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La Regina Celeste


La spiegazione al mistero della sopravvivenza del Messico nelle più avverse circostanze, è situata su un piccolo promontorio situato a nord della capitale del paese e denominato il Tepeyac. Anche se non è possibile determinare l'epoca da cui il Tepeyac acquisì una speciale rilevanza - perché questa proviene da tempi immemorabili - sì è possibile precisare la data, relativamente recente, in cui succedé il trascendentale evento che ha permesso la sussistenza del Messico nel corso degli ultimi cinque secoli.

Dodici dicembre 1531 è la data. Nei momenti più cruciali della sua storia, quando appena cominciava la delicata operazione di innesto che uguale poteva uccidere come rivitalizzare al paese, la Madre di Dio manifestò espressamente il suo particolare affetto per il Messico stampando la sua immagine nel ayate di un modesto abitante di Tlatelolco. "Non fecit taliter omni nationi."1

1"No fece tale prodigio con nessuna altra nazione"

La protezione che la Regina Celeste offre al Messico è stata decisiva e costante. Così l'hanno capito tutti quelli che hanno realizzato le più importanti prodezze in favore della nazione. Don Miguel Hidalgo y Costilla sceglie come bandiera delle sue milizie libertarie un stendardo con la figura della Vergine di Guadalupe. Altrettanto fa don Jose Maria Morelos y Pavón. Cento anni dopo le truppe di Emiliano Zapata, il guerriero sorto della Rivoluzione di 1910 che possiede più radici popolari, entrano trionfanti nella città del Messico portando identico stendardo.
Tenendo conto le indicazioni di Regina, il Testimone aveva dato appropriata comunicazione a Leticia Rojas Jiménez, coordinatrice del Centro di Messicanità di Tlatelolco, che sia l'Hostess come i suoi quattro accompagnatori ritornerebbero alla capitale e sarebbero rimasti nel condominio che l'infermiera jalisciense possedeva nell'edificio Chihuahua. La Regina del Messico fu oggetto di un entusiasta ricevimento quando arrivò a Tlatelolco. Nella Piazza delle Tre Culture l'aspettavano quasi la totalità delle varie centinaia di integranti dei Centri di Messicanità del Distretto Federale, così come diverse dozzine di membri dei Centri di provincia che erano riusciti ad arrivare alla città. Allo stesso modo, molti residenti dell'unità abitativa si erano uniti al ricevimento, facendo che il numero di persone presenti nello stesso si avvicinasse a duemila.

Coloro che conoscevano da qualche tempo Regina non mancarono di percepire certi cambiamenti che si erano operati nella giovane. Questa sembrava meno ridente del solito. La sua figura continuava ad irradiare un poderoso magnetismo, ma questo sembrava essere ora più riposato e sereno. Non ci fu la tradizionale sessione di canzoni in strane lingue. Regina ringraziò con emotive parole il ricevimento di cui era oggetto e fece conoscere, da frasi chiare e concise, i loro punti di vista rispetto a quello che stava accadendo nella nazione: il proposito di iniziare il risveglio del Messico si era visto frustrato dovuto ad un antico squilibrio che colpiva al paese; per ristabilire l'armonia e raggiungere quel desiderato risveglio sarebbe necessario effettuare un rituale di sacrificio.

Le parole dell'Hostess causarono stupore e sconcerto tra i suoi ascoltatori. Si sollevarono tutti i tipi di domande, molte delle quali legate al modo in cui si effettuerebbe il sacrificio. Regina rispose che questo sarebbe circostanziale. Non appena si costituisse un nucleo di persone che avessero tutte le caratteristiche degli autentici martiri, la sua sola esistenza scatenerebbe la collera delle forze più negative della società, le quali non avrebbero avuto pace finché non dessero morte ai membri di detto nucleo. Pertanto, la forma e termini in cui dovrebbe realizzarsi il sacrificio costituiva un problema la cui soluzione doveva lasciarsi ai carnefici. Quello che a lei riguardava era selezionare tra coloro che si offrissero come volontari, le trecentonovantasei persone che mancavano per completare il minimo senza il quale il proiettato sacrificio non raggiungerebbe il suo scopo.

Finalmente Regina fece conoscere il suo piano di lavoro. Il Tepeyac sarebbe il quotidiano punto d'incontro alle sette di mattina. Le sessioni di preghiera in quel luogo si estenderebbero - con brevi intervalli di riposo - fino alle cinque del pomeriggio. A quell'ora ritornerebbero camminando verso Tlatelolco e durante il percorso si procederebbe a "pulire" la linea di energia che di sicuro univa i due luoghi. Conclusa la camminata chiunque lo desiderasse poteva presentare verbalmente la sua richiesta per prendere parte al rituale. La risposta a detta richiesta si darebbe immediatamente. Coloro che non fossero accettati non dovevano sentire frustrazione alcuna per questo, poiché le caratteristiche dell'autentico martire si danno solo in alcune persone, ma questo non implica che quelle che non le hanno non possano possedere altre altrettanto preziose.

