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Un gesto di dignità 


L'ingegnere Javier Barros Sierra, rettore dell'Università Nazionale Autonoma del Messico, possedeva senza senza dubbio una delle intelligenze più brillanti del paese. Non era solo intelligente; forte carattere ed una grande lungimiranza, completavano una personalità davvero rilevante. La sua attuazione di fronte alla Segreteria dei Lavori Publici (1958 -1964) aveva portato un notevole incremento di tutto quello che costituisce l'infrastruttura materiale di una nazione. A causa del suo efficace svolgimento come Segretario di Stato, un'elevata percentuale della popolazione aveva riposto grandi speranze che fossi designato presidente della Repubblica per il piano di sei anni 1964 -1970. La possibilità che una persona onesta e capace arrivasse alla presidenza aveva generato un autentico panico in tutto l'apparato politico. Solo quando fu nominato presidente per quel periodo il lic. Gustavo Diaz Ordaz,  i membri del PRI recuperarono la calma.

Nei due anni che portava di fronte all'UNAM, l'ingegnere Barros Sierra aveva promosso un'importante rinnovazione accademica ed amministrativa. L'Università si trovava in pace e lavorando incessantemente suscitandosi l'attacco a sorpresa della polizia alle preparatorias la notte del venerdì 26 Luglio. Profondamente disgustato per l'incidente, il rettore cercò quella stessa sera di elevare la sua protesta davanti alla massima autorità del Dipartimento del D.F. Le sue insistenti chiamate non ottennero nessuna risposta; era evidente che il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal non era interessato in proporzionare spiegazioni sulla condotta dei granaderos.

Lunedì sera, 29 luglio, quando fu informato che la polizia attaccava nuovamente le strutture universitarie del centro della città, l'ingegnere Barros Sierra chiamò varie volte alla città di Guadalajara, cercando di comunicarsi con il presidente della Repubblica. Sforzo inutile. Il primo mandatario finì per dirgli, attraverso un aiutante, che era molto occupato e non poteva assisterlo.

Alle undici di sera del menzionato lunedì, un vecchio insegnante della preparatoria parlò per telefono da San Ildefonso alla casa del rettore e gli raccontò quello che stava succedendo, cioè la sconfitta delle forze poliziesche con l'intervento degli studenti. A giudizio dell'anziano questo garantiva il ritorno alla normalità nel quartiere universitario, motivo per cui -concluse- aveva deciso ritirarsi a riposare nella sua casa.

Il rettore pensò che anche se fossero usciti trionfanti nel suo scontro con i poliziotti, un alto numero di studenti dovevano trovarsi carcerati o feriti negli ospedali. Perciò, si comunicò con il direttore dei Servizi Giuridici dell'UNAM, e gli indicò che doveva cercare di localizzare il maggior numero possibile di avvocati di detta dipendenza, nel senso che questi proporzionassero quanto aiuto fosse possibile ai preparatorianos in difficoltà. Finalmente, gli chiese di dire a tutti gli avvocati che, indipendentemente dell'ora, di chiamarlo al suo domicilio non appena avessero notizie importanti da comunicargli.

Erano già le due e un quarto di mattina, quando l'ingegnere Barros Sierra -chi si manteneva sveglio nella sua biblioteca con l'apparecchio di radio acceso- ascoltò che tra pochi istanti si trasmetterebbe tanto per radio come per televisione una intervista stampa a diversi alti funzionari. Immediatamente accese la sua televisione, ma trascorsero circa quindici interminabili minuti prima che apparisse sullo schermo le figure del reggente della città, del segretario di Governo, il procuratore della Federazione e il procuratore del D.F.

Il primo a parlare fu il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal. Traboccando lo schermo con la sua enorme bocca, così simile a quella del presidente, affermò categorico che le autorità avevano appena messo fine a "una congiura ordita per il Partito Comunista per destabilizzare il paese." Di seguito il lic. Echeverria informò dell'occupazione di San Ildefonso da parte dell'esercito, la quale, come disse, si era realizzata "per preservare l'Autonomia Universitaria degli interessi meschini ed ingenui, molto ingenui, che pretendono di deviare il percorso verso l'alto della Rivoluzione Messicana." Avendo la parola il lic. Julio Sanchez Vargas, procuratore generale della Repubblica, dichiarò che "date le condizioni imperanti nella città, legalmente poteva sollecitarsi l'intervento dell'esercito per ristabilire l'ordine, che deve essere ed è essenziale per lo sviluppo delle istituzioni." A sua volta il lic. Gilberto Suarez Torres, procuratore di Giustizia del Distretto e Territori Federali, disse: "Non è desiderio del governo riempire le prigioni, ma non ci fermeremo in operare con fermezza, benché sempre dentro la legge."

