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Giudizio e punizione


I calci di vari fucili scuotendo il suo corpo svegliarono Regina. Nell'aprire gli occhi si ritrovò circondata dai soldati cinesi che la contemplavano con scuri sguardi. Era una scena tanto inaspettata che la ritenne irreale. Credendo che si trattava di un orribile incubo sbatté le palpebre più e più volte, con la speranza che quelle minacciose figure finirebbero per svanire, ma queste non solo si rifiutavano a scomparire, ma perfino cominciarono ad esprimersi con rabbiose voci.

La giovane non capiva niente di quello che i cinesi le dicevano, ma come le parole erano completate dall'eloquente linguaggio di numerosi fucili che la colpivano dappertutto, comprese chiaramente che la stavano esortando ad alzarsi immediatamente.

Inciampando e grazie ad un grande sforzo, Regina riuscì ad alzarsi. Perplessa si rese conto che tutto il suo organismo era preda di una grande debolezza. Sentiva le gambe come stracci e barcollava in un modo simile alle persone che si trovano in stato di ubriachezza. La sua mente era altrettanto stordita e confusa. I cinesi procederono a tenerle le braccia alla schiena con una corda e portandola praticamente in bilico la tirarono fuori della caverna.

All'ingresso della grotta si trovavano numerosi soldati circondando il lama, il quale era stato altrettanto ammanettato con le braccia dietro la schiena. Tra gli alberi vicini sorse altro piccolo gruppo di invasori che a quanto pare erano rimasti in attesa aspettando la cattura degli occupanti della caverna. Di fronte al gruppo avanzava un corpulento ufficiale di età vicina ai cinquanta anni. L'espressione del suo viso evidenziava una scarsa intelligenza e la durezza del suo sguardo un fiero carattere. Acanto all'ufficiale si distaccava la figura dell'unica persona che non portava uniforme militare: un giovane tibetano, alto e magro, vestito interamente di nero dalla testa ai piedi.

In un primo momento Regina non riconobbe al tibetano vestito di nero, ma ricordò chi era non appena sentì al lama pronunciare il suo nome:

—Signore Puntso, che gioia rivederla —esclamò il lama con festoso accento—. Sono molto felice di sapere che lei ha seguito il mio consiglio e si è trasformato in un'importante formica.

Le parole del lama non sembrarono piacere al nuovo arrivato. Alla sua aria di arrogante sufficienza si unì una palese furia. Con il dorso della mano gli sferrò un forte colpo sul viso al tempo che affermava:

—Vecchio imbecille, la pagherai a molto caro prezzo i crimini che hai commesso contro il popolo. I nostri generosi protettori hanno preso atto delle tue malefatte e oggi sarà il giorno in cui dovrai rispondere per loro.

Agendo con grande celerità i soldati avevano montato un tetto di telone e posizionato sotto questo un tavolo di campagna e due sedie. L'ufficiale cinese e il giovane tibetano presero i loro posti e il primo di essi, dopo estrarre un grosso fascicolo di una valigia, cominciò a leggerlo fermandosi a intervalli in modo che il secondo fosse traducendo le sue parole dal cinese al tibetano. Le accuse che si facevano al lama potevano riassumersi in tre. Le due prime si riferivano all'epoca in cui era stato primo ministro: era accusato di aver mantenuto sommerso al paese nelle tenebre del fanatismo religioso, come pure di aver propiziato una politica incline a cercare di evitare che i cinesi occupassero il Tibet per liberarlo (?). La terza accusa derivava dal fatto di aver vissuto da eremita negli ultimi anni. Secondo i suoi accusatori, gli eremiti erano parassiti che sussistevano a spese delle classi lavoratrici.

Mentre si leggevano e traducevano le imputazioni nei suoi confronti, l'accusato rimaneva in piedi affiancato da due soldati. Un rivolo di sangue scorreva del colpito naso del lama. L'espressione del suo viso era peraltro sconcertante, perché sembrava allegro e spensierato, come se tutto quello che stava succedendo fosse soltanto una specie di complicato spettacolo montato al solo scopo di divertirlo.