Come annunciato, la Regina del Messico iniziò alle sette di mattina del mercoledì 25 settembre il suo nuovo programma di attività. Per quanto possa sembrare estraneo, Regina non era stata in precedenza nella Basilica di Guadalupe. In diverse occasioni, durante i suoi incessanti percorsi per tutte le rotte della capitale, aveva passato nei pressi del tempio, ma non era entrata dentro stimando che costituirebbe una mancanza di rispetto visitarlo senza avere abbastanza tempo per stare dentro a pregare lungo. Ora poteva farlo e si diede il piacere di pregare molte ore. I suoi grandi occhi rimanevano fissi nella miracolosa immagine della Vergine Morena e le sue fazioni riflettevano un rapimento vicino all'estasi. Quando gli orologi segnarono le cinque del pomeriggio Regina non dava segni di uscire dal suo raccoglimento. Don Gabriel che era in estremo puntuale, forse a causa del suo profondo rispetto per i numeri, ebbe il coraggio di attirare misuratamente l'attenzione della giovane. Facendo un sforzo questa mise fine al suo raccolto atteggiamento. Uscirono all'atrio. Circa settecento persone, integranti tutte esse di diversi Centri di Messicanità, rimasero pregando l'intera giornata accanto all'autentica Sovrana della Nazione.

Regina aveva osservato la forte pendenza dei muri del tempio e chiese don Uriel quale era il motivo che la causava. L'Erede della Tradizione Olmeca impartì una breve lezione magistrale sullo sprofondamento che minacciava abbattere la Basilica. Mentre don Uriel parlava si fermarono ad osservare Regina sei placeras che uscivano dal vicino mercato. Accompagnava le donne un bambino di circa dieci anni che era una vera e propria immagine della denutrizione e l'abbandono. Il suo corpo era appena un scheletro ricoperto e i suoi vestiti lacerati stracci.

Il trasandato bambino raccolse una carta del suolo e con abili movimenti la trasformò in pochi secondi nella bella rappresentazione di una farfalla. Arrivando fino all'Hostess le offrì la sua piccola opera con gentile gesto.

La Regina del Messico ringraziò compiaciuta il dono, colmandolo di elogi alla bravura dell'imberbe artefice.

-Come ti chiami? -domandò Regina.

L'interrogato si strinse le spalle al tempo che diceva:

-Non so.

Una delle placeras intervenne:

-Neanche a nome arriva. Non ricorda chi furono i suoi genitori e nemmeno dove è nato. Tenga si porti alcune gorditas - dicendo questo consegnò alla giovane un pacchettino avvolto in carta cinese che conteneva alcune torte di farina.

Regina assaggiò una delle gorditas e disse:

-Sono deliziose, grazie mille.

Le placeras e lo scheletrico bambino proseguirono il loro cammino. Regina analizzò accuratamente gli sbocchi dei diversi viali che convergono nella grande spianata dove poggia il tempio guadalupano. Concluso il suo esame sottolineò:

-Lo spazio occupato dalla linea di energia è molto largo. Copre questi due viali - la sua mano destra fece un gesto per segnalare tanto la Calzada de Guadalupe come la Calzada de los Misterios -; dovremo pertanto percorrere le due per assicurarci che entrambe rimangano ben "pulite." Partiamo oggi da questa - il suo indice puntò verso la Calzada de los Misterios.

Marciando in silenzio il gruppo iniziò la sua avanzata per l'antica carreggiata. Deteriorati monumenti di pietra sottolineavano il sentiero. Erano stati edificati nell'epoca della Colonia e il suo proposito era segnare i posti dove i pellegrini che accorrevano al Tepeyac dovevano fermarsi a pregare. Regina notò con sorpresa che la carreggiata era praticamente "pulita", a malapena in alcuni posti si osservavano certi nodi di energia, ma in linea di massima questa circolava con grande fluidità lungo tutta la linea. Riflettendo su quello che aveva potuto causare così straordinario fatto, la giovane giunse alla conclusione che la causa non poteva essere altro che la fede dei milioni di pellegrini che, nel corso dei secoli, avevano percorso quella rotta sacra.

Arrivarono a Tlatelolco. L'invisibile linea di energia proveniente dal Tepeyac finiva esattamente nella Piazza delle Tre Culture. Regina fu salutando ognuna delle persone che l'avevano accompagnato per tutta la giornata. Senza una sola eccezione, tutte furono manifestando il suo desiderio di far parte del gruppo di martiri che parteciperebbero al rituale di sacrificio. La Regina del Messico non rispondeva oralmente a quello che le veniva detto. Il suo sguardo si fondeva con quello del suo interlocutore e questo sapeva immediatamente se era stata accettata o non la sua offerta.

