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Dove sono i khampa?


Tsering Karpo, il più generoso e coraggioso dei guerriglieri khampa, osservava con profonda attenzione l'ampia valle che si estendeva davanti ai suoi occhi al cui centro giaceva la tormentata città di Lhasa. Il grosso cordone di truppe cinesi che la circondava, vestite con i loro monotoni uniformi di colore kaki, somigliava il laccio di un cappio posizionato con la chiara intenzione di uccidere la città sacra.

Non appena riceverono le prime notizie della ribellione scoppiata nella capitale del Tibet, Tsering e i suoi uomini, profondamente preoccupati per il pericolo in cui potesse trovarsi il Dalai Lama, avevano abbandonato il suo nascosto accampamento tra le montagne e cavalcato senza sosta fino arrivare vicino a Lhasa. Li incoraggiava non solo il proposito di fornire il loro sostegno e protezione al venerato governante del paese, ma di unirsi ai ribelli nella loro lotta contro gli odiati invasori.

Con l'eccezione di uno, gli osservatori inviati da Tsering per vedere e raccogliere informazione nelle prossimità della città erano ritornati già. Le versioni di tutti coincidevano. Non c'era possibilità alcuna di rompere l'assedio dai cinesi intorno a Lhasa. Il numero di truppe nemiche era incomparabilmente superiore agli scarsi trecento combattenti che integravano il contingente khampa. Come se non bastasse, circolavano voci che stava per arrivare nel pomeriggio di quello stesso giorno un esercito cinese ancora più potente. Insieme a tante scoraggianti notizie, gli inviati di Tsering portavano almeno una bella notizia: il Dalai Lama era riuscito a scappare giorni fa dalle grinfie dei suoi nemici e per quelle date doveva trovarsi al sicuro in alcuna fortezza di altri guerriglieri khampa.

Tenuto conto delle circostanze, non rimaneva altro che tornare indietro e prendere la via del ritorno. Tsering ordinò ai suoi uomini che fossero pronti per iniziare la marcia non appena arrivasse l'osservatore che ancora non era tornato.
La storia personale di Tsering Karpo conteneva elementi più che sufficienti per riempire vari libri d'avventure. Avendo perso i loro genitori prima dell'età di tre anni, sua nonna materna si era preso cura di lui, portandolo a vivere in un villaggio remoto sulle rive del Chang Tang, deserto di ghiaccio considerato da geografi come una delle zone più inospitali del pianeta. Fu in quella desolata regione, vera scuola di sopravvivenza, dove il futuro guerrigliero imparò a sussistere nelle più avverse condizioni e dove cominciò a rivelare l'audacia del suo carattere. Appena aveva compiuto quattordici anni quando lasciò la casa di sua nonna per unirsi a una banda di fuorilegge, i quali si aggiravano sia nelle province tibetane di Kham e Amdo come nella regione cinese di Sechuan; inseguimenti e agguati finirono per indurire il suo corpo e temperare il suo spirito, rendendolo un essere indomabile e temerario.

Ai venti anni e, a seguito delle sue facoltà di comando e di organizzazione, Tsering fu riconosciuto come capo indiscusso della sua banda. Insieme a queste qualità cominciò a rivelare certe peculiarità di carattere che non erano proprio le solite in un capobanda. Così, ad esempio, soleva ripartire la parte del bottino che gli corrispondeva tra i più poveri, e interveniva personalmente per punire gli abusi commessi dalle autorità e dei potenti contro i poveri. Orfani, vedove e bisognosi si rivolgevano a lui in cerca di aiuto e la ricevevano in modo generoso e disinteressato.

Avvenendo l'invasione cinese nell'anno Ferro-Tigre, il giovane bandito non esitò un istante per quanto riguarda la condotta che doveva assumere. Ostentando il suo solito coraggio e audacia, partecipò fin dalle prime battaglie intraprese contro gli invasori. Molte delle operazioni di persecuzione di maggior successo subite dai cinesi nella loro avanzata a Lhasa furono pianificate ed eseguite da Tsering.