Mancavano ancora le dichiarazioni del segretario della Difesa, generale Marcelino Garcia Barragan; giornalisti di tutti i mezzi di comunicazione si diedero al compito di individuarlo, intervistarlo e trasmettere le sue opinioni. Il militare cominciò affermando che "gli studenti si lasciarono trascinare dalle passioni personali." In seguito negò categoricamente che nell'occupazione della Scuola Nazionale Preparatoria si fosse ammazzato o ferito di gravità un solo studente. Per quanto riguardava al mezzo utilizzato dalle truppe per entrare all'edificio, precisò che ciò era stato possibile quando rimase distrutta una delle sue porte "da una sere di bombe molotov lanciate  dai propri studenti" (sic).

Mentre ascoltava le dichiarazioni dei funzionari, una crescente inquietudine si stava impossessando del rettore dell'UNAM. La motivata ipotesi che stavano cercando di nascondere i fatti guadagnava sempre più peso nel suo preoccupato spirito. Vicino all'alba, cominciò a ricevere chiamate degli avvocati universitari incaricati di intercedere davanti alle autorità in favore degli studenti. Non era molto quello che avevano raggiunto. Nell'ospedale centrale della Croce Verde stavano ricevendo cure numerosi preparatorianos, ma si trovavano isolati e in qualità di detenuti. Al personale del centro di soccorso era specificamente vietato, sotto pena di cessazione automatica, di fornire qualsiasi relazione sui feriti, compresi i loro nomi. Uguale succedeva nelle delegazioni di polizia e negli uffici di entrambe le Procure; il divieto di dare relazioni sugli studenti detenuti o feriti era assoluta.

Alle sei di mattina il rettore ricevé una chiamata del lic. Luis Reinoso, giovane elemento del Giuridico dell'UNAM. L'avvocato era stato compagno di scuola primaria di uno dei barellieri della Croce Verde che erano entrati a San Ildefonso a tirar fuori gli studenti feriti. Anche se la paura manteneva sigillate le labbra del suo compagno di studi, costui gli aveva proporzionato indirettamente un prezioso aiuto. Segnalando ad un'infermiera che in quei momenti usciva dall'ospedale verso la strada, gli suggerì che parlasse con lei. Così fece e le rivelazioni ottenute erano di tale importanza che considerava dovevano essere conosciute dal proprio rettore. Senza aggiungere altro, mise l'infermiera nell'auricolare.

L'ingegnere Barros Sierra ascoltò una gradita voce femminile che rifletteva allo stesso tempo un'enorme tensione nervosa ed un grande sforzo per mantenere sotto controllo le sue emozioni. La proprietaria della voce disse chiamarsi Leticia Rojas Jimenez, essere infermiera dell'ISSSTE -e non della Croce Verde come inizialmente supponesse il rettore- ed aver prestato i suoi servizi come volontaria in San Ildefonso nel momento in cui le truppe effettuarono il loro assalto. La presa della preparatoria era stata una cosa terribile -affermò con scosso accento-. A quanto pare i soldati avevano aperto la porta da un'esplosione. Gli studenti che custodivano la scuola si trovavano situati proprio dietro la porta bombardata, e per ciò, avevano ricevuto in pieno l'impatto del proiettile. Finì affermando che più di trenta ragazzi erano morti ed attorno a circa settanta risultati feriti.

Il rettore ringraziò sinceramente l'informazione ricevuta e dopo riagganciare il telefono rimase un bel po' di tempo immobile ed assorto in tutti i tipi di riflessioni. Ricordi che credeva del tutto dimenticati venivano alla sua memoria in incontenibile cascata, dal suo primo giorno di classe come studente di San Ildefonso, fino ai visi dei suoi amici di allora. Improvvisamente un ricordo in particolare occupò la sua mente. Si vide a sé stesso impartendo una conferenza in "El Generalito", la conferenza faceva parte di un ciclo organizzato dalla società degli studenti della preparatoria al cui consiglio direttivo apparteneva. Il tema di tutto il ciclo era "Il futuro del Messico" e lui doveva sviluppare tutto quello che riguardasse la possibile evoluzione del sistema politico del paese. La tesi centrale della sua esposizione era stata che, mentre si stava "infiltrando" nel governo un crescente numero di elementi onesti e capaci, arriverebbe il momento in cui questi riuscirebbero a trasformare "dal di dentro" l'apparato politico.

