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Il sacrificio


Arrivò il giorno. Mercoledì 2 ottobre 1968. Tutto il passato, presente e futuro del Messico stavano per convergere in un piccolo punto della sua geografia. La Piazza delle Tre Culture a Tlatelolco. Lì si deciderebbe la vita o la morte della nazione. Non c'erano alternative. La prova del fuoco, quella che determina l'estinzione o trascendenza di quanto esiste, sarebbe applicata in tutta la sua terribile durezza.

Regina si svegliò prima dell'alba. Le immagini di un sonno di inusitato realismo erano ancora presenti nella sua mente. Aveva sognato che era nella sua amata valle himalayana. Le dorate acque del lago rifulgevano di splendore e lei nuotava competendo in velocità con multicolori pesci di diverse dimensioni. Uscendo dall'acqua l'aspettava il lama Tagdra Rimpoche. Il viso dell'anziano non mostrava il suo abituale sorriso, le sue fazioni rivelavano un'intensa preoccupazione. Con pacata voce cominciò a recitare ognuna delle frasi che integravano "l'enigma." Arrivando alle due ultime la sua voce acquisì una forte sonorità. L'esperienza del sonno fu così forte che la Regina del Messico si svegliò di soprassalto.

-Oggi è il giorno - mormorò a sé stessa.

Dopo di svegliare i suoi amici, l'hostess comunicò loro la sua sicura convinzione che sarebbe quel giorno quando avrebbe luogo il sacrificio. Espresse anche il suo desiderio di andare al Bosco di Chapultepec a salutare El Sargento. I primi splendori dell'alba illuminavano la Piazza delle Tre Culture quando il quintetto lasciò l'edificio Chihuahua.

Sapendo che la sua morte era prossima e desiderando che sua moglie disponesse di un po' di soldi, don Uriel aveva venduto tre giorni prima l'ammaccata volkswagen; Regina e Messicani salirono a bordo di un autobus che li lasciò in uno degli ingressi di Chapultepec. Dopo pochi passi trovarono il Segreto Guardiano del Bosco. Il vecchio guardia forestale mostrava segni di un'enorme angoscia. Con frasi interrotte narrò la conversazione che aveva appena avuto con El Sargento. Il millenario ahuehuete gli aveva comunicato che quel pomeriggio si libererebbe una delle più decisive battaglie nella storia del Messico. El Sargento, insieme ad altri cento ahuehuetes, i più vecchi di tutto il bosco, avevano deciso di offrire le loro vite per il buon successo della battaglia. Non vedrebbero già l'arrivo della prossima notte, morirebbero a tardo pomeriggio.

-Per favore, figliola - supplicò l'anziano mentre grosse lacrime correvano per il suo rugoso viso -, mi permetta di essere con voi oggi. Io so che ancora non completano il numero. Non voglio seguire vivo per solo rivedere gli insepolti cadaveri dei miei ahuehuetes. Chapultepec non sarà domani lo stesso di sempre.

Con frasi gentili ma piene di fermezza Regina diede la sua risposta. Nella vita ognuno ha determinati obblighi da compiere. Il principale compito del guardiano di una Foresta Sacra è garantire la sopravvivenza di detta sacralità. Era sicura che, proprio come aveva fatto fino a quel momento, il Segreto Guardiano del Bosco continuerebbe a svolgere adeguatamente la sua importante missione.

Arrivarono fino a dove si trovava El Sargento. Non ci furono parole. La Regina del Messico posò le sue mani nella rugosa corteccia e per un lungo momento dialogò mentalmente con il vecchio guerriero. Era un formale e definitivo addio. L'orologio segnava le sette del mattino e quindici minuti quando lasciarono Chapultepec. Regina aveva affidato a Leticia di avvisare coloro che l'aspettavano per pregare nel Tepeyac che quel giorno arriverebbe un po' più tardi del solito. Al fine che detto ritardo non fosse eccessivo risolsero prendere un taxi. Sulla strada verso la Villa di Guadalupe l'autista del taxi si lamentò che soffriva di raffreddore costante, motivato al suo giudizio dalla crescente perdita della purezza dell'aria della capitale. Don Rafael gli consigliò d'ingerire quotidianamente a digiuno il succo di un limone, mescolato con un cucchiaio di miele in una tazza con tè di coyotomate. Arrivando a loro destino l'autista si rifiutò di ricevere il pagamento dei suoi servizi. Il quintetto ringraziò doverosamente la cortese attenzione e scese dal veicolo.

