i cui arrossiti occhi e torbida espressione rivelava la marcata inclinazione all'ingestione di bevande alcoliche che desse origine al suo soprannome. Il giovane sostenne con aria di sfida lo sguardo del poliziotto, al tempo che una smorfia sarcastica si manifestava nel suo viso.

I commensali stavano finendo la colazione quando i camerieri cominciarono a collocare davanti a loro alcuni enormi e ben disegnati piani rappresentando diverse zone della città del Messico. In esse apparivano indicazioni simili a quelle che si impiegano nei documenti militari che si utilizzano per spiegare lo sviluppo di una battaglia. Non appena i camerieri finirono di sistemare i piani su alcuni grossi treppiedi di legno, è comparso il segretario di Governo.

Gioviale, allegro, senza dar segno alcuno di stanchezza nonostante di portare due notti praticamente senza dormire, il lic. Echeverria si mise a stringere la mano di ciascuno dei suoi ospiti. Iniziò il suo percorso attraverso i tavoli dirigendosi a quello che occupavano i due funzionari del Dipartimento del D.F. Strinse con forte abbraccio le spalle di questi, accompagnando il gesto con reiterate espressioni di gratitudine per la loro presenza alla riunione. Di seguito cercò di salutare per il suo nome o soprannome a ciascuno dei partecipanti, causando in questi un palese sconcerto dato che si sbagliò nella maggioranza dei casi. Così, trovandosi di fronte a José R. Cebreros Manjarrez, presidente della FENET, esclamò: "Come va, Apolonio, piacere di vederla." E stringendo la mano di Apolonio Damas Acosta, lo scambiò con il capo degli porros della zona di Tacubaya e lo salutò con un: "Questo è il mio Chafiras."

Conclusi i saluti, il segretario di Governo abbandonò il suo spensierato atteggiamento per sostituirlo per un'altro in estremo solenne. Con forte voce espose il motivo della riunione:

-Signori funzionari e giovani amici. Il signore presidente della repubblica mi ha affidato una delicata missione di trascendentale importanza il cui successo dipenderà della collaborazione che voi siate disposti a fornire. La stabilità del paese e la continuità della pace sociale di cui godiamo si trovano minacciate. Il nostro progresso non è frutto del caso, ma il risultato dell'adeguato controllo delle forze sociali che, nella libertà, esercita lo Stato. Non possiamo permettere che questo indispensabile controllo che realizza il governo, sul quale si sostenta l'esemplare organizzazione politica che abbiamo ottenuto, sia distrutto per l'incoscienza di una manciata di pseudo-studenti, manipolati per oscuri interessi provenienti di influenze straniere.

Le persone presenti alla colazione di lavoro manifestarono la loro piena approvazione a quello che ascoltavano attraverso una cascata di applausi. Il lic. Echeverria lasciò vedere un largo e compiaciuto sorriso. Scambiando il suo cerimonioso accento per un tono confidenziale, proseguì la sua dissertazione:

-Il prossimo venerdì realizzeremo un'operazione che ci permetterà di prendere due piccioni con una fava. Come voi sapete, è diventato già una tradizione tra coloro che cercano importare da fuori le soluzioni ai nostri problemi, tra coloro chi sottovalutano la nostra Rivoluzione ed ammirano quella di altri paesi, festeggiare l'inizio della Rivoluzione Cubana attraverso una manifestazione che si svolge il 26 luglio di ogni anno, seguendo sempre lo stesso percorso.

Nel dire questo, il segretario di Governo segnalò con una corta bacchetta diversi punti in uno dei piani che riproducevano il settore centrale della città del Messico: la fonte denominata "Salto del Agua", situata nella via di Arcos de Belén, il largo viale  Avenida de San Juan de Letrán un tratto del viale Avenida Juárez ed il monumento al Benemerito, dello stesso nome, situato ad un fianco della Alameda Centrale.

Allontanandosi alcuni passi dal primo diagramma, il relatore arrivò accanto ad un altro nel quale era stata disegnata tutta la zona della città prossima alla Piazza della Cittadella. Indicando questa nel disegno affermò con voce che mostrava un certo rimprovero:

-Il giorno di ieri le forze della polizia che agirono in questo luogo non contarono con i mezzi necessari per svolgere debitamente il loro compito di ristabilire l'ordine. Ho ordinato già, come una questione di urgenza, l'acquisto negli Stati Uniti di una forte dotazione delle migliori granate lacrimogene; arriveranno via aerea domani e potranno essere utilizzate nell'operazione che abbiamo pianificato.

Sia il reggente della città come il vicecapo della Polizia tentarono di rimanere indifferenti agli sguardi accusatori che gli lanciavano tutti i partecipanti alla riunione. Il lic. Echeverria non poté occultare il piacere che gli produceva la mortificazione dei suoi colleghi ed abbozzò un ampio sorriso prima di continuare.