Concertata la pace tra le autorità tibetane e il governo di Pechino, (Accordo dei Diciassette Punti di 1951) questo si diede al compito di cercare d'ingraziarsi i khampa. In vista a tale scopo, le forze cinese di occupazione si astennero non solo di esercitare qualunque rappresaglia nei suoi confronti, ma perfino pretesero di  inquadrarli sotto il comando dell'esercito cinese, per cui li invitarono a costituirsi in una sorta di forze paramilitari che riceverebbero una considerevole remunerazione.

Il mezzo utilizzato dai cinesi per presentare la loro nuova politica, fu quello di indirizzare un messaggio redatto in termini conciliatori a ciascuno dei capi Khampa più rispettati. In virtù dell'impossibilità di consegnare personalmente detti messaggi ai suoi destinatari, si usò il sistema di imprimerli in gran numero e fissarli ai margini dei sentieri e nei muri di templi e case delle diverse zone in cui operavano i diversi gruppi guerriglieri.

Anche se Tsering non sapeva leggere, cercava che ci fosse sempre nella sua banda qualcuno in grado di farlo. L'intenzione che stava inseguendo con ciò era proprio quella di poter conoscere il contenuto dei manifesti che alludendo alla sua persona erano fissati periodicamente dalle autorità tibetane in una vasta area. In essi era qualificato con i peggiori epiteti per i suoi costanti assalti e si offriva sempre una sempre maggiore ricompensa per la sua cattura. Quelli manifesti costituivano il più grande orgoglio di Tsering, chi metteva un speciale impegno in mantenere una collezione completa degli stessi e gli piaceva che gli fossero letti più e più volte per sentire compiaciuto la cattiva opinione che avevano di lui le autorità.

Con gli occhi spalancati di stupore e senza poter credere a quello che sentiva, Tsering aveva sentito la lettura di uno dei manifesti in cui si trascriveva il messaggio personale che il governo cinese gli dirigeva. Nel messaggio si faceva menzione alla sua vita di bandito, ma questa non solo si minimizzava ma addirittura si giustificava. Utilizzando una terminologia marxista che risultava assolutamente incomprensibile per il guerrigliero, si procedeva a spiegargli che la sua precedente ribellione era stata la logica reazione di un membro delle classi sfruttate contro gli odiosi capitalisti, ma che ora, in virtù che il Tibet si trovava già libero di ogni oppressione, doveva incorporarsi, insieme ai suoi uomini, alle forze armate tibetane che si organizzerebbero con la finalità di aiutare i cinesi a implementare un nuovo ordine economico e sociale, il quale porterebbe la felicità a tutti gli abitanti del paese delle nevi eterne.

Conclusa la lettura, Tsering era rimasto devastato per un lungo momento, sentendosi vittima della più grande ingiustizia. A suo parere, quel manifesto aveva il solo scopo di distruggere il suo prestigio come bandito, acquisito a scapito di grandi sforzi e sacrifici. Improvvisamente la sua confusione si trasformò in traboccante rabbia, dopo strappare in innumerevoli pezzi il diffamatorio manifesto, alzò in alto la sua affilata sciabola e giurò che i cinesi avrebbero pagato a caro prezzo l'affronto commesso. Poi ordinò ai suoi uomini andare a cavallo. Dopo aver cavalcato tutta una notte si prepararono a prendere d'assalto la guarnizione del villaggio di Tinko.

Il travolgente attacco dei khampa avvenne all'alba e prese ai cinesi completamente alla sprovvista. Circa un centinaio di soldati dell'esercito di Mao furono decapitati e le loro teste, inchiodate su picche, rimasero collocate accanto ai manifesti nei quali si richiedeva la collaborazione di quel "sfruttato proletario Tsering Karpo."

Non ci volle molto tempo prima che i cinesi distribuissero ovunque nuovi manifesti alludendo a Tsering. Le affermazioni contenute negli stessi furono già pienamente gradite dal guerrigliero, poiché non solo si ripetevano contro di lui gli insulti che li formulassero anticamente le autorità tibetane, ma ora si aggiungevano nuovi insulti —"reazionario, borghese, capitalista, agente dell'imperialismo"— il cui significato non capiva ma che li producevano una grande soddisfazione, poiché costituivano la migliore prova della collera che dominava ai suoi avversari.