La mattina era particolarmente luminosa, in modo tale che dal nord della città potevano apprezzarsi facilmente le innevate figure del Popocatépetl e dell'Iztaccíhuatl. Regina percepì l'indicibile solitudine che dominava il virile colosso. Un stato di animo simile dovette prevalere nel solitario spirito di Adamo prima della creazione della sua compagna. Comprendendo i sentimenti del vulcano, la Regina del Messico gli disse:

-Credici, stiamo facendo del nostro meglio.

Entrarono nel tempio. Il gruppo di candidati al martirio pregava devotamente ai piedi della miracolosa immagine. Regina osservò che Leticia portava una bandiera messicana di regolare volume. Il quintetto apportò il suo mistico fervore e la preghiera si prolungò fino a mezzogiorno, ora in cui tutto il gruppo uscì all'atrio della chiesa per un breve riposo.

Con schiette frasi Regina fece conoscere la notizia che era arrivata la data in cui sarebbero sacrificati. Spiegò anche che visto che non erano riusciti a riunire il minimo di persone richiesto per il rituale, questo non raggiungerebbe gli obiettivi desiderati, motivo per cui, se alcuni dei lì presenti giudicavano che non era il caso di offrire le loro vite inutilmente, potevano ritirarsi immediatamente. Finalmente, aggiunse che chiunque scegliesse di rimanere doveva sapere che ogni martire si assume verso i suoi carnefici una grande responsabilità, perché rimane obbligato a riuscire che questi raggiungano nel futuro un stato di coscienza che impedisca loro di proseguire assassinando i suoi simile. Prendendo in considerazione questo, dedicherebbero le sue ultime preghiere a chiedere sia per quelli che avevano ordinato la loro morte come per coloro che dovevano eseguire detto ordine. Senza una sola eccezione, tutti ritornarono all'interno del tempio. Leticia fece consegna a Regina della bandiera. Circondata dai Quattro Guardiani della Tradizione e di quanti erano disposti a sacrificare le loro vite senza aspettare nulla in cambio, la Regina del Messico cominciò a pregare per i suoi carnefici. Un clima di profondo raccoglimento prevaleva nel sacro recinto. In modo ancora più palese rispetto al solito, l'immagine della Vergine di Guadalupe rivelava l'ineguagliabile tenerezza ed invincibile forza che di continuo emana da essa. Ogni persona che entrava a pregare alla Basilica già non usciva ma proseguiva pregando influenzata di un'inusitata devozione. Verso le cinque del pomeriggio, Il Testimone arrivò all'area esterna del tempio. Non riuscì ad entrare. La chiesa era piena di gente che sembrava sommersa in una profonda estasi e non c'era modo di farsi largo. Sapendo che i suoi amici non potevano metterci molto ad uscire, il Testimone decise di aspettarli. Suonando i cinque rintocchi il misterioso rapimento che prevaleva in quanti si trovavano nella Basilica sparì improvvisamente. Come se avesse finito una cerimonia liturgica, la gente cominciò a lasciare il santuario con gran fretta. Regina e i suoi accompagnatori presto fecero la loro comparsa nell'atrio del tempio. Numerose persone si avvicinarono all'Hostess per salutarla con evidenti segni di rispetto. I Quattro Autentici Messicani osservavano attentamente a quanti si avvicinavano a Regina; mantenevano ancora la speranza che nell'ultimo momento la Regina del Messico riuscirebbe a trovare la persona che mancava per integrare il gruppo. Non fu così. Ben presto conclusero gli spontanei saluti e don Gabriel non dovette fare nessun conteggio per sapere che erano ancora trecento novanta nove persone quelle che accompagnerebbero Regina al sacrificio.

Il Testimone supplicò Regina lo autorizzasse ad unirsi al gruppo di martiri. La Regina del Messico li ringraziò sinceramente la sua offerta, ma la respinse con fermezza. La sua natura non era di martire ma di testimone, motivo per cui doveva concentrare tutti i suoi sforzi nel svolgere nel modo migliore possibile il compito che gli era proprio.