Al termine della lettura, l'ufficiale fece a un lato il fascio di documenti. Fissando nell'accusato un freddo sguardo, gli domandò se aveva qualche argomento per presentare nella sua difesa. Non appena Puntso ebbe tradotto le parole del militare, il lama replicò:

—Oh no, riconosco pienamente la mia colpevolezza e non mi verrebbe mai in mente di tentare di giustificare i miei orrendi crimini. Realizzai ognuno degli atti di cui sono accusato e non sono pentito di averli commessi. Manca perfino aggiungere un grave reato in più a quel lungo elenco di imperdonabili misfatti. Allo scopo di non dover effettuare il minore sforzo, bensì che qualcuno mi servisse e lavorasse per me, ho costretto con l'inganno a quella povera ragazza —il lama segnalò con un cenno del capo verso dove si trovava Regina— a rimanere prigioniera in questa caverna. Per evitare che potesse scappare le ho dato sempre pochissimo cibo, riuscendo a tenerla in tale stato di debolezza che per quanto ci abbia provato non ha potuto mai uscire della valle. A causa della malnutrizione in cui si trova soffre di allucinazioni ed è un po' matta, ma temo seriamente che se si le fornisce abbastanza cibo ed una rieducazione adeguata non solo riprenderà la sua salute fisica e mentale, ma perfino potrebbe diventare un membro attivo delle classi economicamente produttive.

Una volta tradotte alla lingua cinese, l'ufficiale annotò scrupolosamente ognuna delle parole del dichiarante, numerò il foglio in cui aveva fatto le annotazioni e le aggiunse al fascicolo che faceva parte del dossier che conteneva le accuse formulate contro l'ex primo ministro del Tibet. Poi dialogò brevemente con Puntso e concludendo annotò anche quanto espresso da entrambi in detto dialogo. L'ufficiale e il tibetano vestito di nero si alzarono. Adottando una rigida posizione e rendendo ancora più aspra la sua voce, il militare fece sapere il risultato del molto sommario giudizio. Puntso tradusse all'instante il verdetto, mostrando nel farlo una evidente compiacenza:

—Il popolo e il governo della Repubblica Popolare Cinese condannano a morte al reazionario Tagdra, auto-nominato Rimpoche.

Senza perdita di tempo si formò il plotone di esecuzione. L'ufficiale si disponeva già ad iniziare l'esecuzione, quando succedé un cambiamento nell'atteggiamento del lama. La divertita espressione del suo viso si trasformò in palese preoccupazione. Con precipitosa voce gridò:

—Signore formica, per favore dica ai suoi apprezzabili amici che sotto il pendio che sta alle mie spalle ci sono delle rocce. Le pallottole potrebbero rimbalzare e ferire a qualsiasi di loro. Vi supplico di essere così gentili di fucilarmi da un'altra parte.

Puntso informò l'ufficiale di quello che il lama diceva. Il militare manifestò prima sconcerto, poi reagì con furia ed affermò categorico che era lui chi comandava e non aveva motivo di tener conto le indicazioni dei delinquenti a cui giustiziava; finalmente, cauto, ordinò a uno dei soldati che affondasse la sua baionetta nella terra del piccolo pendio. Il metallo dell'arma sbatté all'istante con solide rocce nascoste sotto un sottile strato di terra.

L'ufficiale selezionò un altro posto per portare a termine l'esecuzione. Mentre era portato al nuovo posto che era stato scelto per dargli morte, il lama non smise di formulare ogni tipo di scuse per il disagio che stava causando ai suoi carnefici. Puntso si astenne di tradurre le parole dell'anziano, stimando che così facendo soltanto sarebbe servito per incrementare l'esasperazione che produceva nei cinesi il rendersi conto che era loro impossibile capire il carattere dei tibetani.

Le mire di dieci fucili convergerono nella magra figura che avevano davanti a loro. Un anormale silenzio si estese per la valle, come se i suoi abitanti si trovassero paralizzati di spavento davanti al crimine che stavano per presenziare. Al suono della mortale scarica il corpo del lama si scosse come risultato degli impatti ricevuti. Successivamente rotolò per terra rimanendo con il viso rivolto verso il cielo. Un ultimo sorriso era rimasto congelato nelle sue labbra e il suo volto era una vera e propria immagine di quell'intima soddisfazione che solo produce il felice compimento di un arduo compito.