Concluse le telepatiche interviste si sciolse la riunione. Accompagnata dai Quattro Guardiani della Tradizione e di Leticia Rojas Jiménez, Regina si incamminò verso il suo nuovo e vicino domicilio, situato al quinto piano dell'edificio Chihuahua. Rimasta da sola con i suoi amici, la giovane fece conoscere i risultati raggiunti quel giorno:

-Beh, penso che sapevamo già che questo non sarebbe stato niente facile. Sotto determinate circostanze tutte le persone sono quasi disposte a dare la vita per quello che essi considerano di valore, ma quello non li rende martiri. Sussistono quasi sempre, nel più profondo della coscienza, sentimenti che non hanno nulla a che fare con un vero e proprio spirito di martirio. Alcuni sono pronti ad immolare la loro vita, ma invece risulta loro impossibile staccarsi dal rancore che provano dai suoi presunti nemici. C'è anche chi cerca il sacrificio per considerare che così diventerà un eroe e il suo nome sarà venerato in futuro.

-Sono state troppo poche le persone che selezionò per far parte del rituale? -domandò don Gabriel.

-Sono stati cento novantotto - rispose Regina.

-Ancora manca per arrivare molta gente dei centri di provincia - disse don Rafael -.  Tutti loro sono stati avvisati, quindi non dovrebbero metterci molto. Speriamo che con essi si riesca a completare il numero.

-Spero sia presto - espresse Regina con preoccupato accento -. Stiamo giocando una corsa contro il tempo. Il governo non ci vorrà molto a localizzarci e non appena ciò avvenga finirà con noi in un batter d'occhio, non credo che sarà in attesa del nostro segnale che può già venire ad ammazzarci perché siamo già quattrocento uno.
Gli abitanti della grande unità abitativa di Tlatelolco stavano proporzionando, durante tutto il conflitto, un vero ed entusiasta supporto al Movimento. Le casalinghe elaboravano considerabili porzioni di cibo extra, che era regalato ai membri delle brigate studentesche che percorrevano la zona per raccogliere fondi e organizzare piccoli raduni ogni giorno. Avevano richiesto diverse ore di accanita rissa - nella quale parteciparono un elevato numero di studenti, padri di famiglia e semplici vicini - prima che le forze di polizia riuscissero ad occupare la Vocacional Siete, ubicata entro i confini della suddetta unità abitativa. Nonostante, cominciando l'ultima settimana del mese di settembre tutto indicava che, come nel resto del paese, in Tlatelolco il Movimento stava arrivando al suo totale arresto.

L'arrivo di Regina all'edificio Chihuahua causerebbe una inaspettata reazione negli abitanti di Tlatelolco. Anche se la giovane aveva lasciato stabilito dal suo arrivo che il suo unico scopo era organizzare un rituale di sacrificio, un considerabile numero di abitanti dell'unità -sapendo che non possedendo la stoffa di martiri non potrebbero partecipare nel rituale- decisero di rinnovare al massimo i loro sforzi a favore del Movimento, giudicando che con ciò stavano in qualche modo collaborando alla realizzazione degli stessi scopi che cercava di raggiungere la carismatica Hostess. E succedé così che nel giro di poche ore, Tlatelolco si trasformò in un vero bastione, l'ultima roccaforte del Movimento.

Un'altra volta, come accadesse nel 1521, Tlatelolco si rifiutava di arrendersi. Mentre in tutto il resto del paese si imponeva la calma sotto la minaccia delle baionette e le grate carcerarie, nel piccolo spazio scelto da Cuauhtemoc per condurre l'ultima battaglia, il Movimento cercava ora di proseguire la lotta. Data l'assoluta impossibilità di riunirsi in un altro luogo senza essere immediatamente catturati o colpiti, i dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero e i membri delle brigate studentesche andarono a Tlatelolco il giovedì 26 settembre. Sbalorditi constatarono lo scarso del loro numero. Erano i sopravvissuti dei lunghi otto giorni in cui aveva regnato la morte, la prigione, e particolarmente lo scoraggiamento. Riconfortati per l'evidente solidarietà che li manifestavano i vicini del posto, gli studenti presero la determinazione di proseguire la lotta. Si decise di convocare per il giorno successivo un raduno che avrebbe luogo alle cinque del pomeriggio nella Piazza delle Tre Culture. Allo stesso modo, si prese la determinazione di elaborare piccoli palloni aerostatici che sarebbero lanciati dalla piazza contenenti propaganda stampata. Si trattava in questo modo di controbilanciare, anche se fosse in una minima parte, lo svantaggio che implicava non poter più distribuire volantini per le strade senza subire una brutale repressione da parte dei gruppi di scontro che avevano proliferato per tutta la città.2

L'uso di palloni aerostatici per la diffusione di propaganda aveva iniziato a Zacatenco alcuni giorni prima dell'entrata dell'esercito alle strutture politecniche. Sebbene l'effettività di questo procedimento era praticamente nulla per quanto riguarda la distribuzione di propaganda, i suoi redditi psicologici non erano niente trascurabili, perché i piccoli palloncini attraversando lo spazio costituivano una prova irrefutabile dell'ingegno e dell'incrollabile volontà di lotta dei loro autori.