Cominciarono la marcia. Regina avanzava in testa portando la bandiera nazionale. In questa occasione si incamminarono per la Calzada de Guadalupe. L'eterogeneità del gruppo era palese. C'erano persone delle più diverse condizioni socioeconomiche e culturali. Non esisteva un solo stato della Repubblica che non avesse vari rappresentanti. Erano, senza dubbi, i migliori elementi umani del paese da un punto di vista strettamente spirituale. Senza che nessuno di essi se ne accorgesse, un'ombra denutrita e trasandata seguiva le loro orme.
Terrorizzato, il Tenebras credé che fosse arrivata la fine della sua esistenza. La collisione con l'altro elicottero che sorvolava Tlatelolco era imminente. Emerso dalle profondità delle sue viscere un urlo di panico sfuggì dalle labbra dell'ex narcotrafficante. Una improvvisa sterzata dell'altro apparato evitò nell'ultimo istante quello che sembrava un sicuro scontro. La vicinanza dei due elicotteri era di misura tale che il Tenebras poté osservare perfettamente i visi degli occupanti del vicino artefatto. Gli ridevano in faccia il deliberato brutto momento che li avevano fatto passare.

-Quei militari - farfugliò il Tenebras, aggiungendo poi tutta una serie di imprecazioni contro i membri delle Forze Armate. Dopodiché ordinò al pilota - allontanati un po' per vedere cosa succede con la strega che non arriva. Doveva già essere qui, sono le sei precise.

Il progetto dell'operazione repressiva che doveva effettuarsi il 2 ottobre aveva subito alcune modifiche. Il segretario della Difesa si era opposto che il segnale con cui l'esercito darebbe inizio l'operazione fosse lanciato per una persona che non era militare. Ciò aveva obbligato ad includere nell'operativo un elicottero della Segreteria della Difesa i cui equipaggio lancerebbe un razzo verde per segnalare alle truppe di procedere a sfrattare la Piazza ed a catturare i membri del Consiglio Nazionale di Sciopero. A sua volta il Tenebras, a bordo di un elicottero della Segreteria di Governo, lancerebbe un razzo rosso per far conoscere ai membri della sua banda il momento in cui dovevano iniziare i suoi spari sui soldati. Naturalmente il segretario della Difesa ignorava questa ultima parte del piano; soltanto era stato informato che un gruppo di agenti speciali porterebbe a termine la cattura di vari pericolosi terroristi che parteciperebbero al raduno. Così come i membri del Battaglione Olimpia, detti agenti ostenterebbero come segno distintivo un guanto bianco sulla mano sinistra.

Il Tenebras localizzò prontamente dall'aria all'Hostess e il suo gruppo. Percorrevano l'ultimo tratto della Calzada de Guadalupe e si incamminavano direttamente a Tlatelolco.

-Eccoli, li teniamo! -affermò gioioso il dirigente, in altri tempi, degli Halcones -. Ma sono dei barbari, se portano anche un'invalida! -esclamò osservando una sedia a rotelle in cui c'era una donna.

L'elicottero girò a prendere altitudine e dopo di effettuare un ampio circolo ritornò alla Piazza delle Tre Culture. Dalla sua insuperabile torretta di sorveglianza, il Tenebras poteva contemplare quanto succedeva in questa. Il raduno faceva un'ora che era stato avviato, partecipavano a questo circa diecimila persone tra studenti e residenti di Tlatelolco. C'era un'alta percentuale di donne, anziani e bambini. Dalla terrazza del terzo piano dell'edificio Chihuahua i dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero presiedevano il raduno. Nutriti contingenti di truppe erano appostati nei pressi della piazza. L'entrata o l'uscita di questa solo poteva effettuarsi da uno dei suoi fianchi - il più prossimo al Paseo de la Reforma -; negli altri tre esisteva già un impeccabile cerchio.

Utilizzando i cannocchiali che portava appesi al collo, gli sporgenti occhi del Tenebras avvistarono la figura del comandante dell'operazione José Hernández Toledo. Il militare osservava di continuo il suo orologio da polso e poi elevava gli occhi verso l'elicottero della Segreteria della Difesa, sorpreso indubbiamente dal ritardo nell'invio del segnale che darebbe inizio all'azione.