Tale e come succedesse già nel passato, la ricompensa fissata per la morte o cattura di Tsering si incrementava dopo ogni nuovo assalto che questo commetteva; tuttavia, apparentemente nessuno era interessato a incassarla. L'appoggio che il guerrigliero riceveva della gente del paese cresceva di continuo,  lui non era più visto come un semplice bandito, bensì come vero e proprio "difensore della fede e della Nazione."

L'atteggiamento ribelle assunto da Tsering non ci mise molto ad essere imitato da altri capi khampa, i quali, rendendosi conto che le mielose parole dei cinesi avevano come unico proposito controllarli e neutralizzarli, ripresero con rinnovato entusiasmo un'implacabile lotta contro gli invasori del suo paese

Gli incessanti attacchi dei guerriglieri khampa obbligarono i membri del governo cinese a togliersi la maschera e a comportarsi come realmente erano: i dirigenti di una potente Nazione che, senza giustificazione alcuna, si sono proposti annettersi un paese debole con il solo scopo di raggiungere il suo massimo sfruttamento.

L'alto comando militare a Pechino elaborò un complicato piano strategico, il quale prevedeva la realizzazione di una gigantesca manovra avvolgente che doveva accerchiare tutta la regione di Kham, in modo tale che i gruppi guerriglieri che operavano in essa rimanessero prima circondati e dopo fossero sterminati man mano che "pettinavano" quadrante per quadrante il terreno. Si trattava secondo quanto riportato all'inizio del piano, "di inviare alla discarica della storia anche la memoria stessa dei khampa."

Il progetto e preparazione del piano cinese portò circa due anni. La sua esecuzione diede inizio nei primi mesi del 1956 e i suoi risultati furono del tutto inaspettati.
Tsering e la sua guerriglia si trovavano nelle vicinanze del Lhodzong, molto vicini alla recentemente costruita strada che attraversava la regione di Kham, quando osservarono con stupore le enormi forze militari provenienti dalla Cina che cominciavano a muoversi attraverso detta strada. Per tre giorni i tibetani rimasero nascosti, senza riuscire a capire quale poteva essere l'obiettivo che inseguivano con una tale dimostrazione di potenza militare. Il terzo giorno, Tsering ebbe un lampo di eloquente intuizione che gli permise di notare quale era l'intenzione che inseguivano i cinesi. Immediatamente spedisse messaggeri in tutte le direzioni, convocando il maggior numero possibile di capi khampa ad una riunione di emergenza.

Nella riunione promossa da Tsering furono presenti i più distaccati capi khampa, includendo i famosi fratelli Pangda Tsang che controllavano le guerriglie più importanti. Senza ulteriori indugi Tsering li informò quello che aveva visto e la conclusione che ne dedusse di ciò: i cinesi cercavano di accerchiarli militarmente e avevano iniziato già l'operazione volta a tal fine.

Urgyen, un guerrigliero del nord di Kham, famoso per la sua lunga chioma, si rese conto che nella sua zona stava succedendo la stessa cosa che nel sud, cioè la penetrazione di un enorme esercito. Ascoltandolo, i khampa compresero che la conclusione di Tsering era corretta e che i cinesi intendevano trasformare in un'immensa trappola l'intera regione di Kham.

Detentori dell'istintiva astuzia che caratterizza il guerriero nomade, i khampa si sono accorti subito che la sua unica possibilità di sopravvivere consisteva in riuscire a intrufolarsi tra le due tenaglie di truppe nemiche prima che queste chiudessero l'assedio. Senza perdita di tempo, presero i provvedimenti necessari per raggiungere tale scopo. Concordarono sgomberare quanto prima la provincia di Kham e disperdersi per i quattro punti cardinali del Tibet, al fine di trasformare il paese in un immenso accampamento guerrigliero. Decisero inoltre che sebbene ogni capo khampa conserverebbe com'era consuetudine, piena autonomia, si concederebbe una certa gerarchia ai fratelli Pangda Tsang per la coordinazione di azioni che richiedessero la collaborazione di tutti. Tsering annunciò che la sua nuova zona di operazioni rimarrebbe situata in una regione non molto lontana di Lhasa, che gli permetterebbe di assistere di tanto in tanto alle varie festività che avevano luogo nella capitale del Tibet.