L'ingegnere Barros Sierra era consapevole ormai che l'intero corso che desse alla sua vita si era basato sullo stimare come valida la tesi che sviluppasse in quella conferenza. Trentacinque anni dopo capiva che il suo giovanile progetto era risultato errato. L'ingresso al governo di persone adatte e oneste aveva rinforzato il corrotto sistema politico invece di trasformarlo. Così come una nave pirata eleva la sua efficienza incorporando al suo equipaggio alcuni marinai capaci ed onorevoli, i governi provenienti del PRI avevano migliorato la loro immagine, senza cambiare una virgola i suoi obiettivi, per il fatto di avere  nelle sue file alcuni funzionari competenti e validi. L'agile intelligenza del rettore cercò affannosa riconsiderare il problema ed analizzarlo con un nuovo approccio. Quale era -si domandò mentalmente- il segreto che permetteva la sussistenza del venale sistema politico del suo paese? Perché risultavano sempre inutili gli sforzi che, per rinnovarlo, portavano a termine in buona fede i funzionari?

Spinto dalla preoccupazione di cui era preda, la mente del rettore raggiunse un istante di superiore lucidità. Ed allora, con chiara precisione, trovò la risposta alle domande che si formulava. Detta risposta poteva sintetizzarsi in una sola parola: abiezione.

Il segreto che spiegava sia la permanenza della corruzione ufficiale, come la frustrazione dei tentativi di rigenerazione, derivava da un fatto molto semplice: l'apparato governativo operava come un inesorabile meccanismo, il quale stava sperperando, fino al minore segno, la dignità a tutte le persone che in esso collaboravano. L'organizzazione politica del paese somigliava una specie di enorme piramide la cui ascesa implicava sempre una perdita di integrità direttamente proporzionale all'altezza raggiunta. Il sistema poteva darsi il lusso di permettere, fino a un certo limite, la ascesa di persone oneste e capaci, ma mai degne. A maggiore gerarchia maggiore grado di abiezione, quell'era la regola fondamentale e segreta che sostentava il funzionamento di tutta la struttura politica derivata del PRI.

Una volta capita la vera origine dell'inalterabile corruzione che caratterizzava il governo, l'ingegnere Barros Sierra si diede al compito di immaginare la realizzazione di un gesto che comportasse esattamente il contrario di quello che il sistema politico rappresentava. Un gesto così, concluse fra sé e sé, evidenzierebbe che esisteva sempre la possibilità di riuscire ad essere la dignità, e non l'abiezione, la forza che sostentasse l'azione delle autorità.

Dopo riflettere attentamente il modo in cui potrebbe realizzare un gesto di questa natura, il rettore si sdraiò in un sofà e dormì meno di un'ora, dopo si lavò e andò ai suoi uffici, ubicati nel sesto piano della torre di Rettorato della Città Universitaria. Al piede dell'edificio, un murale elaborato per il pittore Alfaro Siqueiros segnalava gli anni chiave della storia del Messico negli ultimi cinque secoli: 1520, 1810, 1857 e 1910. L'autore del murale aveva lasciato un spazio in bianco con un punto interrogativo, indicando così che quel spazio era destinato per annotare l'anno in cui nuovamente si verificassero in Messico storici eventi. Contemplando il murale, l'ingegnere Barros Sierra ebbe la certezza che 1968 sarebbe stato l'anno destinato ad occupare lo spazio vuoto.

La Città Universitaria somigliava una specie di agitato formicaio. L'assalto dall'esercito a San Ildefonso aveva generato una profonda commozione nel umore degli studenti. L'insistente negazione del governo nel senso che detto assalto avesse causato morti, costituiva, nel parere di tutti gli universitari, un tacito riconoscimento che nell'operazione erano morti numerosi preparatorianos. L'indignazione non era già una semplice parola in scuole e facoltà, bensì un sentimento che si percepiva in forma tangibile fino all'ultimo angolo di Città Universitaria.

In mezzo a tanto agitato ambiente, l'annuncio che il rettore porterebbe a termine un atto -che nessuno sapeva in che cosa consisterebbe- alle dodici ore nella spianata del Rettorato, originò immediatamente una profonda attesa tra insegnanti e studenti. Un'ora e mezza prima che dessero le dodici, già la spianata era piena di una esaltata moltitudine. Numerosi giornalisti aspettavano curiosi, domandandosi tra loro quale sarebbe l'atteggiamento che assumerebbe il rettore davanti ai gravi eventi che gli aveva capitato di affrontare.