Attraverso i suoi cannocchiali l'ex narcotrafficante contemplò l'arrivo in piazza dell'Hostess e i suoi accompagnatori. Si piazzarono tutti insieme tra l'edificio Chihuahua e la chiesa coloniale dedicata al culto di Santiago. La giovane e quattro soggetti salirono su un circolare altare di pietra costruito in tempi pre-ispanici, il resto del gruppo rimase intorno all'altare.

Come se la figura dell'Hostess fosse una specie di potente calamita che attraesse in modo irresistibile il metallo, i due elicotteri cominciarono a scendere rapidamente, girando in piccoli cerchi. Temendo che il membro dell'equipaggio dell'altro elicottero realizzasse un'altra volta una pericolosa manovra con la sola finalità di spaventarli, il Tenebras e il suo pilota osservavano con preoccupazione la scarsa distanza che separava a tutti e due apparecchi.

-Perché non invieranno di una volta il segnale? -mormorò il Tenebras -. Già la strega entrò nella trappola ed era stato detto loro che quell'era il momento che dovevano aspettare per gettare la luce.

Non aveva ancora concluso di parlare quando vide un risplendente razzo di colore verde uscire dal elicottero militare e iniziare una lenta discesa verso il suolo. L'ora del Tenebras aveva suonato. Con un fucile di alto potere e di mirino telescopico puntò direttamente il comandante dell'operazione ed premette il grilletto. Il generale Hernández Toledo aveva appena ordinato l'avanzata delle truppe quando l'impatto del proiettile che penetrò nel suo corpo lo fece crollare gravemente ferito. Senza perdere né un secondo, il Tenebras cercò d'incentrare nel mirino del suo fucile al conducente del vicino elicottero. Non appena ci riuscì sparò di nuovo. La pallottola ferì il pilota nella spalla, ma questo riuscì a mantenere il controllo dell'apparecchio e portarlo fino al vicino tetto del palazzo della Segreteria di Relazioni Esterne. Dopodiché il Tenebras prese una pistola segnalatrice e lanciò con essa un razzo rosso. Lasciando da parte la pistola, l'occupato Tenebras brandì una mitragliatrice di grosso calibro che si trovava piazzata sul pavimento dell'elicottero. Con rapidi movimenti diresse il cannone dell'arma verso dove si trovavano l'Hostess e il suo gruppo. Una febbrile eccitazione invadeva tutto il suo essere facendolo sudare copiosamente. Proferì una maledizione e premette il grilletto.
Il pomeriggio iniziava la sua ritirata quando avvistarono gli edifici dell'unità. A causa del tempo impiegato da Regina per dire addio ad alcune persone che avevano pregato con lei nel Tepeyac, la Regina del Messico e i suoi accompagnatori erano leggermente in ritardo rispetto al loro solito orario di arrivo a Tlatelolco. Ignorando l'orario fissato dalle autorità per dar loro morte, Regina sentiva una profonda preoccupazione che il sacrificio potesse realizzarsi in circostanze che colpissero persone estranee al medesimo. Ricordò che quel pomeriggio si realizzerebbe in primo luogo un raduno e poi una manifestazione che uscendo di Tlatelolco culminerebbe nel Casco de Santo Tomás. Esprimendo a voce alta i suoi pensieri, la giovane affermò:

-Spero che quando arriviamo alla piazza se ne siano andati già tutti i manifestanti al Casco, non sia che ci vogliano sacrificare in mezzo alla gente.

Finendo il percorso della Calzada de Guadalupe avanzarono un breve tratto lungo il Paseo de la Reforma, poi girarono a destra diretti verso la Piazza delle Tre Culture. Avvicinandosi a questa si incrociarono al suo passaggio con numerose persone. Incuriosito don Uriel chiese ad un giovane di aspetto marcatamente studentesco:

-Amico, cos'è successo? Non è ancora iniziata la manifestazione?

-Non si farà, l'hanno sospesa - rispose l'interrogato -.Sembra che ci siano soldati dappertutto e quelli del Consiglio hanno deciso che era meglio non rischiare. Sta finendo già il raduno. Hanno detto che meglio che la festa finisca qui e che ognuno vada a casa.

