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La richiesta di aiuto 


Gli abitanti della casa della Calle de Alumnos avevano seguito con crescente interesse, attraverso giornali e telegiornali, lo sviluppo degli eventi iniziati nella Plaza de la Ciudadela il lunedì 22 luglio. Anche se i media avevano distorto radicalmente la verità di quello che è successo - affermando che il confronto tra porros e studenti era stato una rissa tra alunni di diverse scuole - Regina presentì, leggendo la nota corrispondente su una pagina interna del giornale che quel fatto apparentemente irrilevante poteva già costituire una prima manifestazione del tanto atteso risveglio della coscienza collettiva della popolazione del paese.

Dopo aver appresso della manifestazione che si terrebbe venerdì 26 luglio, per protestare contro l'attacco dei granaderos, tenuto il martedì precedente, agli studenti della Vocacional Cinque e della Preparatoria Isaac Ochoterena, Regina menzionò davanti ai Quattro Autentici Messicani la possibilità di partecipare a detta manifestazione. Don Uriel le diede motivi per non farlo. Chi convocava il presunto atto di protesta - spiegò l'Erede della Tradizione Olmeca - era la Federazione di Studenti Tecnici, screditato e corrotto organismo sovvenzionato per il governo. Niente di buono ci si poteva aspettare di un atto sponsorizzato da coloro che avevano fatto mantenere controllati gli studenti come un modus vivendi, avvalendosi dei più sporchi e violenti procedimenti.

Le notizie sugli eventi del 26 luglio - sebbene distorcevano come al solito la realtà degli eventi - confermarono la supposizione della Regina del Messico rispetto al risveglio di coscienza che cominciava a prodursi nel paese. La piena constatazione che la sua ipotesi era corretta non l'otterrebbe Regina tramite il suo diario e diligente analisi delle notizie, ma attraverso la personale e dolorante testimonianza della dirigente del Centro di Messicanità ubicato nell'edificio Chihuahua dell'unità domiciliare di Tlatelolco.

Martedì pomeriggio 30 luglio l'infermiera Leticia Rojas Jiménez telefonò Regina per chiederle che, se possibile, accorresse al suo dipartimento perché stava soffrendo una crisi a conseguenza degli eventi a cui aveva assistito la sera prima. Accompagnata dai Quattro Guardiani della Tradizione. Regina si recò immediatamente al domicilio della giovane jalisciense. La trovò sull'orlo del collasso. Non riusciva già ad articolare parola e il suo corpo si agitava scosso da incontrollabili convulsioni. Subito don Rafael prese in mano la situazione; sdraiando Leticia faccia in giù cominciò a massaggiarle il collo, le vertebre e la spina dorsale con abili movimenti, producendo nel teso organismo, in primo luogo, il suo completo rilassamento, e in seguito, un sonno profondo e riparatore. Regina e i suoi accompagnatori trascorsero la notte nel dipartimento di Leticia, alternandosi per vegliare il suo sonno. L'infermiera si svegliò all'alba; era già molto più calma, dovette nonostante piangere un bel po' per sfogarsi. Asciugate le sue lacrime, narrò con descrittive immagini quanto aveva presenziato nella Scuola Nazionale Preparatoria: l'appassionato entusiasmo con cui gli studenti avevano organizzato la difesa di San Ildefonso, il suo vincente rifiuto dell'aggressione della polizia, l'arrivo dell'esercito e il suo letale attacco con la sua tragica sequenza di preparatorianos morti e feriti.

Era giorno quando l'infermiera diede fine alla sua narrazione. Regina preparò una deliziosa colazione - "stile cinese", come disse - e tutti l'ingerirono con buon appetito. Leticia espresse il suo interesse per informarsi sulle reazioni che aveva suscitato la presa di San Ildefonso. Accesero la televisione proprio nel momento in cui cominciava un telegiornale. Soltanto ascoltarono commenti su eventi sportivi e irrilevanti eventi. Si collegarono con Radio Università e poco dopo sentirono una sorprendente notizia: il giorno dopo, il rettore dell'UNAM condurrebbe una marcia di protesta.

-Io andrò a quella manifestazione - espresse Leticia con ferma voce.