Non si spegneva ancora l'eco degli spari, quando si ascoltò un grido straziante uscito dalla gola di Regina. Con gli occhi spalancati e i lineamenti sfigurati, la giovane scappò dai custodi che la fiancheggiavano e cercò di arrivare fino all'inerte corpo del lama. Non ci riuscì. Il suo organismo seguiva in preda di un'estrema debolezza. Dopo aver avanzato pochi passi, inciampò e cadde a terra. Parecchie braccia l'alzarono e la bloccarono impedendole ogni minimo movimento. Tuttavia, la terribile impressione che causasse in lei lo spettacolo dell'esecuzione aveva dissipato improvvisamente lo stordimento che paralizzava la sua mente. Una furia vulcanica ed un inderogabile affanno di vendetta esplosero incontrollabili nel suo spirito. Ricordando che possedeva poteri che le permettevano di controllare gli elementi —e senza importarle per nulla la sua propria morte se in cambio di ciò poteva dare una meritata punizione agli assassini— Regina invocò a grandi voci l'aiuto della nascosta coscienza che sottosta nelle energie che animano al vento e all'acqua, come alla terra e il fuoco, chiedendole di promuovere contemporaneamente un ciclone, una inondazione, un terremoto e un incendio, che annientassero ogni essere vivente che si trovasse in quei momenti nella valle.

Frustrazione totale per la infuriata Dakini. I quattro elementi che danno origine alla manifestazione della materia non si presentarono presso il disperato richiamo che a loro si faceva. Chi arrivò fino a dove si trovava Regina fu Puntso.

—In realtà devi essere matta —affermò tra sonore risate—. Quello vecchio idiota non solo ti teneva morta di fame, ma anche deve averti riempito la testa di superstizioni. Credimi che ti capisco —affermò in un tono che intendeva essere confidenziale—. Io vissi anche molto tempo credendo nelle bugie che ci raccontavano i lama, ma ora sono un uomo nuovo grazie a che ho saputo sfruttare l'opportunità che mi avevano dato i nostri generosi protettori. Studiai cinque anni in Cina e sono stato nominato commissario politico di tutta questa regione. Saremo costretti a giudicarti dato che le tue attività erano illecite ma non ti preoccupare, sei stata gentile con me e io sono una persona riconoscente, tenterò di aiutarti.

Una volta dette queste parole Puntso ritornò accanto all'ufficiale cinese. Questo si trovava seduto di nuovo di fronte al tavolo e aveva estratto della sua vecchia valigia il magro espediente che conteneva le accuse contro Regina.

I soldati portarono all'imputata davanti ai suoi giudici. Il robusto militare fu leggendo con voce tranquilla un documento che Puntso stava traducendo con la sua ormai abituata efficienza. La prima accusa derivava dal fatto che, essendo Regina una straniera, rimanesse nel Tibet senza una apposita licenza delle autorità cinese. La seconda, molto più grave, era che non aveva sviluppato mai un'attività economicamente produttiva, bensì vissuto a spese del lavoro del popolo. Aveva qualche argomentazione per addurre in sua difesa?

Nonostante lo sconcerto che le produceva l'aver perso i suoi poteri di Dakini, la collera che dominava Regina non aveva diminuito per niente. Con lo sguardo acceso e le parole confondendosi nella sua bocca, scoppiò in una litania di insulti nei confronti di coloro che erano presenti, dei parenti di questi, dei tibetani che collaboravano con gli invasori e di tutti i cinesi in generale. Ingiurie che non aveva pronunciato mai —ma solo ascoltato quando erano proferite per i khampa e per i servi del Potala— uscivano ora dalle sue labbra in cascata incontenibile. La giovane concluse la sua litania chiedendo essere fucilata immediatamente, perché preferiva mille volte la morte a dover continuare a sopportare simile compagnia.