Regina impallidì nel sentire la risposta. Dal momento stesso che attraversarono i confini di Tlatelolco la sua coscienza aveva cominciato a registrare un vero turbine di emozioni. Intuì con certezza che il sacrificio inizierebbe tra pochi istanti, quando cominciasse la predominanza delle tenebre notturne sopra i raggi del Sole. Rapidamente comunicò i suoi pensieri a coloro che la circondavano e concluse manifestando l'urgente necessità che esisteva di riuscire che tutti gli assistenti al raduno sloggiassero l'area, perché altrimenti potrebbero generarsi innumerevoli vittime. Affrettarono il passo. Quando mancavano soltanto pochi metri per entrare nella piazza, Ana María Gonzalez disse a suo marito:

-Non voglio arrivare in una sedia a rotelle al luogo in cui morirò. Per favore, portami in braccio.

Raúl prese tra le sue braccia il paralizzato corpo della sua compagna. Il gruppo entrò nella Piazza delle Tre Culture. Regina localizzò immediatamente il posto dove avrebbe luogo il sacrificio, era esattamente lo stesso posto dove si svolgesse, secoli fa, il rito mediante il quale il suo spirito aveva raggiunto la possibilità di rimanere aspettando il momento propizio per agire di nuovo in beneficio della sua nazione. Di sicuro il popolo e le autorità azteche avevano voluto conservare la memoria di quel luogo ed avevano costruito in esso - dopo la distruzione del palazzo di governo di Tlatelolco successo nel 1473 - un altare di pietra di forma circolare. Ora era a quell'altare su cui saliva la sua Regina. I Quattro Autentici Messicani salirono con lei. Gli altri integranti del gruppo di aspiranti al martirio si distribuirono intorno l'altare. Confuso tra questi si trovava Il Testimone.

Il raduno aveva appena finito ma c'erano ancora varie migliaia di persone in piazza. Regina cercò di avvertirli del pericolo che aleggiava su di loro, esortandoli di allontanarsi quanto prima. La sua voce non riuscì ad essere ascoltata. Due elicotteri che sorvolavano la zona scesero al di sopra delle sue teste. Il rumore che producevano gli apparecchi era di tale grado che copriva qualsiasi altro suono. Una luce di colore verde intenso uscì da uno degli elicotteri. Non nelle sue orecchie ma nel profondo della sua anima, la Regina del Messico percepì la pronuncia del suo antico nome:

-Citlalmina!

Regina si voltò. Un'ultima figura era approdata alla piazza e si avvicinava in veloce corsa. Era il bambino senza nome e con mani di artista che le regalasse una farfalla di carta. Tutto il suo essere sembrava avere sofferto una subitanea trasformazione. La Regina del Messico riconobbe allora lo spirito che animava il debole corpicino. Non era altro che Tecpatl, il geniale artista tenochca, autore tra molte altre prodigiose realizzazioni scultoree, della Coatlicue e del Calendario Azteco. Regina non ebbe bisogno di tentare di informare i suoi amici che il gruppo era stato completato, e che pertanto, il sacrificio delle loro vite non sarebbe in vano. Un flusso di percettibile e potente energia sembrò sorgere improvvisamente intorno all'altare, conferendo a tutti i martiri indistruttibile serenità e forza.

Al tempo che un segno rosso sgorgava come una sanguinante ferita di uno degli elicotteri, le nuvole cominciarono a formare nel cielo la figura di un'aquila divorando un serpente. Regina osservò entrambi i simboli e li giudicò come rispettivi presagi della sua imminente morte e del pieno compimento della sua missione. Con il viso acceso e lo sguardo fiammeggiante fece ondeggiare la bandiera. Le sue labbra pronunciarono una sola parola con tale forza che si riuscì ad ascoltare nonostante l'assordante rumore che produceva il sempre più vicino elicottero:

- ME-XIHC-CO!

Le raffiche delle mitragliatrici annunciò l'inizio del sacrificio. Una pioggia di mortifero fuoco si abbatté sugli occupanti dell'altare. Avvolta nella bandiera nazionale la Regina e Suprema Sacerdotessa del Messico crollò con il cuore trafitto da accurato proiettile. I Quattro Autentici Messicani caddero vicino a lei. Técpatl arrivò fino alla scalinata che conduceva alla cima dell'altare e lì fu colpito dalla mitraglia. Ana María e Raúl perirono strettamente uniti, perforati dalle stesse pallottole. Un sorriso rimase congelato nelle gentili fazioni di Leticia il cui bianco uniforme di infermiera si colorava di rosso. Con grande rapidità le pallottole continuavano a falciare la vita dei primi olmechi della nuova Era.