-Non andrai da sola - rispose Regina -. Tutti i membri dei Centri di Messicanità verremo con te.
La volkswagen verde - con l'ammaccatura in uno dei suoi parafanghi ancora senza riparare - avanzava velocemente attraverso il viale de los Insurgentes. In contrasto con il traffico pesante della mattina, il transito veicolare era ormai scarso. Da ben presto gruppi studenteschi si erano impadroniti degli autobus dei passeggeri per arrivare in essi a Città Universitaria. Questo aveva causato un completo caos stradale in tutta l'area urbana del Distretto Federale. Davanti alle insormontabili difficoltà che sollevava il trasporto, molte persone avevano scelto di non muoversi a nessun lato. Il traffico pesante cominciò a diminuire lentamente e dalle tre del pomeriggio il transito era persino minore del solito.

-Si sono già accorti che in tutte le strade che stiamo attraversando c'è un mucchio di soldati? -domandò il Testimone dirigendosi agli altri cinque occupanti del piccolo veicolo.

-Sì - rispose Regina.

-Questo non promette niente di buono - affermò don Miguel con sospettoso tono.

-Devono essere circa ventimila - disse don Gabriel chi a quanto pare possedeva una speciale facilità per effettuare rapidamente ogni tipo di calcolo.

Don Uriel inarcò le sopracciglia al tempo che sottolineò:

-Il governo sempre ha avuto paura che il Zocalo sia utilizzato per atti che non siano gli strettamente ufficiali. Non credo che lasci avanzare la manifestazione verso il centro. Ha ordinato all'esercito di impedirla.

-Possiamo fermarci un momento? -domandò don Rafael senza spiegare il perché desiderava farlo.

L'automobile si fermò, don Rafael non scese dal veicolo, si limitò ad osservare con concentrata attenzione attraverso la finestra quanto lo circondava, dopo espresse:

-Le truppe non sonno per impedire l'avanzata dei manifestanti fino allo Zocalo, la loro distribuzione e gli angoli di collocazione delle loro armi indicano che hanno ordini di aprire fuoco quando passiamo di qui.

-Come fa a saperlo? -domandò intrigata Regina.

-Sono stato militare diversi anni - rispose don Rafael mentre nel suo viso spuntava un sorriso di nostalgica soddisfazione -, ero nella Scuola Militare e poi sono stato sottotenente.

-Lei? -interrogò con palese stranezza don Uriel.

-Sì, cosa c'è di strano.

-No, niente, è solo che non la posso immaginare da militare, lei è la persona più gentile che abbia mai incontrato in vita mia.

Gli occhi di tutti gli occupanti della vettura rimasero inchiodati nel Supremo Guardiano della Tradizione Zapoteca; notando la sorpresa che aveva causato la sua rivelazione, don Rafael spiegò:

- Come sapete, la strada che ci è stata data da seguire a noi gli zapotecas per arrivare ad essere messicani è quella dell'amore. Il sentiero è lungo e ripido. C'è ogni tipo di trappole e di tappe che bisogna continuare a superare. Percorrere questa strada richiede di un adeguato impiego del rigore, perché solo chi possiede un pieno dominio di sé stesso può amare in realtà. È per quel motivo che in un determinato momento si esige all'aspirante adattarsi alcuni anni alla disciplina militare,  sia come semplice soldato o come cadetto ed ufficiale. Così, se non arriva ad essere un Autentico Messicano, avrà almeno l'opportunità di essere un buon militare.

Finite le confidenze di don Rafael, la vettura riprese la sua marcia. Dopo poche centinaia di metri si fermò di nuovo. Don Uriel che era chi la conduceva, puntò l'indice su quello che aveva attirato la sua attenzione. Numerosi giovani, indossando il tradizionale camice bianco che utilizzano i medici, si stavano radunando all'incrocio dei viali Insurgentes e Félix Cuevas.

-Devono essere studenti di medicina - spiegò il Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca -. Perché saranno qui? La cosa più logica sarebbe che fossero già in Città Universitaria, manca meno di un'ora affinché si avvii la manifestazione.