—Che linguaggio!— esclamò  Puntso—. Se così parla la discepola posso immaginare come avrebbe parlato il Maestro. Ora mi rendo conto della classe di soggetto che deve essere stato questo vecchio lama, ma non pensare neanche che vado a tradurre simili sciocchezze, dirò che ti sei sfogata insultando al reazionario che ti manteneva prigioniera contro la tua volontà e che brami diventare utile ai lavoratori del tuo paese, per cui implori che ti sia data l'opportunità di essere rieducata nella nuova Cina.

L'ufficiale annotò parola per parola la distorta traduzione fatta da Puntso su quanto espresso da Regina. In seguito ambedue dialogarono a lungo. Il militare mostrava seri dubbi rispetto alla decisione che doveva adottarsi. La crudeltà del suo carattere gli faceva propendere comunemente per l'applicazione della pena di morte su ogni giudizio su cui partecipava. Con grande abilità, Puntso fece vedere all'ufficiale che nell'espediente del giudizio del lama era stata stabilita una confessione dell'anziano, nella quale questo riconosceva essere il vero colpevole dei crimini commessi dalla giovane straniera. Allo stesso modo, si era trascritto nell'espediente del giudizio di Regina la presunta richiesta formulata da quest'ultima sollecitando le fosse concessa l'opportunità di essere rieducata in Cina. Tutto questo —concluse affermando Puntso in modo sottile— poteva forse portare alle autorità cinesi, che riesaminerebbero gli espedienti, alla conclusione che la cosa giusta sarebbe stata tentare di guadagnare una futura lavoratrice e non fucilarla. Con riluttanza, il militare manifestò il suo assenso con quanto espresso dal giovane commissario.

Riprendendo nuovamente un rigido atteggiamento, Puntso e l'ufficiale si misero in piedi. Tradotte dal primo arrivarono a Regina le considerazioni, e la sentenza, elencate dal secondo:

—La generosità delle autorità della Repubblica Popolare Cinese non ha limiti. Implacabili con i reazionari, sanno essere comprensive con coloro che hanno agito erroneamente per ignoranza dai suoi doveri verso il popolo. Si concede alla messicana Regina Teucher Pérez l'opportunità di arrivare ad essere utile ai lavoratori del suo paese. Sarà rieducata nella prigione per donne antisociali della città di Chengtu. Quando le autorità giudichino concluso il processo di rieducazione, sarà rispedita al suo paese.

Regina pensava di insistere nella sua esigenza di essere fucilata, ma comprendendo che quanto dicesse risulterebbe inutile, optò per tacere e tentare di pianificare la condotta che dovrebbe assumere davanti a simili circostanze. Era così disperata che per qualche istante pensò in mettersi a correre sotto gli occhi di tutti con il solo scopo di costringere i soldati a spararle. Rifiutò l'idea avendo capito che sarebbe stato impossibile da fare, dato che la debolezza che la dominava le farebbe crollare di nuovo non appena cercasse di fare dei passi. Riflettendo su quale potrebbe essere la causa, tanto della sua inusitata prostrazione come della perdita delle sue facoltà, concluse che detta causa non poteva essere altro che il tè che prendesse la sera prima. Quanto più rifletteva, più si convinceva che il lama aveva previsto quello che sarebbe successo e che le aveva dato quel beveraggio affinché lei non cercasse di opporvisi a quello che stava accadendo. Quello che non riusciva ancora a capire erano i motivi del lama per agire in così strano modo.

Quattro soldati scavarono all'entrata della caverna la tomba in cui riposerebbero i resti del lama. Una volta concluso il loro compito, i soldati alzarono il corpo dell'ex primo ministro del Tibet e senza alcun riguardo lo gettarono nel fondo della fossa. Regina si trovava a scarsa distanza e poté osservare per ultima volta il sereno viso dell'anziano. Mentre le spalate di terra coprivano la piccola figura che giaceva nel buco, si operò un improvviso cambio sullo stato d'animo di Regina. Come se la serenità e fermezza che aveva caratterizzato in vita a l'estinto lama costituissero una specie di eredità che sarebbe stato trasferita alla sua discepola, questa si sentì improvvisamente invasa per una profonda pace interna. Abbandonando ogni idea di morte, si fece a sé stessa la promessa di assumere il suo destino qualunque cosa fosse.