La Piazza delle Tre Culture cominciava a trasformarsi in una succursale dell'inferno. Cadendo il razzo di luce verde, i membri del Battaglione Olimpia, confusi fino ad allora tra gli assistenti al raduno, si lanciarono pistole in mano a coprire gli ingressi all'edificio Chihuahua. Formando un minacciante steccato ostacolarono l'entrata o l'uscita di qualsiasi persona di detto edificio, allo stesso tempo che vari di essi salivano dalle scale e ascensori fino al terzo piano, con la chiara intenzione di catturare i dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero che lì si trovavano. Simultaneamente, le truppe piazzate in tre dei fianchi della piazza iniziarono la loro avanzata. La luce rossa che esplose nel cielo in quegli istanti fece entrare in azione nuove e malefiche forze. Barricati in un appartamento del quarto piano del Chihuahua, come in varie delle sue terrazze e sul tetto, "i tenebrosi" iniziarono un nutrito fuoco sui soldati che si avvicinavano. Sentendosi attaccati, gli uomini di verde reagirono immediatamente. La loro risposta sarebbe stata terribile.

I partecipanti al raduno cominciavano a ritirarsi quando si scatenarono gli eventi. Notando che un gruppo di individui armati procedeva a bloccare gli ingressi al Chihuahua, la gente capì che cercavano di catturare i dirigenti del Consiglio e tentò di impedirlo. Senza più armi che le loro mani numerose persone, tra cui donne e bambini, si lanciarono contro "gli olimpici." Questi spararono prima in aria, ma vedendo che la moltitudine non si fermava aprirono il fuoco a bruciapelo. Vari corpi crollarono sanguinando. Quale onda che indietreggia sotto l'impulso della risacca, la marea umana cercò di allontanarsi ripercorrendo i propri passi. Proprio in quel momento intervennero le truppe sparando e caricando alla baionetta. Terrorizzata la moltitudine si disperse in tutte le direzioni.

Nella convinzione che il proposito dell'operazione al suo carico era soltanto sfrattare i manifestanti mentre si procedeva alla cattura dei dirigenti studenteschi, il generale Hernández Toledo aveva distribuito le sue truppe lasciando scoperto un fianco della piazza, in modo tale che fosse da lì dove si potesse ritirare la moltitudine quando l'esercito avanzasse distribuendo calci di fucile. Quando cominciarono a piovere le pallottole e scoppiò la dispersione dei partecipanti al raduno, questi non erano in grado di sapere che erano circondati da tre franchi e con prospettive di salvezza dal rimanente, perché nei primi momenti dell'attacco non riuscivano ancora a distinguere da che parte si avvicinavano le truppe e sentivano fischiare le pallottole dappertutto. Perciò, ciascuno corse verso dove poté cercando di mettersi in salvo. Coloro che ebbero la fortuna di dirigere i suoi passi verso il Paseo de la Reforma riuscirono a scappare dalla mortale trappola, gli altri rimasero acchiappati in questa.

Senza poter credere quello che vedevano, i dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero osservavano dalla terrazza del terzo piano dell'edificio Chihuahua la tragedia che si sceneggiava in piazza. Insieme a loro si trovava un elevato numero di giornalisti nazionali e di corrispondenti stranieri, arrivati questi ultimi al paese con motivo dei sempre più vicini Giochi Olimpici. In virtù dell'angolo di visione che possedevano coloro che si trovavano nel Chihuahua, li aveva risultato impossibile notare l'azione avviata dai membri del Battaglione Olimpia. Cioè, no potevano vedere che un gruppo di individui armati salivano per le scale e ascensori mentre altri individui altrettanto armati bloccavano tutti gli ingressi dell'edificio. Invece, contemplarono sorpresi le onde della moltitudine che cercava inizialmente di avvicinarsi al Chihuahua per dopo allontanarsi in tutta fretta da esso. Uno dei dirigenti degli studenti prese il microfono e proferì esortazioni affinché si mantenesse la calma. Non c'era possibilità alcuna che simile richiesta fosse soddisfatta. In primo luogo l'elicottero che continuava a mitragliare le persone che si trovavano in un altare pre-ispanico, poi gli individui del guanto bianco che avevano sparato sulla gente, e infine l'arrivo dell'esercito sparando a destra e sinistra, avevano generato un inspiegabile sentimento di terrore nella moltitudine e la sua successiva fuga precipitosa.