Proprio nel tempo stabilito, l'ingegnere Barros Sierra discese dalla torre e si diresse fino al centro della spianata. I suoi passi erano fermi ed il suo volto severo. Arrivando vicino al pennone cominciò ad issare l'insegna nazionale, ma non lo fece fino alla cima, ma la lasciò esattamente alla metà, così come la tradizione segnala che si deve fare in occasioni luttuose. In seguito, per assicurarsi che no rimanevano dubbi sul simbolismo che desiderava dare all'atto, affermò con forte tono:
Oggi è un giorno di lutto per l'Università: l'autonomia è seriamente minacciata. Voglio esprimere che l'istituzione, attraverso le sue autorità, docenti e studenti, espressa profondo dolore per quello che è successo. L'autonomia non è un'idea astratta, è un esercizio responsabile che deve essere rispettabile e rispettato per tutti. Evviva l'UNAM! Evviva l'Autonomia Universitaria!
Per concludere l'atto tutti i presenti intonarono l'Inno Nazionale. C'era profonda emozione in voci e volti. La sensazione di stare partecipando ad un fatto di trascendentale importanza prevaleva nella coscienza degli studenti e insegnanti. I giornalisti dei diversi mezzi di comunicazione non vedevano l'ora di uscire di corsa ai suoi rispettivi centri lavorativi, per diffondere la notizia che il rettore dell'UNAM adottava una posizione evidentemente contraria all'ufficiale. Soffrirebbero molto presto una grande delusione. La notizia che essi aspettavano che sarebbe stata resa pubblica con ampia copertura e grandi titolari, raggiunse scarsissima diffusione attraverso i mezzi informativi convenzionali. Gli alti dirigenti della televisione e della radio optarono per non divulgarla, temendo che così facendo potesse causare loro gravi rappresaglie da parte delle autorità. Alcuni giornali la pubblicarono ma cercando di minimizzarla, e perfino storpiarla, affermando che il rettore aveva issato la bandiera a mezza asta per essere l'anniversario della morte di Don Miguel Hidalgo. Tuttavia, il degno gesto dell'ingegnere Barros Sierra divenne noto ad un ampio settore della popolazione. Che ciò potesse essere raggiunto fu dovuto principalmente al lavoro realizzato da Radio Università.

L'emittente dell'UNAM non aveva avuto mai numerosi ascoltatori. Il carattere eminentemente culturale della sua programmazione la convertiva, per motivi naturali, nella stazione preferita di un gruppo minoritario ed elitario. Tuttavia, in questa occasione l'opinione pubblica - vivamente interessata a conoscere la verità di quello che stava accadendo- sembrò indovinare che solamente detta emittente agisse senza bavaglio. E di conseguenza, l'uditorio di Radio Università cominciò ad incrementarsi ora dopo ora. La registrazione dell'atto in cui il rettore issasse la bandiera a mezz'asta era ritrasmessa più e più volte, diffondendosi così ai quattro venti l'inusitata notizia in cui un conosciuto personaggio dei mezzi politici aveva osato agire con dignità.

Allo stesso modo, Radio Università cominciò a dedicare buona parte dei suoi programmi all'analisi del conflitto studentesco. Dirigenti dei comitati di sciopero, così come di riconoscente prestigio accademico, esprimevano apertamente le loro opinioni, tutte esse contrarie alla brutale repressione esercitata dal governo. Carlos Monsivais, intelligente scrittore e direttore di vari dei programmi dell'emittente universitaria, dedicava questi a satireggiare le dichiarazioni versate dai funzionari pubblici attorno alla presa di San Ildefonso.

Come se questo non bastasse, il mercoledì 31 luglio, cioè un giorno dopo l'innalzamento della bandiera a mezz'asta, Radio Università fece conoscere una notizia ancora più sorprendente: il giorno dopo, alle quattro e mezza del pomeriggio, il rettore condurrebbe una manifestazione di protesta che partendo di Città Universitaria arriverebbe fino allo Zocalo.

La notizia andò ben al di là della tolleranza governativa. Utilizzando qualche trucco tecnico - effettuato attraverso i poderosi strumenti installati nella Segreteria di Comunicazioni- le onde di Radio Università furono bloccate e le loro trasmissioni smisero di ascoltarsi. La dittatoriale misura arrivava troppo tardi. L'annuncio della proiettata manifestazione era commentata da un capo all'altro del paese. La coraggiosa attitudine dell'ingegnere Barros Sierra agì come un detonatore che azionandolo mette in moto ignorate forze di incalcolabili proporzioni. Queste forze non erano solo importanti per la loro quantità bensì per la loro evidente qualità, poiché comprendeva la maggior parte degli intellettuali, artisti e professionisti del paese, i quali si mobilitarono immediatamente per esprimere la loro posizione di fronte al conflitto.