-Perché non glielo chiediamo a loro? -inquisì Regina. Con un po' di fatica - perché erano un tanto stretti - i sei occupanti della volkswagen scesero di quest'ultima. All'istante si videro circondati di una moltitudine di camici bianchi. Si lasciarono sentire diversi fischi, testimonianza dell'ammirazione che produceva nei futuri medici la bellezza di Regina. Ascoltando i fischi un gesto di dispiacere oscurò le fazioni di don Miguel; sparì subito notando l'atteggiamento, in estremo cordiale, che manifestavano gli studenti. Don Uriel e Regina dialogarono con essi, esprimendo loro la sua preoccupazione per la vicina prossimità delle truppe pesantemente armate. I giovani spiegarono che la loro presenza in quel posto ubbidiva proprio a questo fatto. Erano lì per evitare che possibili agenti provocatori cercassero di condurre la manifestazione fino a dove si trovava l'esercito. Regina fece loro i complimenti per la missione che svolgevano e salutò alzando entrambe le mani ed scuotendole ripetutamente. Nel momento in cui la Regina del Messico ritornava alla vettura, i tirocinanti di medicina improvvisarono una affettuosa ovazione i cui ultime parole risuonarono quando il veicolo iniziava la sua marcia:

-L'Hostess, l'Hostess, ra, ra, ra.

Il luogo fissato per la riunione di coloro che facevano parte dei Centri di Messicanità era stato il distributore di benzina ubicato quasi all'entrata di Città Universitaria. Don Uriel parcheggiò l'auto a pochi isolati prima e il sestetto arrivò camminando al luogo dell'appuntamento. Li aspettavano già quattrocento persone. Negli sguardi di tutte si traspariva quella serena forza che possiedono solo quelli che hanno consacrato la loro vita alla conquista di un elevato ideale.

Un rumore di mare agitato cominciò a sentirsi in lontananza. Regina e coloro che l'accompagnavano sentirono i manifestanti prima di vederli. Le ovazioni, grida e cantici proferiti per molte migliaia di entusiaste gole, popolavano lo spazio riempendolo di vibranti suoni. Poco dopo poterono contemplare il primo contingente che era in testa alla manifestazione. Il rettore era davanti, accompagnato dai principali funzionari universitari e di anziani insegnanti. Passando al suo fianco, l'ingegnere Barros Sierra osservò con curioso sguardo la gracile figura dell'Hostess Olimpica.

Regina e il suo gruppo si incorporarono immediatamente alla colonna, esattamente dietro del contingente iniziale presieduto dal rettore. Man mano che avanzava su Insurgentes, cresceva il numero di passanti e vicini che si fermavano a contemplare il passo della manifestazione. La risplendente bellezza della Regina del Messico e la sua vistosa divisa attiravano l'attenzione di quanti la vedevano avanzare. La sua presenza svegliava in tutti gli sguardi un miscuglio di ammirazione e curiosità, sentimenti che molto presto si trasformavano in qualcosa di molto più profondo e trascendente: l'intuizione che una giovane come quella costituiva una prova irrefutabile dell'esistenza di esseri dotati di una superiore spiritualità.

-Caspita! -esclamò Regina rendendosi conto dello stato d'animo che regnava tra il sempre più  numeroso pubblico -. Come mi piacerebbe poter urlare. "Popolo, sveglia!".

-E perché non lo fate? -domandò don Uriel che marciava al suo fianco.

-Perché so che questo sarebbe agire ora, cominciare a intervenire negli affari del mio paese, e non posso né devo farlo finché non mi sia chiesto che lo faccia.

Don Miguel fu il primo a vederli arrivare, notando immediatamente che non si trattava di studenti. Sono scesi agili e veloci da vari minibus di colore grigio che non ostentavano targhe. Tutti erano giovani, avevano il capello tagliato quasi a zero e portavano identica calzatura: scarpe da tennis di colore bianco.

-Guardate quei tipi - esclamò il Supremo Guardiano della Tradizione Nahuatl -, hanno un'aria di malfattori che si sente da lontano.

-Devono essere circa quattrocento - indicò don Gabriel.

-Credo che siano gli Halcones - disse don Uriel.

-E qui sono questi? -domandò Regina.