Dirigenti studenteschi e giornalisti non poterono continuare a guardare quello che stava accadendo nella piazza. Ascoltarono volgari imprecazioni alle loro spalle e pochi istanti dopo una valanga di colpi cadde su di loro. Chi li propinavano portavano guanto bianco sulla mano sinistra e sulla destra pistola calibri 45, essendo i manici di queste quelle che si schiantavano con furia in studenti e giornalisti, i quali, una volta soggetti, furono posizionati contro la parete con ordine rigoroso di non girarsi a vedere quello che accadeva intorno a loro.

La Piazza delle Tre Culture era già parte integrante dell'inferno. Nel prodursi l'avanzata delle truppe queste si renderono conto che uno dei lati rimaneva scoperto; istintivamente e senza che nessuno li ordinasse di farlo, i soldati procederono ad estendere il cerchio fino a costituire un chiuso circolo di fuoco intorno alla piazza e l'edificio Chihuahua. Una volta completato il cerchio il massacro acquisì grandi proporzioni. Sapendosi attaccati per invisibili rivali i cui spari stavano causandoli gravi perdite, i soldati sceglierono per considerare come nemici tutti coloro che non portassero uniforme militare. Il letale armamento di cui è dotato l'esercito fu utilizzato al massimo e senza troppe cerimonie. Carri armati e carri di assalto avevano fatto il loro ingresso nella piazza e sparavano assordanti cannonate e incessanti raffiche con mitragliatrici di grosso calibro. Le grida di angoscia e gli aia dei feriti orchestravano una spaventosa sinfonia. Ovunque si osservavano le più raccapriccianti scene. Panico ed eroismo pennellavano inenarrabili quadri. Esseri che correvano impazziti fino a cadere falciati per le pallottole. Madri che proteggevano con i suoi corpi quelli dai suoi piccoli figli e sopportavano stoiche gli impatti dei proiettili fino a rimanere immobili. Nella mente di molti dei sopravvissuti rimarrebbe indelebilmente incisa la sfidante immagine di un'anziana. Era in piedi nel centro stesso della piazza, con un braccio alzato e le dita formando la "V" della Victoria. Quando finalmente crollò con il cranio fracassato per un proiettile, le sue dita continuarono a mostrare il semplice gesto con cui esprimeva la sua incrollabile fede nel trionfo finale del Movimento.

Gli residenti dell'edificio Chihuahua stavano nella linea di fuoco. Quando cominciarono a sparare i soldati sull'enorme costruzione, i numerosi abitanti delle loro abitazioni si allontanarono immediatamente dalle finestre che si affacciavano sulla piazza. Stesi sul pavimento delle stanze si trasformarono in impotenti e inorriditi testimoni della violenta distruzione delle loro case. E in molteplici casi, lo furono anche dell'agonia e morte dei loro cari. Le cannonate dei carri armati facevano sconvolgere l'intero edificio. Si erano verificati diversi incendi e il fumo che penetrava da tutte le parti rappresentava un tormento in più per i castigati occupanti dell'immobile. Il pianto terrorizzato dei bambini, incapaci di capire quello che stava succedendo, costituiva probabilmente il più insopportabile di tutti i suoni.

Né "olimpici" né "tenebrosi" si stavano divertendo per niente. Man mano che si erano avvicinati i soldati, i membri del Battaglione Olimpia che si trovavano piazzati al pianterreno dell'edificio Chihuahua avevano cercato di identificarsi come membri dell'esercito, ma i soldati non diedero loro tempo di farlo e continuarono a sparare contro qualsiasi cosa o persona che non fosse di colore verde. Vedendo in pericolo le loro vite, "gli olimpici" sceglierono di ritirarsi precipitosamente. Salendo al terzo piano dell'edificio si riunirono con i loro compagni che tenevano sotto tiro a dirigenti studenteschi e giornalisti. Ben presto gli spari che provenivano dalla piazza obbligarono a rapitori e prigionieri a sdraiarsi sul pavimento. Il rimbalzare delle pallottole cominciò a causare vittime. Disperati "gli olimpici" univano le loro voci per gridare più e più volte di cessare il fuoco. Inutile sforzo. Carri armati, mitragliatrici e fucili continuavano a crivellare il Chihuahua.