La ritirata dei khampa della sua tradizionale regione di origine costituì una vera prodezza militare. In un incredibilmente breve tempo organizzarono e portarono a termine la totale emigrazione degli abitanti di Kham, perché non furono solo i guerriglieri quelli che abbandonarono detto territorio, ma anche la popolazione civile e il bestiame che costituiva la sua fonte principale di sostentamento. Quando i cinesi finirono di chiudere l'assedio e cominciarono a "pettinare la zona", si sono resi conto sorpresi che avevano conquistato un spazio vuoto. La sua costosa trappola pianificata da tanto tempo finiva nel più totale fallimento. I khampa sembravano essere spariti dalla faccia della Terra. Ben presto, gli invasori tornerebbero ad avere abbondanti notizie della "Razza di Re."

Disseminandosi in tutte le regioni del Tibet, i khampa portarono con sé il seme della ribellione. Fino a quelle date —metà 1956— l'unica provincia che era rimasta in aperta rivolta contro l'occupazione cinese era stata quella di Kham. Gli abitanti delle altre province accettavano con rassegnata tristezza l'impotenza in cui si trovavano di fronte alla potenza degli invasori. Verificatasi la dispersione khampa, la situazione cominciò a cambiare rapidamente fino a rimanere esattamente l'opposta, cioè l'insurrezione cominciò a diffondersi in tutto il Tibet, con la sola eccezione di Kham che a quel punto era vuota di abitanti e piena di eserciti cinesi.

L'inaspettata svolta degli eventi prese completamente sprovvedute alle autorità di Pechino, le quali impiegarono un bel po' di tempo ad accorgersene che non affrontavano semplici rivolte isolate, bensì i khampa erano riusciti a mobilitare tutto il Tibet in una vera e propria ribellione nazionale. Perciò, per quanto le truppe di occupazione moltiplicavano i loro sforzi percorrendo senza sosta il paese da un capo all'altro, non riuscivano mai ad acchiappare alle guerriglie, perché queste contavano sul pieno sostegno della popolazione.

Quando finalmente il governo cinese capì quello che stava accadendo, prese la decisione di impiantare una nuova e radicale politica, volta ad ottenere la totale sottomissione e l'incorporazione della nazione tibetana. Consapevole del fatto che la principale forza di sostentamento di detta Nazione erano i suoi principi religiosi, i cinesi decisero che dovevano procedere alla completa distruzione della Chiesa lamaista, a tal fine dovevano prima di tutto eliminare chi la conduceva, cioè il Dalai Lama. Allo stesso modo, tracciarono un programma di azione a lungo termine, consistente in continuare a sterminare gli abitanti delle regioni che appoggiassero le guerriglie e sostituirli per coloni portati dell'interno della Cina.

Ignaro degli atroci piani che si stavano tracciando nella capitale cinese, Tsering Karpo aveva proseguito la sua azzardata esistenza consueta, dedita all'incessante persecuzione delle truppe nemiche. La sua audacia e generosità erano già leggendarie in tutto il paese, motivo per cui non gli sarebbe risultato difficile aumentare in un maggior numero le forze sotto il suo comando, ma lui preferiva continuare comandando una piccola ma efficace guerriglia, composta per combattenti dotati di una straordinaria resistenza, lealtà e capacità di lotta. A tutti quelli che sollecitavano incorporarsi alle sue file, Tsering li respingeva con regali, gentili frasi e indicazioni che meglio sarebbe sostenere la vasta rete di organizzazioni della resistenza che si stavano creando e che costituivano la base di sostentamento delle guerriglie