Raggiunto il suo scopo, i cinesi si preparavano per abbandonare la valle. Tutto attrezzo che trovarono nella grotta fu portato all'esterno. Puntso affermò che detti attrezzi erano degli abitanti del villaggio e che il lama li aveva ottenuti con l'inganno, motivo per cui dovevano essere restituiti ai suoi autentici proprietari. Regina percorse con lo sguardo la modesta collezione di beni che gli erano stati così utili durante il loro soggiorno nella caverna. Osservò che tra il mucchio di cose si trovava il sacchetto di stoffa dove conservava i diamanti e i suoi documenti personali e glielo fece sapere a Puntso; questo le rispose che se tra quegli oggetti si trovavano alcuni che fossero di lei e non degli abitanti del villaggio, si inventarierebbero a parte in modo da poter così ridargliele quando concludesse la sua rieducazione. Senza esitazione alcuna, Regina prese da parte la borsa e le due immagini religiose che avevano integrato il suo altare. Dopo qualche esitazione, separò anche l'antico libro che trovassero al loro arrivo alla caverna, come pure il mulino di preghiere del lama.

Prima di partire i cinesi ingerirono il loro pasto di mezzogiorno, consistente fondamentalmente in un'abbondante porzione di riso. Anche se gli eventi avevano tolto a Regina tutto l'appetito, la giovane si costrinse a tentare di assaggiare il cibo che le davano i suoi carcerieri. Con grande sorpresa si rese conto che, secondo lei mangiava riacquistava le sue perse forze. Quando arrivò il momento di intraprendere la marcia si trovava quasi ristabilita, perciò facendo soltanto leggere inciampate, poté avanzare al ritmo degli altri integranti della colonna.

Una volta raggiunta la cima di una delle montagne che costeggiavano la valle, i camminatori fecero un alto prima di iniziare la discesa. Regina pensò che molto probabilmente mai tornerebbe a contemplare quel luogo di cui conservava tanti e così cari ricordi. Nel contempo che guardava il paesaggio, la giovane tentò di registrare nella sua memoria un'ultima immagine del luogo. Nel girarsi per riprendere la camminata, sentì chiaramente nelle sue spalle l'impressione che tutti gli esseri che popolavano la valle le stavano trasmettendo un affettuoso commiato. Questo la fece capire che cominciava a recuperare le sue perse facoltà di Dakini. E infatti, all'imbrunire di quello stesso giorno, mentre i cinesi alzavano un improvvisato accampamento in mezzo a una stretta scarpata, Regina ascoltò il vicino ruggito di un leone di alta montagna e capì chiaramente il messaggio che la bestia cercava di esprimere: parecchi leoni attaccherebbero l'accampamento non appena scendesse la notte, lo scopo che lo guidava era quello di liberarla massacrando a coloro che la tenevano prigioniera.

Utilizzando lo stesso tono tra affettuoso ed energico che userebbe qualsiasi persona per dare ordini ai cani di casa, Regina ordinò con grandi voci ai leoni che sospendessero il loro proiettato attacco e si allontanassero quanto prima dalle vicinanze dell'accampamento. I ruggiti cessarono istantaneamente e la giovane riuscì a percepire i passi furtivi dei felini che andando in gruppo si addentravano nelle montagne.

Ignari del grave pericolo che avevano appena sfiorato, gli occupanti dell'accampamento osservarono curiosi l'estranea condotta che offriva la sua prigioniera proferendo forti e incomprensibili grida. Puntso, l'unico dei presenti che capiva quello che la giovane diceva, vide nel fatto che questa pretendesse di dare ordini ad un invisibile branco di leoni una prova in più che, come dicesse il lama, la giovane era piuttosto fuori di testa. Con grandi risate informò ai cinesi quello che stava succedendo. La notte si riempì di risate sarcastiche e di ogni tipo di scherzi che i soldati rivolgevano a Regina, esortandola di chiamare le fiere per avere così l'opportunità di dar loro caccia.