Contraddicendo pessimistici presagi che davano per certa la repressione della riunione, il raduno di venerdì 27 settembre si realizzò senza intoppi. Dopo l'occupazione delle scuole per forze militari e di polizia, era il primo atto pubblico convocato e presieduto dai dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero. Assisterono al raduno cinquemila persone e durante il suo decorso parlarono sette oratori: quattro studenti e tre abitanti di Tlatelolco. Si pronunciarono accesi attacchi alle autorità, specialmente contro i deputati, perché in quei giorni gli occupanti della Camera di Deputati non cessavano di applaudire che si stesse assassinando e imprigionando studenti in tutto il paese. Il nome di Octavio Hernández, capo della deputazione del PRI nel Distretto Federale e presidente della Commissione Speciale della Camera per il conflitto studentesco fu oggetto delle più sonore fischiettate. La menzione del deputato Luis M. Farías, presidente della Grande Commissione della Camera dei Deputati e leader della maggioranza del PRI in detta Camera, fu altrettanto salutato con un prolungato fischio.

Per finire la riunione si convocò un'altra, la quale dovrebbe effettuarsi in quello stesso luogo il giorno 2 ottobre alle cinque del pomeriggio. Si anticipò che concludendo il prossimo raduno si realizzerebbe una manifestazione che partendo dalla Piazza delle Tre Culture arriverebbe fino nei pressi del Casco de Santo Tomas, cioè fino a dove fosse possibile avanzare dato l'assedio militare teso intorno gli edifici scolastici. Una casalinga, vicina dell'edificio Nuovo Leone, sintetizzò quanto accaduto nella riunione affermando giubilante.

-In Tlatelolco il Movimento si muove ancora!
L'arrivo di Regina a Tlatelolco,  come la improvvisa reazione dei soliti di detto luogo a favore del Movimento, furono rilevate dalle autorità quasi nel momento stesso in cui entrambi i fatti si producevano. Il 26 settembre agenti della Federale di Sicurezza informarono il segretario di Governo che avevano localizzato, nell'edificio Chihuahua di Tlatelolco, "la tana dell'Hostess cinese e del suo gruppo di terroristi." Peraltro, riferirono anche che la presenza in Tlatelolco di detto gruppo stava causando già gravi conseguenze. Uno spirito di aperta disubbidienza si era impadronito degli abitanti dell'unità abitativa. Né le pattuglie né qualsiasi altro tipo di forze dell'ordine poteva penetrare nella zona, i suoi abitanti le attaccavano e mettevano in fuga lanciandole gli oggetti più inimmaginabili. Tlatelolco era rimasto improvvisamente fuori dal controllo delle autorità, e la migliore prova di questo era che i dirigenti studenteschi avevano osato convocare un raduno che avrebbe luogo al giorno dopo nella Piazza delle Tre Culture.

Per poter effettuare la cattura del "pericoloso gruppo terrorista" - concludevano gli informatori - si richiedeva la collaborazione di sufficienti elementi dell'esercito, perché di sicuro numerosi vicini tratterebbero di opporsi all'arresto. Allo stesso modo consideravano che sarebbe impossibile per la polizia reprimere l'annunciato raduno, per cui raccomandavano fossero le truppe che se ne occupassero.

Il lic. Luis Echeverría Álvarez era felice come un re di sapersi l'unico alto funzionario in possesso di tali preziose relazioni. Non ci vuole molto a riuscire a trarre un succoso vantaggio. Alcune ore più tardi, il segretario di Governo si trovava nella residenza ufficiale di Los Pinos, partecipando ad una riunione in cui, oltre al primo mandatario, erano presenti il segretario della Difesa e il capo del dipartimento del D.F. Agendo con tutta premeditazione, il lic. Echeverría lasciò parlare in primo luogo ai suoi colleghi di gabinetto.

Il generale Marcelino García Barragán presentò un allettante panorama della situazione del paese. L'esercito, aiutato dalla polizia locale, manteneva una stretta sorveglianza per evitare qualsiasi disturbo della quiete pubblica. Qualsiasi tentativo di raduni o manifestazioni era immediatamente soffocato e i suoi promotori uccisi o imprigionati. La pace e la tranquillità erano tornate alla Repubblica.

Il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal, abbozzando un ampio sorriso che non aveva altro scopo che quello di far vedere la grande somiglianza esistente tra la sua dentatura e quella del presidente, procedé a rendere conto di quello che succedeva nella capitale. La cittadinanza aveva riacquistato la calma. Erano già diversi giorni che le brigate studentesche non agitavano per le strade. Fabbriche e commerci lavoravano normalmente. La gente andava di nuovo agli spettacoli e l'interesse di tutti cominciava a concentrarsi sui prossimi eventi olimpici.