Pieghevoli contenenti i nomi di conosciute personalità nei più vari campi della scienza e l'arte apparvero nei principali quotidiani, manifestando il loro rifiuto alla repressione e convocando alla marcia di protesta che condurrebbe il rettore. Le compagnie aeree videro saturi i loro voli che convergevano nella capitale della Repubblica. Le strade si congestionarono ben presto con lunghe carovane di autobus, sequestrati da gruppi di studenti desiderosi di partecipare alla manifestazione ed appartenenti alle istituzioni educative degli stati vicini al Distretto Federale. Persino il medesimo ingegnere Barros Sierra si sentiva attonito dall'inusitata reazione che il suo gesto di dignità aveva generato.
Se il rettore dell'UNAM era sorpreso, il presidente della Repubblica lo stava molto di più. In un primo momento decise di ritornare immediatamente alla capitale, incarcerare l'ingegnere Barros Sierra e disporre l'occupazione militare di qualsiasi struttura educativa che si trovasse in sciopero. Dopo averci pensato attentamente cambiò idea. Cominciava a rendersi conto che essere momentaneamente lontano del luogo in cui succedevano gli eventi gli concedeva enormi vantaggi. Tutti gli ordini che considerasse appropriati li poteva impartire via radio ai suoi funzionari della capitale, ed il fatto di non essere presente in questa, gli permetterebbe di far ricadere la colpa su detti funzionari, se le misure adottate non davano il risultato aspettato.

Quello che più disturbava il lic. Diaz Ordaz, era la dimostrazione che il sistema politico non costituiva un meccanismo infallibile per distruggere l'integrità delle persone che lo costituivano. Il gesto di dignità del rettore rappresentava una vera e propria minaccia alla mitologica invincibilità del PRI: era necessario, pertanto, ottenere una pubblica ritrattazione dell'autore del sacrilegio o altrimenti infliggerli un'esemplare punizione.

Agendo su indicazioni precise del lic. Diaz Ordaz, il segretario di Governo telefonò l'ingegnere Barros Sierra la notte del mercoledì 31 luglio. Il signore presidente -affermò il lic. Echeverria con pomposo tono- esigeva al rettore una dichiarazione ai media in cui dicesse che in nessun modo l'assalto delle truppe a San Ildefonso implicava una violazione all'Autonomia Universitaria e che non aveva pensato mai di partecipare ad una manifestazione di protesta per questo fatto. Doveva anche -concluse- rendere palese la sua assoluta fiducia che il primo mandatario saprebbe trovare, con la saggezza e prudenza che lo hanno sempre caratterizzato, la giusta soluzione al problema studentesco.

Il rettore ascoltò pazientemente il lungo soliloquio del segretario di Governo, concludendo questo si limitò a dirgli che la Costituzione della Repubblica concedeva a tutti i cittadini il diritto di partecipare a manifestazioni, ragione per la quale nessuna autorità -compreso il presidente- era autorizzato per decidere rispetto a chi poteva concorrere ad un atto di questa natura e chi non poteva farlo.

La risposta dell'ingegnere Barros Sierra provocò l'indignazione del lic. Echeverria. "Va bene - rispose-, allora fate come volete e attenetevi alle conseguenze." Detto questo riagganciò da un colpo.

Non appena il primo mandatario fu informato dal segretario di Governo della negativa del rettore a rettificare il suo atteggiamento, decise di agire con la massima energia e risolvere in modo definitivo il fastidioso conflitto. Attraverso la radio impartì istruzioni al segretario di Difesa, ordinandogli che procedesse ad implementare una trappola mortale che annichilisse il maggior numero possibile di partecipanti alla manifestazione che dovrebbe effettuarsi il giorno dopo. Per raggiungere questo obiettivo, autorizzava l'impiego di tutto l'armamento e gli elementi di truppa che fossero necessari. Finalmente, menzionò la convenienza che intervenisse nell'operazione il gruppo paramilitare dei Halcones, i quali -affermò con burlone tono- potrebbero utilizzarsi per "condurre le pecore al mattatoio." Il segretario della Difesa promise di rispettare alla lettera i desideri presidenziali.

Una volta impartite le sue istruzioni, il lic. Diaz Ordaz si diede al compito di programmare le azioni politiche che converrebbe portare a termine una volta effettuato il massacro. Stimò che l'approccio giusto sarebbe volare alla capitale il giorno dopo che fosse successo e cessare a tutti gli alti funzionari che erano comparsi nel conflitto, includendo il segretario della Difesa. In questo modo, l'opinione pubblica giudicherebbe che questi erano stati i colpevoli della repressione, la figura presidenziale sarebbe rafforzata e sarebbe in possibilità di concedere un magnanimo perdono a tutti gli studenti che accettassero di ritornare pacificamente alle lezioni.