Che diventasse il centro delle battute non risultò fastidioso per Regina. Avendo constatato che possedeva nuovamente le sue facoltà di Dakini, sapeva che poteva scappare e perfino annientare ai suoi rapitori quando così lo desiderasse. Tuttavia, aveva preso la decisione di non opporsi a quello che stava accadendo, poiché era fermamente convinta che tutto ciò era risultato di un piano tracciato dal lama con fini che le erano ancora sconosciuti.

Dopo cinque giorni di marcia tra ripidi massicci montuosi, la colonna e la sua prigioniera arrivarono nel villaggio i cui abitanti avevano proporzionato al lama e a Regina un generoso aiuto durante la sua permanenza nella valle. Quello sarebbe diventato per la giovane un sorso difficile da passare. Gli abitanti del villaggio non solo sentivano per lei un grande affetto; bensì profondo rispetto ed ammirazione, giacché la consideravano una prova vivente della veracità delle loro credenze nell'esistenza di esseri dotati di magici poteri. In molte delle sue conversazioni quotidiane, i paesani piacevano immaginare quello che succederebbe se i cinesi arrivavano a scoprire il nascondiglio dove abitava la Dakini, concludendo che basterebbe a questa un lieve movimento delle mani, accompagnato dalla pronuncia di un mantra, per riuscire a fulminare i suoi nemici.

Puntso, nato e cresciuto nel villaggio, conosceva molto bene il concetto che di Regina avevano i suoi abitanti, per cui desiderava approfittare sua cattura per distruggere quello che lui qualificava di assurde superstizioni dei suoi compatrioti. Inoltre, un oscuro complesso determinava la condotta del giovane commissario. Orfano da molto piccolo era riuscito a sopravvivere, al pari della sua prigioniera, grazie all'aiuto ricevuto della gente del villaggio; questo non aveva generato in lui gratitudine alcuna, bensì un profondo risentimento che si traduceva nel desiderio di fare ostentazione della sua appena acquisita autorità. Prima di arrivare al villaggio, Puntso dispose si legasse Regina con le braccia nella schiena e di essere privata dei suoi sandali. In questo modo, scalza, legata e custodita per due file di soldati che avanzavano con baionette in canna, la Dakini fece la sua entrata nel piccolo villaggio. Era un bel tramonto e la neve delle vicine montagne risplendeva con multicolori sfumature. I paesani erano rientrati dalle loro quotidiane attività e si trovavano chiacchierando fuori dalle loro case.

La colonna si fermò al centro del villaggio e Puntso convocò tutti i suoi abitanti a radunarsi immediatamente. Sostenuto dalla forza che gli dava la presenza del contingente armato, il commissario rimproverò ai abitanti del villaggio per aver contravvenuto, per anni, la disposizione che vietava di proporzionare aiuto a parassiti sociali come lo erano le persone che portavano vita di eremiti. Raccontò la punizione che era stata inflitta al lama Tagdra per i suoi crimini contro il popolo, come l'opportunità di riabilitazione concessa alla prigioniera. Finalmente, informò che le autorità cinesi, sempre pronte a perdonare le passeggere deviazioni in cui per ignoranza potevano incorrere i tibetani, avevano disposto come unica punizione agli abitanti del villaggio un incremento nella quota di alberi tagliati che questi dovevano consegnare mensilmente.

Mentre Puntso parlava gli abitanti del villaggio lo ascoltavano ma non lo vedevano, tutti gli sguardi si mantenevano fissi su Regina. Sentimenti di incredulità, frustrazione e impotenza, si riflettevano chiaramente negli abbattuti visi dei montanari. Bambini e donne non cercavano di dissimulare la tristezza che li dominava e lasciavano scorrere liberamente le sue lacrime. L'ammanettata figura della Dakini simbolizzava per tutti molto di più che la personale disgrazia di un proprio caro, era la rappresentazione stessa dello stato della Nazione, vinta e umiliata davanti al potere dell'invasore.