-Un gruppo paramilitare di repressione. Che si sappia fino ad ora il governo non li aveva utilizzati mai. Un amico che lavorava in Governo mi parlò di loro l'altro giorno, a quanto pare dipendono direttamente dal presidente della Repubblica. Si presume che hanno ricevuto tutti i tipi di allenamento fino a trasformarli in autentiche macchine distruttive, ma francamente, essendo così pochi, non credo che possano dissolvere una manifestazione di queste dimensioni.

-Dissolverla non, ma sì condurla fino a dove si trova l'esercito - opinò don Rafael.

La condotta che, dopo di fare la loro comparsa, assunsero gli nuovi arrivati, lasciò vedere la giustezza dell'opinione di don Rafael. Divisi in due gruppi che si collocarono ad entrambi i lati della colonna di manifestanti, gli Halcones cominciarono ad inneggiare insistentemente una sola parola: "Zo-ca-lo, Zo-ca-lo, Zo-ca-lo."

Come è logico supporre, l'incitamento a proseguire la marcia oltre il limite fissato non produsse effetto alcuno né nel primo contingente che intestava il rettore, né nel secondo, costituito per i membri dei centri di Messicanità. Tuttavia, a partire dal terzo, la provocazione cominciò a fruttificare. Tale e come succedesse il 26 luglio, la semplice enunciazione del centro sacro più conosciuto del paese, svegliò all'improvviso in migliaia di persone un desiderio praticamente irresistibile di recarsi quanto prima a detto centro. La stragrande maggioranza dei manifestanti non avevano avuto opportunità di rendersi conto che il progetto di marciare fino allo Zocalo era partito di alcuni individui in estremo sospettosi, e pertanto, davano per scontato che detta proposta era sorta fra loro stessi in modo spontaneo.

Nel giro di pochi minuti, innumerevoli ed esaltate voci appoggiavano l'idea di proseguire fino al centro della città.

Percependo l'istintiva urgenza della moltitudine di arrivare fino allo Zocalo, Regina comprese la vera e profonda causa che propiziava questa urgenza:

-Credo che l'inconscio collettivo percepisce già la necessità di riunirsi nel posto in cui risiede il potere, per effettuare lì il rituale che inizierà il risveglio del Messico. Peccato che ancora non esistano le condizioni necessarie per eseguire il rituale.

Dopo di smettere di gridare la parola "Zo-ca-lo" gli atletici giovani di capelli corti sparirono momentaneamente dalla scena. Correndo a grande velocità, superarono la marcia della colonna ed arrivarono fino a dove li aspettavano gli stessi minibus grigi e senza placche su cui erano arrivati, penetrarono ordinatamente in questi e poi uscirono di nuovo, ma portando ora delle lunghe e flessibile bacchette di bambù.

Brandendo e manipolando le bacchette quale se fossero sciabole, gli Halcones aspettarono l'arrivo della manifestazione. Avvicinandosi questa, si collocarono di fronte alla colonna, marciando circa duecento metri davanti del primo contingente. In questo modo, non era già il rettore dell'UNAM che guidava l'avanzata dei partecipanti all'atto di protesta, bensì il più recente e perfezionato gruppo di repressione creato dal governo.

L'ingegnere Barros Sierra si era reso perfetto conto dell'arrivo degli agenti provocatori, indovinando al punto le sue malevole intenzioni. Al fine di contrastarle, al tempo che proseguivano la loro strada, chiese a vari dei suoi collaboratori che si rendessero al compito di localizzare i membri dei comitati di sciopero, allo scopo che questi cercassero di far vedere al maggiore numero possibile di manifestanti la trappola mortale alla quale pretendevano portarli coloro che proponevano arrivare fino allo Zocalo. Allo stesso modo, mandò a dire ai dirigenti studenteschi che in considerazione di quello successo non giudicava conveniente fare un alto e portare a termine il proiettato raduno, ma che sarebbe meglio tentare di ritornare a Città Universitaria.