Strategicamente posizionati in varie parti del palazzo, "i tenebrosi" avevano iniziato un fuoco pesante sulle truppe da quando apparisse nel cielo il rosso segnale. Tenendo conto le istruzioni ricevute, non avevano diretto i suoi spari esclusivamente sui soldati. Avevano anche fatto fuoco sulla folla congregata nella piazza, preferibilmente sul gruppo facilmente localizzabile che integravano l'Hostess e i suoi accompagnatori. Per un bel po' andò tutto senza intoppi. I membri della banda finanziata dai narcotrafficanti godevano della perfida allegria del cacciatore che prende indifese prede. Il suo godimento non si prolungò a tempo indeterminato. La reazione dell'esercito risultò essere molto più rapida e violenta di quanto previsto. L'intervento di carri armati e carri di assalto aprendo fuoco sull'edificio generò il panico tra i "tenebrosi." Abbandonando le loro posizioni corsero a concentrarsi sul terzo piano, cercando di rimanere sotto la protezione del Battaglione Olimpia. "Siamo dei vostri", gridavano con spaventato tono al tempo che esibivano le loro inguantate mani. "Gli olimpici" non erano in grado di poter offrire protezione a nessuno. Sdraiati nel suolo dei corridoi e stanze continuavano a dare inutili voci di cessare il fuoco, il quale cresceva di continuo. Uno dei militari vestito di civile cercava di comunicarsi, attraverso un walkie- talkie, con gli ufficiali che erano in piazza. Non era sicuro di poter riuscirci prima che si verificasse l'assalto delle truppe all'edificio.
Anche se non esisteva posto alcuno nella Piazza delle Tre Culture in cui non fossero caduti proiettili all'ingrosso, il posto che aveva ricevuto il maggior numero di impatti era, indubbiamente, lo spazio dove è ubicato l'altare pre-ispanico di forma circolare situato fra le spalle del Tempio di Santiago e l'ingresso all'edificio Chihuahua. Per diversi minuti i mortali scarichi di uno degli elicotteri si erano concentrati su detto posto. Quando si generalizzò la sparatoria l'apparecchio si allontanò, essendo al punto sostituito nelle sue funzioni per buona parte degli spari che partivano dall'edificio, i quali sembravano avere una marcata preferenza per uccidere le persone raggruppate intorno l'antico altare. C'erano in quelle persone un qualcosa davvero eccezionale che stonava con quanto succedeva nel loro intorno. L'assenza in esse di qualsiasi sentimento di paura risultava evidente. Allo stesso modo neanche rivelavano atteggiamenti di sfida o aggressivi. Senza dire una parola o di emettere un gemito, con i visi sereni e una misteriosa luce rifulgendo nei loro occhi, i membri di quel singolare gruppo continuavano a morire all'essere raggiunti dalla tempesta di fuoco che cadeva su di loro.

Oscurità e pioggia avevano fatto la loro comparsa. Entrambe denotavano speciali caratteristiche. Il buio era ominoso e malefico. L'acqua che sgorgava dello scudo nazionale formata dalle nuvole sembrava intrisa di profonda tristezza. Lo stesso sentimento si percepiva nelle costruzioni di tre epoche diverse che conferiscono alla piazza nome e fisionomia. Nonostante, unita alla tristezza che prevaleva nell'ambiente, si sentiva anche l'emozione che produce l'emergere di un nuovo essere carico di speranze. Tlatelolco recuperava quella sera la sua dimenticata funzione di Centro Energetico Femminile; finiva così quasi mezzo millennio di fatale squilibrio nell'anima della nazione.

Quando le truppe arrivarono davanti all'altare pre-ispanico ormai non rimaneva in piede persona alcuna. Gli ammucchiati cadaveri somigliavano una specie di sanguinante piramide. In cima all'altare, circondata da quattro inanimati uomini di robusti visi, giaceva la figura di una donna i cui fazioni, nonostante la sua palese gioventù, possedevano quella forza enigmatica e potente che sgorga di certe millenarie effigie femminili che in alcuni casi sono rappresentazioni scultorie, come succede con l'effigie egiziana, e in altri casi ciclopici esseri di innevate cime, come la montagna alla quale la saggezza popolare ha dato il nome di "La Donna Addormentata." 
E in caso di sordità un sacrificio avrà 
la cui luce per millenni la rotta illuminerà.