Come già accennato, avendo notizie di quello che accadeva in Lhasa i guerriglieri sotto il comando di Tsering si erano incamminati alla città sacra con oggetto di partecipare alla lotta che lì si liberava. Tuttavia, dal primo momento che contemplarono a distanza il chiuso assedio di truppe nemiche che circondava la città, compresero che penetrare in questa rappresenterebbe un compito di impossibile realizzazione.
L'ultimo degli osservatori inviati da Tsering per osservare da vicino le truppe nemiche che assediavano Lhasa era ritornato già. I suoi resoconti erano del tutto coincidenti con i precedenti nel senso che non esisteva modo alcuno di entrare nella città e che era meglio allontanarsi quanto prima dalle sue vicinanze, perché stavano per arrivare nuovi rinforzi di truppe nemiche. Infine, l'osservatore proporzionò a Tsering un'inaspettata notizia. Nella sua via di ritorno si era incrociato con un eremita che discendeva dal vicino sentiero che portava alla valle; contemplandolo da vicino la sua sorpresa era stato maiuscola: era nientemeno che il lama Tagdra Rimpoche, il rispettato ex reggente che secondo la voce popolare profetizzasse in anticipo i mali che affliggevano al paese.

Tsering ricordò che era stato proprio questo personaggio quello che firmasse il primo manifesto dichiarandolo un fuorilegge per i suoi assalti alle carovane. Nella festiva mente del capo khampa sorse immediatamente l'idea di cogliere l'occasione per fare un scherzo allo in altri tempi poderoso governante. Dopo ricercare e trovare tra la sua numerosa collezione il più antico dei manifesti pubblicati in suo contro, si incamminò verso una scorciatoia fino ad arrivare a un sito che avrebbe necessariamente attraversato l'eremita. Seduto su una pietra sull'orlo dell'abisso, l'aspettò fingendo che leggeva con profonda attenzione quanto disposto nel vecchio manifesto.

Abituati al pericolo e al costante agguato, le orecchie del guerrigliero sentirono i passi del lama Tagdra Rimpoche molto tempo prima che la figura di questo, ossuta ed elastica apparisse sullo stretto sentiero che scendeva dalla montagna. Ignorando il nuovo arrivato, Tsering continuò fingendo trovarsi assorto nella sua lettura. Il lama si fermò accanto a lui e senza nessuna discrezione avvicinò la testa fino a scarsa distanza del manifesto con la chiara intenzione di scoprire il suo contenuto. Ben presto si rese conto che Tsering manteneva a testa in giù il manifesto, evidenziando in tal modo che non sapeva leggere. Con beffardo accento il lama esclamò:

—Signore Karpo,  non legga mai gli scritti alla rovescia, perché quello può danneggiargli la vista!

Comprendendo che la sua ignoranza in materia letteraria era stata scoperta, Tsering lasciò vedere un certo imbarazzo, ma riprese subito la sua solita arroganza e buttando giù il cartello affermò con forte voce:

—Calunnie! Sempre calunnie! Quelli deboli che vivono nelle città sanno solo sparlare degli onesti pastori che lavoriamo per produrre il cibo che essi mangiano. Tutti sono dei "bocche dolci!"1

1 Classico insulto khampa rivolto agli abitanti delle città.  Vuol dire che questi parlano molto bello ma dicono solo bugie.

In seguito Tsering sembrò essere in preda di un improvviso attacco di rabbia. Dopo rimettersi in piedi tramite intempestivo salto, estrasse la sua sciabola e sentenziò adirato:

—Mi auguro che qualche giorno possa essere davanti a me quello che disse di me queste calunnie. L'affetterebbe la pelle come un vitello.

Unendo l'azione alla parola il guerrigliero cominciò a tagliare l'aria con la sua sciabola attraverso movimenti rapidi, esemplificando in tal modo quello che aveva proiettato di fare con l'epidermide dall'autore del manifesto.

Il lama Tagdra Rimpoche osservava divertito l'attuazione di Tsering. Conclusa questa, sentì arrivato il suo turno ed esclamò con finto tono di preoccupazione:

—No, no signore Karpo, non fare un errore così grave. Chi ha scritto queste calunnie è solo un vecchio tonto, indegno che qualcuno tanto saggio come lei gli dia morte e quindi accumuli karma che gli porterebbe a rimanere intrappolato nella prigione del Samsara. Meglio colga l'occasione per praticare la compassione che conduce al Nirvana e lasci che quel vecchio sciocco prosegua dicendo bugie in suo contro.