Commercianti, industriali e in generale tutte le persone ricche degli stati dell'ovest della Repubblica, brindarono nella città di Guadalajara un banchetto di omaggio al presidente il giovedì 1° agosto. Concludendo il banchetto -mentre mentalmente calcolava che nella città del Messico le truppe dovevano stare iniziando il mitragliamento dei manifestanti-, il lic. Diaz Ordaz pronunciò un discorso nel quale iniziava già la politica conciliatrice che pensava di orchestrare dopo il massacro. Se esistesse un Premio Nobel alla falsità e l'ipocrisia, questo discorso avrebbe meritato di sicuro per il suo autore detta distinzione:
Una mano è tesa, quella di un uomo che attraverso la piccola storia della sua vita ha dimostrato che sa essere leale. I messicani diranno se quella mano rimane tesa nell'aria, oppure si quella mano, secondo la tradizione del messicano,  la vera tradizione del genuino, dell'autentico messicano, è accompagnata da milioni di mani che, tra tutte, vogliono ristabilire la pace e la tranquillità delle coscienze. Sono tra i messicani, a chi più abbia ferito e lacerato la perdita transitoria della tranquillità nella capitale del nostro paese, per rivolte in fondo senza importanza. A me mi ha fatto male nel più profondo dell'anima che si siano suscitati tali deplorevoli e vergognosi eventi.
Nella città del Messico la mattina del giovedì 1° agosto spuntò particolarmente luminosa e serena. Appena iniziava il nuovo giorno quando cominciò a generarsi un costante afflusso di veri fiumi umani, i quali, provenienti di tutte direzioni, convergevano nella Città Universitaria. Giovanili gruppi arrivavano a questa posseduti di un febbrile entusiasmo, intonando canzoni e proferendo fragorose ovazioni. Molti arrivavano a piedi, altri in automobile e un gran numero in sequestrati autobus di trasporto urbano e dall'esterno. La stragrande maggioranza erano studenti dell'UNAM e del Politecnico, ma aveva anche nutriti contingenti della Normal, di Chapingo e delle Università e istituzioni educative esistenti in città vicine alla capitale.

Non erano solo studenti coloro che si stavano concentrando su Città Universitaria, insieme ad essi si trovavano i suoi direttori e insegnanti, così come il personale che lavorava in funzioni amministrative e di intendenza. Man mano che avanzava la giornata cominciò ad essere notevole la presenza di un elevato numero di professionisti. Erano 'vecchi' laureati dell'Università, in possesso di vari gradi di prestigio nelle loro rispettive specialità, da modesti medici di campagna fino a scientifici di fama internazionale. Dato che la maggior parte di questi professionisti non avevano realizzato i loro studi nelle moderne strutture della Città Universitaria -bensì negli antichi edifici universitari del centro della città- si organizzarono per loro comitati di accoglienza, incaricati di mostrar loro le strutture delle loro rispettive scuole e facoltà. Dopo il percorso erano portati agli auditorium dove si stavano realizzando le assemblee e lì tributavano loro un caloroso applauso. Si producevano inaspettate ed emotive reazioni. Professionisti in possesso di grande fama e considerabile fortuna -molti di loro ex funzionari pubblici di avanzata età- prorompevano in pianto ed esortavano i giovani a non imitare l'esempio delle loro vite -affezionate esclusivamente all'ottenimento di celebrità, potere e denaro- bensì alla ricerca di autentici valori.

La presenza di intellettuali ed artisti di ogni genere nel campus universitario risultava altrettanto distaccata. In modo spontaneo si organizzarono nel corso della mattina conferenze e tavole rotonde sui più diversi temi. Filosofi e scultori, scrittori e pittori, dissertavano davanti a numerosi ed assorti gruppi di interessati uditori. Nelle spianate noti cantanti e attori intonavano popolari canzoni o interpretavano improvvisate rappresentazioni teatrali. Un insolito, magico ambiente prevaleva ovunque. Città Universitaria sembrava essere diventata un singolare spazio dove era possibile la realizzazione di qualsiasi prodigio. Così lo sentivano e vivevano chi in crescente numero continuavano ad arrivare ad essa  provenienti di tutte le direzioni della capitale e del paese.

-È incredibile -commentò una segretaria del rettore a questo circa mezzogiorno-. Devono essere già più di centomila persone e continuano ad arrivare.

Dopo aver detto questo la segretaria sollevò la cornetta di un telefono che aveva cominciato a squillare. Per giorni tutti i telefoni dell'Università erano bloccati con chiamate di persone che desideravano esprimere la loro solidarietà con la posizione assunta dal rettore. La segretaria credé che si trattasse di una chiamata in più di questo tipo, ma non lo era. Il suo viso impallidì improvvisamente, mormorò alcune frasi di cortese gratitudine ed appese. Dirigendosi all'ingegnere Barros Sierra lo informò con allarmato accento:

-Era una signora che vive in Insurgentes a livello del Parque Hundido. Dice che l'esercito sta prendendo posizioni per le strade laterali a Insurgentes.