In nessun momento della sua esposizione il reggente della città aveva fatto il minore riferimento rispetto a quello che stava accadendo in Tlatelolco. Il cuore del lic. Echeverría sembrava volere esplodere di giubilo. Nascondendo i suoi sentimenti sotto una maschera di profonda preoccupazione, prese la parola. Era dispiaciutissimo di dover manifestare un pensiero assolutamente contrario alle ottimistiche dichiarazioni espresse dai suoi amici e colleghi. La situazione era in estremo critica e il pretendere di occultare al signore presidente la verità di quello che accadeva potrebbe portare fatali conseguenze. Tlatelolco non faceva già parte dell'ordinamento giuridico esistente nel paese. I suoi abitanti erano determinati ad appoggiare il Movimento. Il giorno dopo si realizzerebbe un raduno nella Piazza delle Tre Culture, evento con il quale gli agitatori pretendevano di recuperare il suo perso slancio. Fortunatamente - finì il segretario di Governo con trionfale accento - la vera promotrice di tutti i disordini e loro pericolosi subalterni erano stati localizzati. La sua tana era l'edificio Chihuahua. Soltanto si richiedeva per ottenere la sua cattura, la necessaria collaborazione dell'esercito, poiché se si intendeva di procedere all'arresto unicamente con elementi della Federale di Sicurezza, si rischiava che i terroristi scappassero.

Il lic. Gustavo Díaz Ordaz aveva ascoltato in silenzio le esposizioni dei suoi funzionari. Finendo di parlare il lic. Echeverría lo sguardo del primo mandatario si inchiodò inquisitivo nella persona del capo del Dipartimento del D.F. In un primo momento questo diede l'impressione che cercherebbe di giustificarsi per non aver menzionato quello che succedeva in Tlatelolco, ma le sue labbra soltanto si dischiusero e non arrivarono a pronunciare una parola. La figura del funzionario sembrava essersi rimpicciolita. Il suo viso era pallido, quasi trasparente. Lo sguardo presidenziale smise di essere inquisitivo per tornarsi fulminante. Il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal capì che in quel preciso momento aveva perso, irrimediabilmente, ogni possibilità di raggiungere la poltrona presidenziale.

La voce del lic. Gustavo Díaz Ordaz esplose furibonda. Il termine che lui stesso aveva dato al governo nordamericano per risolvere il conflitto scorreva. In nessun modo permetterebbe che ricominciassero i disordini. Se Tlatelolco era l'unico faretto di agitazione che sussisteva in tutto il paese, la soluzione era molto ovvia: bisognava estirpare il male alla radice, evitando così che questo proliferasse di nuovo. Non era più interessato ad imprigionare la strega e i suoi seguaci. Bisognava eliminarli. L'esercito doveva procedere all'immediata occupazione di tutti gli edifici che integravano l'unità abitativa in disubbidienza. I suoi occupanti sarebbero catturati e detenuti in campi militari fino al completamento delle Olimpiadi. Coloro che fossero ad opporre resistenza sarebbero trattati come quello che realmente erano: ribelli che cercavano di rovesciare il governo.

Anche se il presidente era del parere che l'occupazione militare di Tlatelolco doveva essere effettuata nel pomeriggio del giorno successivo, cioè quando se stesse celebrando l'annunciato raduno, il segretario della Difesa si permise di sottolineare che non esistevano in quei momenti truppe sufficienti nella capitale della Repubblica per garantire il buon successo di un'operazione di quella natura, ragione per cui chiedeva gli fosse concesso un termine di settantadue ore per eseguirla. A malincuore il primo mandatario concedé il termine. L'ora zero per Tlatelolco fu fissata per mezzanotte di domenica 29 settembre.
La formulazione del piano strategico relativo all'occupazione di Tlatelolco - con la corrispondente analisi dei diversi problemi di logistica che esponeva un'operazione di questo tipo  - fu elaborata in meno di ventiquattro da parte dallo Stato Maggiore Presidenziale. Curiosamente uno dei principali designer del suddetto piano - un dotato colonnello michoacano - non era per niente convinto della giustificazione di un atto così ferocemente repressivo come quello che si voleva svolgere. Di fronte a un profondo conflitto di coscienza, il militare decise di esprimere i motivi della sua preoccupazione alla persona che lo aveva assistito fin da bambino - quando viveva nell'umile capanna dei suoi genitori, in un ejido comune vicino al lago Pátzcuaro - e grazie al suo aiuto fu in grado di studiare nell'Eroica Scuola Militare. Il nome di quella persona era Lazaro Cardenas del Río.

Don Benito Juárez e il generale Lazaro Cardenas sono gli unici presidenti nella storia del Messico che sono riusciti ad agire nel rispetto degli interessi nazionali. La migliore prova della veracità di questa asserzione la costituisce l'indelebile e rispettosa memoria che il popolo conserva di entrambe le figure. Mentre i nomi e i fatti di tutti gli altri presidenti tendono a svanire rapidamente nell'oblio, le forti personalità dei due mandatari vanno acquisendo maggiore rilevanza nel corso degli anni. Durante il suo governo che si estendeva da 1934 a 1940, il generale Cardenas adottò una politica volta a favorire le classi più bisognose e a ripristinare per la nazione le preziose risorse naturali il cui sfruttamento avvantaggiava solo poderosi interessi stranieri. I governi successivi nel comando si diedero al compito di applicare una politica diametralmente opposta a quella seguita dal generale Cárdenas.