Gli aiutanti del rettore misero i loro migliori sforzi in compiere l'incarico che li venisse fatto, tuttavia questo non risultò niente facile. Individuare con prontezza un centinaio di giovani dispersi tra più di duecentomila persone era praticamente impossibile. Trovarono alcuni e li trasmisero il messaggio, ma ciò non produsse cambiamento alcuno nella situazione. Anche se mezza dozzina di dirigenti studenteschi tentarono far conoscere il pericolo esistente, le loro isolate voci risultarono dal tutto insufficienti per mutare in prudenza l'esaltato umore della moltitudine. Il coro di voci chiedendo proseguire fino allo Zocalo cresceva di continuo.

La manifestazione stava per arrivare a Félix Cuevas, solo un isolato e mezzo separava al gruppo di giovani che calzavano scarpe da tennis bianche dell'altro gruppo di giovani che, portando camici dello stesso colore, formavano una barriera di contenimento in detta strada. Un fischietto suonò due volte. Brandendo le loro lunghe bacchette di bambù e riflettendo nei suoi visi espressioni di crudeltà e determinazione, i proprietari delle scarpe da tennis bianche si lanciarono all'attacco. Un secondo prima di sbattere con l'umana muraglia che bloccava loro la strada, gli attaccanti proferirono all'unisono un ululato sconvolgente che voleva essere una parola:

-Halcooones!

Mille studenti di medicina dell'UNAM venivano attaccati da quattrocento Halcones. In teoria quattro centinaia di individui efficacemente allenati nelle più svariate tecniche di combattimento sono in grado di vincere, in modo rapido e deciso, ad un migliaio di persone che dedicano la maggior parte del loro tempo a formarsi nella cura dei loro simili, soprattutto se, oltre alla sua forza e competenza, gli aggressori hanno il vantaggio di utilizzare armi che, senza essere mortali, permettono loro di inferire forti colpi ai suoi rivali. Tuttavia, nella vita reale non sempre succede quanto previsto sugli approcci teorici, per quanto ragionevoli che questi possano sembrare. La bianca muraglia avrebbe dovuto sgretolarsi davanti al brutale impatto che ricevesse, ma non fu così; si mantenne in piedi grazie alla dignità, responsabilità e coraggio di coloro che la integravano. I tirocinanti di medicina sapevano molto bene quello che accadrebbe se erano sconfitti. Solo loro si frapponevano tra i manifestanti e le truppe che a scarsa distanza aspettavano questi per dar loro morte. Non retrocederono nemmeno un passo, ma si lanciarono a combattere con tutte le loro forze.

La rissa acquisì dal primo momento una furiosa intensità. Gestendo con grande abilità le loro dure e flessibile bacchette, gli Halcones causavano stragi tra le file degli aspiranti a medici, ma questi si difendevano con frenetica disperazione e in non pochi casi riuscivano a disarmare gli attaccanti e batterli con le loro proprie bacchette. Traballante e screpolata, la muraglia di contenimento si manteneva miracolosamente in piedi.

Il Tenebras (ex narcotrafficante, ex comandante della Federale di Sicurezza, ex allievo migliore della scuola di Abilitazione Antiguerriglia, fondata dal governo degli Stati Uniti dell'America nella zona del Canale di Panama) principale istruttore e massimo dirigente degli Halcones, osservava furibondo ed esasperato l'impotenza del gruppo sotto il suo comando per realizzare il compito che li era stato dato. L'avanzata della manifestazione era già a scarsi venti metri del luogo dove si effettuava il confronto. Se le migliaia di studenti che marciavano nella colonna riuscivano a vedere i suoi compagni di medicina litigando con un gruppo di sconosciuti, di sicuro interverrebbero nella lotta, e non era necessario fare l'indovino per sapere a quale dei due bandi in lotta appoggerebbero. L'evidente presenza dei provocatori darebbe al rettore un argomento incontrastabile per ostacolare qualsiasi tentativo di continuare l'avanzata fino al centro della città. Tutto l'operativo pianificato per il governo per punire a coloro che avevano osato protestare era, per tanto, sul punto di collassare.

Costretto dalle circostanze, il Tenebras comprese che sarebbe necessario cambiare il piano originale di azione. Portandosi alle labbra un fischietto lo fece suonare tre volte. Quale ammaestrato branco, gli Halcones sospesero immediatamente il loro attacco e voltandosi si precipitarono per incontrare l'uomo con il fischietto.