Le fazioni dell'ingegnere Barros Sierra si indurirono; chiamando uno dei suoi aiutanti più fidati gli chiese si dirigesse il più presto possibile per verificare l'informazione ricevuta. Tornò dopo un'ora. I risultati della sua verifica non erano niente incoraggianti. Infatti, varie migliaia di soldati erano piazzati in una vasta area attorno all'Avenida de los Insurgentes, subito dopo il Parque Hundido. I soldati non solo portavano fucili, ma mitragliatrici che stavano essendo posizionate nelle terrazze degli edifici. C'erano anche cannoni ed ogni tipo di veicoli blindati, da carri armati fino a carri di assalto. Dato l'inusitato spiegamento bellico si era diffuso l'allarme tra i vicini della zona, molti dei quali si stavano allontanando in fretta.

Sempre più preoccupato per quello che sentiva, il rettore cercò di delucidare quali potevano essere gli obiettivi e la portata dell'operazione militare. In un primo momento suppose che questa era causata dall'ossessiva paura del presidente a che si effettuasse nello Zócalo una manifestazione non autorizzata dal governo. Di essere così -pensò- la presenza delle truppe non aveva un altro proposito che quello di costituire una sorta di minaccioso avviso, indicando ai manifestanti che non dovevano cercare di avanzare fino al centro della città. Tenuto conto delle circostanze, l'ingegnere Barros Sierra decise di convocare i dirigenti studenteschi ad una riunione di emergenza.

Mentre aspettava l'arrivo dei membri dei comitati di sciopero, l'ingegnere Barros Sierra continuò tentando di trovare una migliore spiegazione della mobilitazione dell'esercito. Improvvisamente comprese che questa non poteva doversi ad un semplice obiettivo di evitare l'arrivo dei manifestanti allo Zócalo, perché se fosse così le truppe sarebbero state posizionate formando una barriera che bloccasse il passo e non imboscate nei laterali del viale per dove si effettuerebbe la marcia. La finalità dell'operazione militare -concluse- era l'annichilimento di coloro che assistessero all'atto di protesta.

Una volta riunito con i dirigenti studenteschi, il rettore espose apertamente la sua certezza che le truppe posizionate nelle vicinanze avevano ordini di effettuare una feroce repressione. I rappresentanti studenteschi concordarono pienamente con detta opinione. Molti di loro avevano osservato personalmente il volume e distribuzione delle forze militari. Era evidente -espressero- che esisteva un chiaro proposito di dissolvere con la forza la manifestazione. Si discusse ampiamente la possibilità di sospendere questa. Era impossibile. A quell'ora -le due di pomeriggio- c'era in Città Universitaria circa duecentomila persone. Nonostante nell'ipotesi che il rettore e i membri dei comitati di sciopero decidessero di sospendere e non partecipare alla manifestazione, era sicuro che la stragrande maggioranza della gente inizierebbe la marcia non appena arrivasse l'ora fissata per farla. Riassumendo i sentimenti di tutti i partecipanti alla riunione, l'ingegnere Barros Sierra affermò:

-Se non partecipasse alla manifestazione che ho convocato e fosse repressa, la mia coscienza non mi permetterebbe di continuare a vivere.

Adottata la decisione di portare avanti la marcia, si analizzarono le possibili misure che potrebbero adottarsi per cercare di ridurre i rischi di un'aggressione in suo contro. La prima fu modificare il percorso da seguire: invece di cercare di arrivare fino allo Zócalo, si decise di avanzare soltanto su Insurgentes fino a Félix Cuevas -le truppe erano barricate circa trecento metri più avanti-, effettuare all'intersezione di questi viali un raduno e poi tornare a Città Universitaria.

Il rettore espresse la sua opinione nel senso che era molto probabile che il governo avrebbe inviato un buon numero di "agenti provocatori" i quali, notando che la traiettoria della marcia era stata cambiata, tenterebbero tutti i tipi di stratagemmi al fine di riuscire che i manifestanti arrivassero fino a dove li aspettavano le truppe per sterminarli.

I dirigenti del comitato di sciopero della Facoltà di Medicina, proposero una misura destinata a cercare di contrastare le prevedibili azioni dei provocatori. Approfittando del fatto che tutti i tirocinanti di medicina avevano deciso di partecipare alla manifestazione vestiti con i loro camice bianco di lavoro, sarebbe stato loro richiesto di formare una barriera all'incrocio dei viali Insurgentes e Félix Cuevas, la quale avrebbe per oggetto ostacolare qualsiasi complotto, propiziato per i provocatori, di prolungare la marcia fino al luogo in cui si trovava l'esercito. La favorevole circostanza che, grazie al loro abbigliamento, i praticanti di medicina potessero identificarsi facilmente tra di loro, scartava la possibilità che i provocatori si infiltrassero tra le loro file e sabotassero l'efficacia della barriera.