Puntso concluse il suo demagogico discorso annunciando che la colonna accamperebbe quella notte nel villaggio, per proseguire la sua marcia il giorno dopo verso il confine cinese. Desiderando rimuovere completamente nei suoi compatrioti la credenza che la giovane straniera fosse un essere dotato di poteri superiori, il commissario dispose che Regina avrebbe trascorso la notte legata ad un palo che fu inchiodato proprio nel centro del villaggio. Quattro guardiani si alternerebbero per custodirla e rimaneva strettamente vietato avvicinarsi a lei a meno di venti passi o rivolgerle la parola.

Le ordine di Puntso furono rigorosamente rispettate nella forma, ma incompiute nel fondo. Gli abitanti del villaggio si diedero da fare per riuscire ad esprimere la natura dei suoi sentimenti verso Regina, senza violare per questo motivo la proibizione di stabilire comunicazione con questa. Non finivano ancora i cinesi di legare la loro prigioniera al palo, quando la totalità degli abitanti del villaggio, formando un ampio cerchio intorno a Regina ma senza avvicinarsi a lei oltre il limite stabilito dei venti passi, cominciarono ad accendere fuochi con il duplice scopo di resistere il freddo glaciale della notte in favore della giovane e di manifestarle la loro solidarietà.

Il cerchio di fuoco e affetto steso intorno Regina rimase tutta la notte. Uomini donne e bambini, con le bocche chiuse e gli sguardi infiammati di affettuosi sentimenti, si furono dando il cambio nel compito di alimentare falò e di accompagnare la "sua" Dakini.

L'indistruttibile solidarietà che le mostravano gli abitanti del villaggio costituiva per Regina la più dura delle prove. Il solo pensiero di quanto facile le risulterebbe annichilire ai cinesi e la gioia che questo motiverebbe nei tibetani, le costava un enorme sforzo controllarsi e continuare rappresentando la farsa della sua apparente impotenza. Quando mancava ancora abbastanza tempo affinché albeggiasse, Regina osservò che la maggior parte delle donne si allontanavano camminando giù dalla montagna, ognuna di esse caricando recipienti delle più diverse classi. La facilità con cui trasportavano i recipienti evidenziava che questi si trovavano vuoti. La luce del nuovo giorno regnava già quando le donne ritornarono camminando faticosamente, letteralmente piegate sotto il peso dei suoi recipienti, ora pieni fino all'orlo. Nel traboccarsi da uno di questi alcune gocce d'acqua Regina comprese la natura di quel pesante lavoro. Il villaggio era lontano della fonte di approvvigionamento di acqua e questa doveva essere trasportata giornalmente attraverso estenuanti sforzi.

Una volta che i cinesi furono pronti per continuare il loro viaggio procederono a slegare Regina. Non appena si vide libera da suoi legami la giovane si inginocchiò e baciò il suolo tre volte, dopo pronunciò varie misteriose parole dirigendosi apparentemente alla terra stessa. La sua inaspettata condotta motivò le risate dei soldati, sempre più convinti che la loro prigioniera era disturbata nelle sue facoltà mentali.

Tale e come avevano fatto il loro ingresso nel villaggio i cinesi uscirono di questo. Presuntuoso sguardo, baionetta pronta e ritmo vigoroso. Regina camminava in mezzo ai soldati, ancora scalza e nuovamente ammanettata. Gli abitanti del villaggio, silenziosi e trascinando il suo abbattuto spirito, marciarono un lungo cammino in inseguimento della colonna, fino ad un luogo in cui il sassoso sentiero si restringeva per addentrarsi nella montagna. Lì si fermarono e aspettarono che la giovane e i soldati si perdessero di vista. Voltandosi i tibetani ritornarono al villaggio. Arrivando a questo, la prima cosa che fecero fu dirigersi al luogo dove si trovava il palo nel quale era stata legata Regina. Considerando che quell'oggetto sarebbe per loro un costante ricordo delle umiliazioni che gli invasori li avevano appena inferiti, i paesani si diedero al compito di rimuoverlo immediatamente.