Il colonnello michoacano sentì un grande sollievo sapendo che - attraverso una chiamata telefonica - il generale Cárdenas era nella sua casa della città del Messico e che lo riceverebbe non appena arrivasse. L'incontro tra i due militari purépechas fu breve, franca e trascendente. Il colonnello espose in stretta sintesi il progetto di occupazione di Tlatelolco dall'esercito. Il generale ascoltò con profonda attenzione le parole del suo informatore. Una volta a conoscenza dell'azione repressiva che il governo prevedeva, il generale Cárdenas decise di agire immediatamente. Prendendo il suo vecchio cappello si diresse a Los Pinos e annunciò in detto luogo il suo desiderio di parlare con il presidente.

Il lic. Gustavo Díaz Ordaz usciva per una cerimonia. Dato il prestigio di chi richiedeva l'udienza non ebbe altra scelta che concederla. Il generale entrò nell'ufficio. Il suo volto era severo e il suo sguardo freddo. Con frasi taglienti fece sapere il presidente che era a conoscenza di quello che si progettava di fare in Tlatelolco e che si opporrebbe, con tutte le sue forze, a un simile atto di barbarie. Il lic. Díaz Ordaz negò categoricamente che fosse certo l'informazione che possedeva il generale Cárdenas, e cercò di verificare chi gliela aveva proporzionata. Le sue domande rimasero senza risposta, cosa che scatenò la sua rabbia. Fuori controllo, posseduto di un vero scatto d'ira, il primo mandatario accusò il generale Cárdenas di stare collaborando con il Movimento. Successivamente cercò nuovamente di interrogarlo e gli domandò se era vero - come lo menzionavano insistenti dicerie - che occultava nella sua casa all'ingegnere Heberto Castillo e numerosi dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero. Il generale Cárdenas non si degnò di rispondere, concretandosi ad osservare impassibile la scenata presidenziale. Poi si alzò e girandosi uscì dall'ufficio camminando lentamente.

Una volta diminuita leggermente la sua rabbia, il presidente si diede al compito di analizzare il problema che, per la realizzazione dei suoi repressivi propositi, sollevava l'aperta opposizione ai medesimi assunta dal generale Cárdenas. Non era un problema di facile risoluzione. Il michoacano costituiva tutta una leggenda. La sua persona era l'unica figura politica viva per cui il paese sentiva un'autentica venerazione. D'altronde - e ciò era quello che più preoccupava il lic. Díaz Ordaz - il generale godeva di una grande stima all'interno delle Forze Armate. Il presidente non voleva neanche immaginare quello che potrebbe succedere se il generale Cárdenas arrivasse pubblicamente a esternare la sua opinione secondo la quale i militari dovevano cercare di opporsi alla repressione che il governo proiettava.

Con suo grande dispiacere, il lic. Díaz Ordaz concluse che gli sarebbe impossibile eseguire i suoi piani come erano stati formulati. Naturalmente ciò non significava che avesse desistito dalle sue aggressive intenzioni, semplicemente che ora notava che per poter condurre queste alla pratica avrebbe di avvalersi di mezzi molto più sottili. Cercando di controllare la frustrazione che lo dominava, informò per la rete privata il segretario della Difesa che si cancellava l'operazione militare contro Tlatelolco. Non gli diede maggiori dettagli, era giunto alla conclusione che soltanto qualcuno dello Stato Maggiore Presidenziale poteva aver informato il generale Cárdenas, e non desiderava, per tale motivo, ripetere lo stesso errore. Decise di avvalersi per l'elaborazione dei suoi nuovi piani di solo due persone: il segretario di Governo e il Tenebras.
La domenica mattina dal 29 settembre fu particolarmente soleggiata e luminosa, diversamente di tutti i giorni precedenti, nei quali l'umidità e la pioggia avevano predominato nella capitale della Repubblica. Innumerevoli bambini, accompagnati dalle loro rispettive famiglie, giocherellavano allegramente nella sezione del Bosco di Chapultepec denominata "La Formica." A brevissima distanza del posto in cui giocavano i bambini, nella residenza presidenziale di Los Pinos, tre personaggi stavano architettando con la massima cura e in tutti i suoi dettagli un machiavellico progetto.

Il lic. Díaz Ordaz diede inizio alla riunione segnalando gli obiettivi da raggiungere e gli ostacoli che si opponevano alla loro realizzazione. Gli obiettivi erano essenzialmente i seguenti: liquidare l'Hostess e i suoi seguaci, finire una volta per tutte con quello che ancora rimaneva del Movimento, e dare un'esemplare punizione agli abitanti di Tlatelolco. L'ostacolo principale lo rappresentava l'impossibilità di fare un pieno uso dell'esercito per raggiungere questi obiettivi, perché ciò motiverebbe una ferma opposizione del generale Cárdenas, che darebbe luogo ad un conflitto di imprevedibili conseguenze in un periodo in cui il tempo che si disponeva per risolvere quanto già disposto stava per esaurirsi.