L'ironia contenuta nelle parole del lama finì per impedire Tsering di continuare facendo teatro. Sconfitto per la risata, il khampa esplose in fragorose risate, mentre l'eremita proseguiva tranquillamente per la sua strada. Con affrettate falcate il guerrigliero lo raggiunse e già in un altro tono —rispettoso e cordiale— espresse la curiosità che le produceva la presenza dell'ex-reggente.

—Cosa ci fa qui? Non vorrete entrare in Lhasa. I cinesi hanno circondato la città e se non lo fermano di sicuro lo uccideranno.

Il lama diresse un condiscendente sguardo al suo interlocutore e rispose laconico:

—Vado a pagare un debito.

Lo spirito di brigante che sussisteva ancora in Tsering fece che il suo sguardo percorresse inquisitivo le veste strappate dell'eremita con la chiara intenzione di scoprire il posto in cui questo portava il denaro con il quale pensava di coprire il suo addebito.

L'ingenuità del guerrigliero fece sorridere apertamente il lama al tempo che affermava:

—Si tratta di un debito che non è solo mio bensì di tutti i tibetani e non potrebbe essere pagato con tutte le monete d'oro che esistono nel mondo.

Visibilmente allarmato dalla quantità di tale debito, Tsering domandò:

—E a chi gli dobbiamo così tanto?

—Al Messico— rispose il lama.

—E dov'è quel gran signore?

—Non è signore, bensì un paese molto lontano.

—Sta dopo la Cina o dell'India?

—Si trova ancora più lontano. Per arrivarci bisogna attraversare un immenso lago.

—E perché abbiamo con quel paese un debito così grande?

—Molto tempo fa, quando la sacra dottrina del Dharma non era ancora conosciuta in Tibet, arrivò da quel lontano paese un uomo molto saggio e virtuoso, un vero Tulku, che preparò il terreno per la successiva diffusione dei preziosi insegnamenti.

—Come si chiamava?

—Neppure si è conservata la memoria del suo nome, ma sì della sua opera.

—Quello fu prima del re Latho Tho Ri?

—Sì, fu prima. In un'epoca in cui il Tibet era sommerso in un profondo letargo. Il saggio Tulku che arrivò dal Messico fu chi iniziò il compito di risvegliarlo; senza il suo lavoro non gli sarebbe stato possibile al saggio re Latho Tho Ri realizzare tempo dopo la sua elevata missione.2

Tra i lama più colti che integravano la teocrazia tibetana esisteva la credenza che prima della diffusione del Buddismo nel suo paese, iniziata per il re Latho Tho Ri, era arrivato proveniente dal Messico un saggio e misterioso personaggio i cui elevati insegnamenti propiziarono un importante slancio civilizzante al Tibet in un tempo in cui questo attraversava una generalizzata decadenza. 

Anche se risulta molto difficile determinare con precisione il tempo in cui succedè questo fatto e l'origine del personaggio in questione, l'analisi degli elementi che compongono detta credenza induce a considerare che si trattava di un sacerdote maya e che la sua permanenza in Tibet ebbe luogo nel secolo I dell'Era Cristiana.

Il lama e il guerrigliero avevano fermato suo camminare e dialogavano in una stretta virata del sentiero che serpeggiava sull'orlo dell'abisso. Sempre più interessato a quello che sentiva, Tsering proseguì formulando domande:

—E come intendete pagare il nostro debito con il Messico?

—Utilizzando la stessa moneta, non può essere altrimenti.

—Quale moneta? Non capisco.

—Quando il Tibet dormiva ricevé aiuto dal Messico per risvegliarsi. Ora il Messico dorme e ha bisogno di aiuto del Tibet per smettere di sognare.

—Avete intenzione di andare in Messico?

—Mi piacerebbe, ma non è questo il compito che mi è stato affidato.

—Allora?

—In Messico rinacque pochi anni fa una Dakini che cercherà di risvegliare il suo paese. I suoi genitori la portarono a Lhasa affinché le venisse data l'istruzione adeguata, ma quello è ora già impossibile. Tenterò di portarla con me e di insegnarle quel poco che so.

—Ma come farete per riuscire a entrare e uscire dalla città? Avete qualche piano?

—No, nessuno.

—L'ammazzeranno non appena lo acchiappino.