-Imbecilli! -bramì il Tenebras -. Come è possibile che non abbiate potuto con una manciata di cavadenti? Ora dobbiamo cambiare tutto. Il rettore vorrà far ritornare la manifestazione a Città Universitaria; lasciatelo passare e ai suoi leccapiedi e mettetevi dietro, lì dove va quella vecchia vestita a righe -dicendo questo segnalò Regina che, di fronte al loro gruppo si avvicinava all'intersezione di Insurgentes e Félix Cuevas.-. Continuate a gridare "Zocalo" ed arrivando all'angolo di avenida Coyoacan lasciate che il rettore e la sua gente se ne vadano da soli verso destra, voi andate verso sinistra e incitate tutto il branco, come se lo foste a portare allo Zocalo. In quell'angolo non c'è nessuna barriera che ostacoli il passaggio e non devono esserci problemi. Non pensate minimamente di fallire. Io devo andare via, devo mettere in guardia i cacciatori che le loro pecore cambiarono sentiero e che dovranno sbrigarsi se vogliono andare ad ammazzarle.

Una volta impartite le sue istruzioni, il Tenebras abbordò uno dei camion grigi che rimanevano parcheggiati vicino alle porte del magazzino El Puerto de Liverpool. Il veicolo si allontanò velocemente e, facendo una piccola deviazione per evitare il blocco degli tirocinanti di medicina, arrivò fino a dove si trovava l'esercito.

Anche se quelli chi dirigevano l'operazione militare erano a conoscenza dell'esistenza di un gruppo incaricato di condurre i manifestanti fino al luogo dell'imboscata, entrambe le tappe - conduzione ed imboscata - erano state pianificate per effettuarsi in maniera del tutto indipendente, in modo tale che gli elementi che in esse partecipassero  - Halcones e soldati - non avessero bisogno di mantenersi mutuamente informati. Questo distacco tra entrambe le fasi dell'azione repressiva si trasformava ora in un serio ostacolo per riuscire che detta azione raggiungesse i suoi obiettivi. In un primo momento, i militari si rifiutarono chiaramente di modificare l'operativo al suo carico. Il Tenebras non possedeva gallone alcuno, e pertanto, non aveva autorità per pretendere di impartirli istruzioni. Tuttavia, dopo aver ricevuto segnalazioni delle proprie sentinelle indicandoli che, effettivamente, la manifestazione aveva modificato la sua rotta e non avanzava già sul viale degli Insurgentes, i militari si videro obbligati a cambiare la loro opinione. Dando per valide le garanzie che dava loro il Tenebras - nel senso che gli Halcones si incaricherebbero di condurre i manifestanti alla avenida Coyoacán - disposero la mobilitazione delle loro forze.

Tra ruggiti di motori e ritmico picchiettare di stivali nel pavimento, squadra bellica e soldati furono spostati in gran fretta, fino a rimanere debitamente situati nelle loro nuove posizioni, aspettando un'altra volta l'arrivo delle loro già non puntuali vittime.
Man mano che si avvicinavano all'incrocio di Insurgentes e Félix Cuevas, l'ingegnere Barros Sierra e i funzionari universitari poterono notare il feroce confronto che succedeva in quel luogo. I robusti giovani di capelli corti e calzature bianche, armati con lunghe bacchette, attaccavano i tirocinanti di medicina. Gli universitari si difendevano con eccezionale coraggio, senza cedere di un millimetro di terreno ai loro avversari. Contemplando quello che stava accadendo, il rettore non solo riaffermò il suo criterio secondo cui sarebbe del tutto inconveniente pretendere celebrare un raduno in quel luogo, ma decise di cambiare la rotta di ritorno a Città Universitaria - programmata inizialmente sulla stessa Avenida de los Insurgentes -. Senza smettere di avanzare, espresse quasi urlando:

-Continueremo per Félix Cuevas fino ad avenida Coyoacán, lì dovremmo girare per ritornare a Città Universitaria.