Il Tenebras commentò che, non appena gli era stato informato che la strega aveva la sua nuova tana nell'edificio Chihuahua, aveva affittato un appartamento nel quarto piano di detto palazzo. Uomini di tutta la sua fiducia aiutavano gli elementi della Federale di Sicurezza che vigilavano giorno e notte i movimenti dell'Hostess. Questa passava la maggior parte del tempo fingendo pregare nella Basilica di Guadalupe. Non rappresentava nessun problema il constatare quali erano in realtà le intenzioni che perseguiva con la sua finta devozione. Tentava di approfittarsi dei sentimenti religiosi della gente e di manipolarli in beneficio dei suoi molto personali e sovversivi propositi. Non c'era il minimo dubbio, quella donna era un vero pericolo e doveva essere eliminata al più presto possibile. Per farlo non si richiedeva dell'esercito, affermò l'ex narcotrafficante con sicura convinzione. Era solo questione di non pretendere di uccidere al gruppo di terroristi quando questi si trovassero in Tlatelolco, perché lì tutti i vicini li proteggevano. Lui e i suoi uomini potevano effettuare il lavoro. Mitraglierebbero l'hostess e i suoi scagnozzi uscendo della Basilica.

Il segretario di Governo espresse un'opinione contraria a quella del Tenebras. A suo avviso l'esecuzione dei terroristi doveva avere luogo in Tlatelolco, perché altrimenti non potrebbe servire da esempio davanti all'opinione pubblica, poiché questa non la vedrebbe come una punizione per il sostegno fornito dai tlatelolcas al Movimento; invece se l'esecuzione si effettuava nelle prossimità della Basilica, esisteva il rischio che la gente arrivasse a collocare un'aureola di santità ai delinquenti.

Tre teste unite in un comune sforzo riescono molte volte a trovare soluzioni che una sola non avrebbe trovato mai. Lentamente, mettendo ciascuno dei membri del terzetto il peggio di se stessi, furono elaborando un piano di insuperabile perfidia. Il problema centrale, consistente in raggiungere la piena partecipazione dell'esercito nella repressiva operazione senza provocare con ciò un conflitto maggiore all'esistente, rimase adeguatamente risolto. Non si darebbe mai alle truppe istruzioni di attaccare gli abitanti di Tlatelolco. Riceverebbero l'ordine soltanto di collaborare in una manovra volta a ottenere l'arresto dei dirigenti del Movimento. Ciò succederebbe effettuandosi il raduno che si era annunciato per il pomeriggio del 2 ottobre nella Piazza delle Tre Culture. L'esercito circonderebbe la piazza e i membri del Battaglione Olimpia - un corpo speciale costituito per monitorare le installazioni dove si realizzerebbero le competenze olimpiche - si mischierebbero in borghese tra gli assistenti al raduno. Un elicottero sorvolerebbe la piazza e lancerebbe un razzo, quello sarebbe il segno affinché i componenti del Battaglione Olimpia catturassero i dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero, i quali si troverebbero presiedendo il raduno sulla terrazza situata nel terzo piano dell'edificio Chihuahua. Simultaneamente, le truppe che circondavano la piazza procederebbero a sgomberarla, utilizzando a tal fine esclusivamente i calci dei loro fucili e in nessun modo aprendo il fuoco sui manifestanti. Almeno quelle sarebbero le istruzioni del segretario della Difesa al comandante che avrebbe condotto l'operazione. Quello che nessuno dei militari saprebbe è che tutti gli uomini della banda del Tenebras, installati in diversi posti dell'edificio Chihuahua, aprirebbero un fuoco di fila sulle truppe nel momento che si lanciasse il segnale, cercando con quello che queste rispondessero all'attacco e sparassero sia sugli manifestanti come sugli abitanti del Chihuahua, in modo che entrambi ricevessero, finalmente, la meritata punizione per il suo ribelle atteggiamento.

La liquidazione dell'Hostess e di tutto il suo gruppo costituiva, ovviamente, parte imprescindibile del piano. L'elicottero che volerebbe sulla piazza porterebbe come passeggero il Tenebras, lui sarebbe l'incaricato di lanciare il razzo. Non invierebbe il segnale fino a che l'Hostess e i suoi accompagnatori si trovassero nella Piazza delle Tre Culture, luogo dove arrivavano ogni giorno alle sei del pomeriggio, dopo aver pregato lunghe ore nella Basilica di Guadalupe. Una volta lanciato il segnale, il Tenebras mitraglierebbe dall'aria alla strega e i suoi seguaci. Allo stesso modo, i responsabili di sparare alle truppe dall'edificio Chihuahua smetterebbero di farlo non appena queste rispondessero il fuoco e procederebbero a concentrare tutti i suoi spari sul gruppo che comandava l'Hostess. Nessuno dei suoi membri doveva rimanere con vita. Il Tenebras in persona si incaricherebbe di verificarlo non appena cessasse la sparatoria.