La proposta fu unanimemente accettata. L'ingegnere Barros Sierra chiese ai partecipanti annunciassero che prima di iniziare la marcia lui dirigerebbe un messaggio dalla spianata del Rettorato. Detto messaggio -chiarì- avrebbe principalmente per obiettivo prevenire gli assistenti alla manifestazione contro le azioni di agenti provocatori. La riunione si dissolse. Espressioni di profonda preoccupazione si riflettevano nei visi di tutti quelli che avevano preso parte in essa.
Dando le quattro del pomeriggio, l'immensa moltitudine congregata nella Città Universitaria cominciò a mobilitarsi. In tutte le scuole e facoltà si furono integrando enormi contingenti tenendo conto un stesso ordine di raggruppamento. Erano a capo  delle lunghe colonne i corrispondenti direttori e insegnanti di ognuno delle diverse strutture educative. Studenti, ex alunni ed impiegati, andavano di seguito, formando interminabili file e posseduti di un straripante entusiasmo. Rapidamente fu riempendosi la spianata del Rettorato. Incessante ovazione e cantici tuonavano lo spazio.

L'ingegnere Barros Sierra consultò il suo orologio, mancavano solo pochi minuti per le quattro e mezza del pomeriggio. Il clamore del ruggente mare umano congregato ai piedi dell'edificio oltrepassava vetri e pareti. Accompagnato dai suoi più stretti collaboratori, il rettore scese di un ascensore al piano terra. Il suo arrivo alla spianata fu accolto con grandi acclamazioni e grida di gioia. Cessati questi, si mise davanti ad un microfono previamente installato e con forte voce affermò:


Compagni:
Salutandovi fraternamente, voglio cominciare con indicare che, su richiesta di numerosi settori di insegnanti e studenti dell'Università, e per dimostrare di nuovo che viviamo in una comunità democratica, la nostra manifestazione si estenderà fino all'angolo di Insurgentes e Félix Cuevas
Si effettuerà in quel posto un'espressione sotto forma di discorsi e ritorneremo a questa la nostra casa per la stessa rotta. Voglio dire ho fiducia che tutti sappiano di onorare l'impegno che hanno contratto. Dobbiamo dimostrare al popolo del Messico che siamo una comunità responsabile che meritiamo l'autonomia, ma non sarà solo la difesa dell'autonomia la nostra bandiera in questa espressione pubblica; sarà anche la richiesta, l'esigenza per la libertà dei nostri compagni, la cessazione delle repressioni. Sarà anche per noi un motivo di soddisfazione ed orgoglio che studenti e insegnanti dell'Istituto Politecnico Nazionale, fianco a fianco, come i nostri fratelli, ci accompagnino in questa manifestazione. Benvenuti. Senza voler esagerare, possiamo dire che si giocano in questa giornata non solo i destini dell'Università e il Politecnico, ma le cause più importanti, più commoventi per il popolo del Messico. Nella misura in cui sappiamo dimostrare che possiamo agire con energia, ma sempre nell'ambito della legge, così spesso violata, ma non da noi, rafforzeremo non solo l'autonomia e le libertà delle nostre case di studi superiori, ma contribuiremo fondamentalmente alle cause libertarie del Messico. Allora andiamo, compagni, ad esprimerci. E non ho bisogno di ripetervi ancora una volta di restare in allerta sull'attuazione di possibili provocatori. I provocatori, lo segnalo d'ora in poi, se ci sono -spero di no, confido di no- saranno maggioritariamente oggetto del ripudio schiacciante della comunità universitaria. Ed io, lo dico da adesso e senza mezzi termini, sarò il primo a segnalarli davanti alla nostra Università e all'opinione pubblica. Grazie mille.
Barricati sui tetti degli edifici e situati in numerose strade che sboccavano nell' Avenida de los Insurgentes, battaglioni di soldati fortemente armati si preparavano a entrare in azione. L'angolo di posizionamento delle armi di grosso calibro era stato controllato accuratamente. Le bocche oliate dei cannoni rilucevano minacciosamente. Carri armati e carri di assalto somigliavano enormi pachiderma, aspettando impazienti l'istante di lanciarsi all'attacco in incontenibile mandria. Un'enorme tensione predominava nell'ambiente. Il momento di dare inizio al massacro stava per arrivare.