-I dirigenti della Federazione Nazionale di Studenti Tecnici sono i legittimi rappresentanti degli studenti dell'Istituto Politecnico. Oggi stesso dovranno realizzare assemblee in tutte le loro scuole, in esse convocheranno una manifestazione di protesta contro l'attacco realizzato ieri per la polizia alla Vocacional Cinque. La manifestazione si effettuerà nel pomeriggio del prossimo venerdì, seguendo questo percorso.

Il segretario di Governo segnalò con la sua bacchetta nel piano il percorso della proiettata manifestazione: partendo dalla  Piazza della Cittadella arriverebbe fino il Casco de Santo Tomas, zona della città dove sono ubicate le più antiche scuole del Politecnico.

Riprendendo il filo della sua esposizione, proseguì:

-L'obiettivo di questa manifestazione sarà trasmettere in termini espliciti, con estrema chiarezza, senza ombra di dubbio per nessuno, che quando gli studenti canalizzano le loro proteste per il mezzo adeguato, attraverso i suoi organi istituzionali di rappresentazione, le autorità governative sanno rispettare quelle proteste. Nessuno degli studenti che si presenti a questa manifestazione, e che si adatti in essa alle direttrici dei suoi autentici dirigenti, soffrirà alcun danno. Invece coloro che si lascino sedurre dalla tentazione di agire in modo anarchico, disobbedendo le istruzioni dei loro legittimi rappresentanti, riceveranno la meritata punizione alla sua indisciplina.

Espressioni di profonda stranezza si lasciavano vedere nei visi dei dirigenti della FENET e delle bande di porros, nessuno dei quali riusciva a capire come si potrebbe ottenere in una manifestazione separare gli studenti mansueti di quelli che non lo erano e infliggere una punizione esemplare a questi ultimi. Piacevolmente compiaciuto dall'attesa che generavano le sue parole, il segretario di Governo fece una lunga pausa prima di continuare:

-Questa manifestazione, come l'altra, avrà il dovuto permesso delle autorità. Ma ci sarà una terza che si realizzerà senza nessun permesso, facendo aperta ostentazione di un'apparente sfida al governo. In realtà -la voce del lic.Echeverria diventò quasi un sussurro, rimarcando così che stava proporzionando ai loro uditori informazione altamente riservata- coloro chi promuoveranno questa terza manifestazione saranno agenti della Federale di Sicurezza, per cui ripartiranno da oggi i volantini per la città con insulti al governo, convocando ad una manifestazione che avrà anche come presunto scopo il festeggiare la Rivoluzione Cubana. Il percorso di questa manifestazione sarà del Monumento alla Rivoluzione all'Hemiciclo a Juárez.

Il segretario di Governo segnalò in un terzo diagramma entrambi i monumenti, il suo viso rifletteva ora un sentimento di orgogliosa soddisfazione; stava per rivelare la parte midollare del piano la cui elaborazione aveva comportato per lui molte ore di incessanti sforzi. Segnando con la bacchetta un punto marcato con una X nel diagramma, disse:

-Quando la manifestazione che uscirà dal Monumento alla Rivoluzione arrivi all'incrocio del viale Avenida Juárez e Bucareli, coinciderà con la manifestazione studentesca che essendo uscita dalla Piazza della Cittadella si dirige al Casco de Santo Tomas. Elementi della Federale di Sicurezza agiranno allora come agenti provocatori: inciteranno gli studenti a non proseguire la loro marcia, consentita dalle autorità, e di aderirsi alla manifestazione non autorizzata. Sapremo così quali sono gli studenti rispettosi dell'ordine e quali quelli che vogliono promuovere disordini. I primi non avranno problema, arriveranno al Casco de Santo Tomas e realizzeranno senza essere disturbati il suo raduno di protesta. I secondi si avvieranno all'Hemiciclo a Juarez dove si uniranno ai membri della manifestazione che è uscita dal Salto del Agua. Insieme effettueranno un raduno per esprimere la loro ammirazione per la Rivoluzione Cubana. Concludendo questo, gli agenti della Federale di Sicurezza infiltrati tra la moltitudine cominceranno a cercare di convincerla di non disperdersi, ma di recarsi allo Zocalo ad esigere al governo che risarcisca agli studenti che risultarono feriti ieri. Si saprà allora chi sono le persone che accorrono a queste manifestazioni del 26 luglio perché in realtà ammirano molto i cubani, e chi sono quelle che assistono unicamente per dare corso ai suoi sentimenti contro le legittime autorità del paese. Le prime andranno tranquillamente a casa sua, le seconde cercheranno di arrivare allo Zocalo.

Un silenzio pieno di attesa riempiva l'ambiente. Gli partecipanti alla colazione di lavoro ascoltavano sempre più sorpresi il raccapricciante piano escogitato per il segretario di Governo.