Una grande soddisfazione si rifletteva nei volti dei tre pianificatori del sinistro piano. Le fazioni del lic. Luis Echeverría Álvarez erano quelle che mostravano un maggiore giubilo. Sapeva già con certezza di essere il vincitore nella corsa per la poltrona presidenziale. La sua complicità nel massacro sarebbe la migliore garanzia di ciò.
Mentre si pianificava l'operazione il cui principale obiettivo era darle morte, Regina proseguiva il suo giornaliero lavoro di prolungate preghiere e selezione di candidati idonei per il martirio. Come aspettavano la Regina del Messico e i suoi quattro collaboratori, i membri dei Centri di Messicanità di tutta la Repubblica erano accorsi veloci all'appello effettuato da loro. Senza una sola eccezione avevano manifestato liberamente la sua sincera volontà di offrire le sue vite a beneficio del loro paese. Nonostante, il numero di persone scelte per far parte del rituale cresceva molto lentamente. Il lunedì 30 settembre, provenienti di appartate regioni, arrivarono alla capitale gli ultimi membri dei diversi Centri di Messicanità. Dopo le consuete preghiere nel Tempio del Tepeyac e di suo altrettanto solito percorso a piedi tra questo e Tlatelolco, Regina ebbe con ciascuno dei nuovi arrivati una telepatica intervista. Come succedesse nei giorni precedenti, solo alcune delle domande presentate dai richiedenti al martirio furono accettate.

-Ci mancano ancora tre ed ora sì la situazione diventa davvero difficile - concluse don Gabriel conoscendo il numero di persone selezionate quel giorno da Regina.

-Esatto - corroborò don Rafael -, passarono già in rassegna i più validi candidati e non arriviamo al numero.

-Bisognerà affidarsi alla fortuna - ritenne don Uriel -, là fuori dev'esserci ancora persone con le quali non abbiamo stabilito un contatto e che riuniscano le qualità richieste.

-Il problema è che il tempo probabilmente sta per scadere - disse don Miguel -. Quello che mi sorprende è che il governo abbia preso così tanto tempo nel venire a darci corda. Credevo che lo farebbero il giorno successivo, quando i ragazzi di nuovo tornarono a fare un raduno in Tlatelolco.

Regina non disse nulla, ma nei suoi occhi poteva leggersi l'intensa preoccupazione che la dominava.

Il giorno dopo, martedì 1° ottobre, la fortuna sembrò mostrarsi un tanto propizia alle intenzioni della Regina del Messico. Mentre questa rimaneva pregando davanti all'immagine della Vergine di Guadalupe, una giovane coppia entrò al tempio. L'integravano un robusto giovincello ed una fanciulla di piccoli occhi, la quale soffriva un'immobilità quasi completa ed era portata dal suo accompagnatore in una sedia a rotelle. A quanto pare attratta dal fervore che emanava dalla figura che pregava, la coppia si avvicinò all'Hostess e cominciò anche essa a pregare sommersa in un profondo stato di concentrazione. Concludendo Regina le sue preghiere e spostandosi fuori del tempio, la coppia la seguì con l'evidente intenzione di parlare con lei.

La comunicazione tra l'Hostess e i due giovani fu rapida e totale. Questi narrarono la loro storia. I suoi nomi erano Raul Mendoza e Ana Maria González de Mendoza. Si erano conosciuti lo stesso giorno in cui desse inizio il conflitto studentesco nella Cittadella, perfino erano stati precisamente loro i circostanziali e involontari iniziatori di detto conflitto. Un giorno dopo Ana Maria aveva sofferto una grave lesione nella colonna quando venne colpita dai granaderos. Era condannata a vita alla paralisi, ma ciò non le produceva un'insuperabile frustrazione, al contrario dava grazie a Dio per aver potuto trovare il vero amore. Portavano appena quattro giorni di sposati - matrimonio realizzato dopo vincere la tenace opposizione del padre della sposa -. La sua presenza quel pomeriggio nel tempio obbediva all'intenzione di chiedere alla vergine li aiutasse a vincere le molteplici difficoltà alle che dovrebbero far fronte. Raul non otteneva ancora un lavoro con il quale sostenere sua incantevole moglie e l'aveva portata a vivere a casa dei suoi genitori.

Man mano che i giovani parlavano, cresceva in Regina la certezza che li conosceva da molto tempo fa, che stava legata a loro per affettuosi lacci provenienti di lontani tempi. Notò ugualmente che l'amore della coppia non aveva alcuni mesi di iniziato. Era un'opera di sorprendente bellezza scolpita con persistente consistenza da secoli. Non rappresentò nessun problema per l'Hostess spiegare in brevi frasi la natura della sua missione. Raul e Ana Maria rilevarono immediatamente che serviva la loro collaborazione e l'offrirono generosi. Regina l'accettò. Mancava unicamente una persona per completare il numero richiesto per il rituale.
Lentamente l'oscurità notturna copriva la Piazza delle Tre Culture. Attraverso una delle finestre dall'appartamento che costituiva la loro transitoria dimora, i Quattro Autentici Messicani osservavano il tranquillo spettacolo che si offriva davanti alla loro vista.

-Accidenti - esclamò don Uriel -, credo che di piano fosse molto brutta zampa che per mancanza di una sola persona non arrivassimo a completare la squadra. Chi potrà essere? Deve andare in giro molto spensierato. Di quanto tempo disporremo ancora per localizzarlo?

Il Supremo Guardiano della Tradizione Olmeca ignorava che il tempo per loro si era esaurito.