Improvvisamente si ascoltò per tre volte il suono di un fischietto. Tale e come succede nelle liti di box al suono della campana, i contendenti si separarono subito. Il gruppo attaccante si voltò e si allontanò correndo, fermandosi ad alcuni metri, giusto all'ingresso di El Puerto de Liverpool. I tirocinanti di medicina rimasero nel loro posto. Le camici di molti di essi erano macchiate di sangue che sgorgava abbondantemente da molteplici bocche e nasi rotti. Varie dozzine di ragazzi giacevano prostrati nel suolo, alcuni per semplice esaurimento ed altri per lesioni di regolare considerazione. Nonostante, il loro stato d'animo era molto alto. Vedendo arrivare il rettore marciare davanti la manifestazione, ebbero ancora energia sufficiente per riceverlo con un vigoroso "Goya."

La contemplazione dei colpiti visi e delle insanguinate camici, legata al risuonare delle vibranti sillabe della ovazione universitaria, motivarono la formazione di un grosso nodo nella gola dell'ingegnere Barros Sierra. Mai come allora aveva provato un orgoglio così grande di essere universitario e mai, neanche, aveva sentito così schiacciante la responsabilità che implicava di essere il rettore dell'UNAM. Al tempo che salutava con affettuoso gesto i tirocinanti di medicina, girò a destra per proseguire la marcia lungo avenida Félix Cuevas. Il suo sguardo scoprì allora il contingente di provocatori che aveva tentato di condurre i manifestanti in un'imboscata; si trovavano raggruppati a scarsa distanza, attorno ad un individuo di robusta costituzione e sinistre fazioni. Il rettore comprese immediatamente che stavano tramando il modo di portare avanti i loro sinistri propositi. Esprimendo ad alta voce i pensieri che l'attanagliavano, affermò:

-Tentano un'altra volta di incitare gli studenti a che vadano allo Zocalo. Di sicuro ci proveranno quando raggiungeremo avenida Coyoacán. C'è lì una barriera di contenimento? -formulò la domanda sapendo la risposta, con la vana speranza di sbagliarsi.

-No - rispose un insegnante che marciava al suo fianco -. Sono arrivato dall' avenida Coyoacán e non c'erano studenti delle commissioni di ordine curando quell'incrocio.

Un'ondata di profonda angoscia si impadronì de lo spirito dell'ingegnere Barros Sierra. Non c'era più alcun dubbio, i sicari del governo avevano ordini di punire con la morte ai manifestanti. Nella forma pienamente simile al naufrago che quando se ne accorge che affonda dà un'ultima occhiata alla ricerca di una tavola alla quale attaccarsi, il rettore osservò con febbrile disperazione quanto lo circondava. Fu allora quando vide Regina, la quale finiva in quei momenti la sua camminata su Insurgentes e girava a destra per continuare su Félix Cuevas.

Sapere chiedere costituisce una delle abilità più difficili da sviluppare fino a trasformarla in un'autentica arte. Questo richiede il dono dell'opportunità e la necessaria saggezza per determinare quando, a chi e come presentare la corrispondente richiesta. In quella trascendentale giornata molte migliaia di persone avevano contemplato la Regina del Messico sfilare per le strade, ma solo una percepì con una certa intuizione che la bella giovane che avanzava sorridente, vestita con la divisa delle hostess olimpiche, era padrona di quella facoltà che molti fingono avere ma in realtà così pochi possiedono: un'autentica, naturale e incontrastabile autorità. Per essere stato capace di scoprire questo fatto e per avere agito in consonanza con la sua scoperta, formulando il sollecito adeguato, l'ingegnere Javier Barros Sierra meritò giustificatamente la sua entrata nella storia.

Con frasi brevi e precise, il rettore informò il funzionario universitario che era più vicino rispetto a quello che doveva dire all'Hostess. Retrocedendo alcuni passi il portatore della comunicazione arrivò fino a Regina, il suo viso evidenziava la stranezza che lo turbava a causa della commissione che gli era stata affidata.

-Mi scusi signorina - bisbigliò vacillante -, il signore rettore richiede la sua collaborazione, le chiede integrare con il suo gruppo una barriera di contenimento nell'incrocio di Coyoacán e Félix Cuevas.
Sonnambuli erranti la vedranno avanzare 
e l'unico sveglio il suo aiuto chiederà.