Nell'istante stesso in cui il palo fu separato dal suolo, un forte getto d'acqua cominciò a sorgere dello spazio lasciato dal legno. Si trattava di un liquido di cristallina trasparenza ed evidente purezza il cui inaspettata apparizione trasformò immediatamente lo stato d'animo degli abitanti del villaggio. La tristezza e disperazione si trasformò al punto in allegria e fiducia. La prodigiosa nascita della sorgente non metteva solo fine al pesante compito di dover portare acqua da un lontano sito, bensì costituiva per i paesani qualcosa di molto più importante: un segnale lasciato dalla "sua" Dakini che essa non era così inerme e indifesa come di sicuro giudicavano i suoi orgogliosi carcerieri.
L'obiettivo della colonna che portava a Regina era l'antico posto di frontiera di Gangto Druga, situato sulle rive del fiume Yang-tse-kiang. In questo posto era avvenuto nel 1950 un fatto che fu una specie di simbolico assaggio di quello che sarebbe tutto il conflitto cinese-tibetano. 

La guarnizione tibetana che in quell'epoca custodiva il posto di frontiera, aveva informato alle autorità di Lhasa che a giudicare dai preparativi dal crescente numero di truppe situate all'altro lato del fiume, queste si disponevano ad iniziare un'invasione su vasta scala del Tibet. Sempre desideroso di evitare qualunque confronto con i suoi poderosi vicini, il governo tibetano aveva ordinato il comandante della guarnizione che in caso di un attacco procedesse a ripiegarsi all'interno senza combattere. Perciò, osservando che il fiume si popolava di innumerevoli navicelle di cuoio pilotate per soldati cinesi, il comandante della guarnizione ordinò la ritirata, ma proprio in quel momento si ascoltarono feroci grida di guerra accompagnate da una nutrita sparatoria, la stessa che si abbatté sugli occupanti delle navicelle causando loro numerose vittime. Gli autori di grida e spari erano una partita di banditi khampa, i quali non sembravano molto disposti a permettere che il suo paese fosse invaso tanto impunemente.

Incoraggiati dall'esempio dei khampa, i soldati tibetani si unirono alla lotta riuscendo a respingere il primo tentativo di attraversare il fiume effettuato per le truppe cinesi. Queste riprenderono il loro attacco quella stessa notte. Coperte dalla protezione che offriva loro l'oscurità, attraversarono per diversi siti il fiume e tentarono di circondare i tibetani. Si combatté una dura battaglia notturna. Conoscitori del terreno in cui si muovevano, i tibetani approfittarono di questo vantaggio per infliggere forti perdite ai loro avversari, ma sopraffatti in numero in una proporzione schiacciante, finirono per essere costretti ad intraprendere la ritirata. La prima pagina del sanguinoso conflitto centro-asiatico era appena stata scritta.

Arrivati a Gangto Druga la partita militare che aveva catturato e portato fino a quel posto a Regina diede per conclusa la sua missione. L'ufficiale cinese consegnò alla giovane insieme a tutti i documenti del caso al comandante della guarnizione della piazza chi, a sua volta scambiò carte e persona all'ufficiale di un distaccamento che stava per ritornare alla Cina, precisamente alla provincia di Se Shuan, nella cui capitale, la città di Chengtu, si trovava il centro di rieducazione in cui Regina doveva rimanere confinata.

Trascorse varie settimane di percorso attraverso polverose e appena costruite strade, i pesanti camion in cui si trasportava il distaccamento cinese giunsero finalmente a destinazione. Una volta che lasciò installate alle sue truppe nel quartiere della città, l'ufficiale a carico del distaccamento, guidando personalmente un'antiquata automobile, portò in essa a Regina alla periferia della popolazione, fino ad un posto dove c'era stato per secoli un famoso tempio taoista ed era ora il massimo centro di rieducazione per donne antisociali in tutta la Cina.

Oltrepassando la soglia della quale sarebbe stata la sua nuova dimora, Regina ascoltò il suonare di una campana. Sorpresa, notò immediatamente che quel suono solo poteva essere prodotto per un strumento sacro toccato per qualcuno che sapeva quello che stava facendo. Comprese cosicché stava nel posto esatto in cui il lama aveva voluto che andasse.