-E sarà allora quando entreranno in azione le forze dell'ordine; per ciò sarà necessario improvvisare in primo luogo un atto che giustifichi il suo intervento. La notte prima gli spazzini incaricati della pulizia nel viale Avenida Juarez depositeranno pietre nei bidoni della spazzatura. Così, nel momento in cui i manifestanti cerchino di avanzare verso il Zocalo, i membri delle bande di porros che saranno convenientemente distribuiti lungo il viale Avenida Juárez, trarranno le pietre dai bidoni della spazzatura e le lanceranno ai vetri degli stabilimenti commerciali. Questo sarà l'atto che giustificherà davanti all'opinione pubblica l'intervento della polizia. I granaderos saranno posizionati in tutte queste strade -dicendo questo segnalò con la sua bacchetta sul piano un ampio perimetro intorno alla Alameda-.Una volta che i porros rompano le vetrate si ritireranno immediatamente. Allora i granaderos inizieranno il loro attacco. Primo copriranno con nuvole di gas lacrimogeno i manifestanti e poi attaccheranno in massa, colpendo tutti gli illusi che credevano molto facile raggiungere lo Zocalo e insultare al governo. In ogni caso -concluse con tono cupo-, nonostante nell'ipotesi, che sono sicuro non accadrà, che alcuni riuscissero ad attraversare il cerchio dei granaderos, si troverebbero allora con un'infrangibile barriera di Agenti della Federale di Sicurezza, e questi non si accontenteranno con dar loro di colpetti, ma avranno l'ordine di sparare su qualsiasi piantagrane che cerchi di arrivare allo Zocalo. non permetteremo mai che il centro storico della nazione, la sede dove si trova la massima autorità del paese, sia utilizzato per altri fini che non siano gli strettamente ufficiali.

Il lic. Echeverria aveva concluso la sua esposizione. Un fragoroso applauso siglò le sue ultime e contundenti affermazioni. Alzati in piedi, i dirigenti della FENET e delle bande degli porros lo acclamarono prolungatamente. Finiti gli applausi, il segretario di Governo segnalò tre dei suoi subalterni e chiese a tutti i presenti che parlassero con loro per ricevere istruzioni specifiche rispetto alla parte del piano che ciascuno di essi doveva portare a termine.

Il capo del Dipartimento del D.F. e il vicecapo della Polizia furono le ultime persone a lasciare la residenza di San Jeronimo. Mendiolea aveva ricevuto tutte le indicazioni sul modo in cui dovevano agire le forze di polizia che avrebbero preso parte all'operazione. Il suo viso denotava il fastidio che gli causava il dover ricevere ordini di tre oscuri funzionari di infimo livello. Le fazioni del generale e lic. Alfonso Corona del Rosal erano altrettanto contratte dalla rabbia. La sua cute aveva ora un lieve colore cenerino.

Mentre l'automobile in cui si spostavano entrambi i funzionari avanzava per un congestionato periferico, il reggente della città ruppe il suo prolungato silenzio per affermare con ironico tono:

-Un grande stratega il signore laureato, si vede che è molto abile in materia militare. Né lo Stato Maggiore poteva aver elaborato un piano di combattimento così perfetto.

Lo sguardo del capo del Dipartimento del D.F. lanciava malevoli fulgori; masticando pacatamente le sue parole aggiunse:

-Quello che forse non sappia il signore lic. è che i nostri granaderos sono gente semplice e ignorante che non capisce di alta politica. A loro li disgustano i traditori, i tipi che oggi servono un padrone e domani un altro; tuttavia non credo che sappiano distinguere molto bene, in mezzo ad un disordine, quali sono gli agitatori cattivi e quali sono i buoni, principalmente se questi vanno in giro rompendo vetri. Lei cosa ne pensa?

L'espressione di fastidio nel viso di Mendiolea Cerecero si trasformò subito in una di sinistro giubilo.

-Credo che lei ha assolutamente ragione, signore -rispose laconico.
Non appena finì la riunione nei giardini della sua residenza, il lic. Echeverria entrò all'interno della casa. Anche se non lo sembrava era profondamente stanco per l'intenso lavoro sviluppato e le molte ore che portava senza dormire. Prima di coricarsi si avviò alla piccola stanza che costituiva il suo santuario. Nuovamente aprì con spirito reverente il vecchio guardaroba ed estrasse di questo diversi libri, riguardanti tutti essi alla vita ed opera di Giulio Cesare. Il suo atteggiamento verso il suo personaggio preferito era già un altro, diverso da quell'ultima volta in cui avessi quegli stessi libri tra le mani. Ora contemplava l'immagine del guerriero e statista romano con rispetto ma senza invidia, come deve essere tra personaggi che possiedono identica gerarchia.