—Quello che deve essere, sarà.

—Guardate, quella dev'essere la nuova sfornata di "finocchi zampe rotte"3

3 Insultante qualificazione con cui i khampa designano ai soldati cinesi, derivato possibilmente della debolezza e goffaggine che manifestano, allorché si spostano sulle alte montagne, le truppe provenienti delle basse pianure.

Al tempo che pronunciava con dispregiativo tono l'ultima frase, Tsering puntò l'indice verso il lontano orizzonte dove cominciava a profilarsi la traccia di polvere che lasciava nel suo avanzare la colonna motorizzata dell'esercito cinese che si avvicinava alla città. Prendendo in considerazione la notevole estensione di detta traccia doveva trattarsi di un esercito altamente numeroso. E a giudicare dalla velocità del suo spostamento, sarebbe arrivato a Lhasa a tardo pomeriggio.

Sia Tsering come il lama rimasero un lungo momento in silenzio, contemplando con spirito abbattuto il lento addentrarsi delle truppe nemiche attraverso la valle. Entrambi capivano che l'arrivo di questi potenti rinforzi toglieva ogni possibilità di salvezza per la gente della città sacra. Improvvisamente, nella spessa coltre di nuvole che copriva il cielo si aprì un piccolo spiraglio e da esso entrò un raggio di sole, che illuminò una collina non molto grosse dimensioni situata alla periferia della città, a scarsa distanza del posto dove accampavano le forze che mantenevano assediata Lhasa.

Lo sguardo di Tsering si diresse alternativamente della collina bagnata dal Sole alla ancora lontana scia di polvere. Tutta l'eredità della stirpe guerriera che batteva nelle vene e l'esperienza di una vita dedicata alla lotta sembrarono unirsi in quell'istante per originare nel più profondo della sua mente un audace piano, prodotto non di un attento studio, ma di una improvvisa intuizione. Con occhi fiammeggianti, il khampa segnalò la splendente collina e affermò:

—Quella sarà la nostra chiave per entrare a Lhasa. Se davvero volete pagare il debito del Tibet, seguitemi.

Senza aggiungere parola alcuna, Tsering intraprese il viaggio di ritorno verso il luogo dove lo aspettavano i suoi compagni. Il lama sembrò dubitare per qualche istante, ma poi si avviò dietro l'agile figura del khampa.

Non appena arrivarono allo improvvisato accampamento, Tsering radunò i suoi uomini e con frasi semplici li informò di quello che era appena venuto a sapere dalle labbra del lama. In seguito, dimostrando il travolgente entusiasmo che lo caratterizzava, comunicò loro che cercherebbe di riscattare dell'assediata Lhasa alla Dakini che si trovava proprio lì, per in questo modo collaborare in qualche modo al pagamento del debito che il Tibet aveva contratto con il Messico molti secoli fa. Chi tra coloro che lo ascoltavano si offrivano come volontari per seguirlo in tale rischiosa impresa?

Come un sol uomo, trecento khampa fecero un passo avanti. Ovviamente soddisfatto per la reazione dei suoi guerrieri, Tsering spiegò che non riteneva opportuno che tutti prendessero parte nell'operazione, ma solo un centinaio di loro. In seguito procedé a sceglierli, utilizzando come criterio il selezionare quelli che portavano più tempo essendo parte della guerriglia.

Dopo aver ordinato a coloro che l'accompagnerebbero che l'aspettassero nascosti in una montagna situata a sud de la città, Tsering e il resto dei khampa cominciarono a scendere a valle. Il lama andava con loro, montando il docile destriero che i guerriglieri gli avevano proporzionato.

Una volta arrivati alla collina, i khampa rimasero nascosti dietro il promontorio selezionato da Tsering, osservando le vicine linee di truppe nemiche che assediavano alla capitale del Tibet. La scia di polvere che lasciava al suo passo la colonna motorizzata che stava per raggiungere la città si vedeva sempre più vicina. Una pattuglia, composta da mezzo centinaio di soldati cinesi in motociclette, aveva lasciato Lhasa per darle il benvenuto e ora avanzava al fronte delle forze d'invasione. Tsering giudicò arrivato il momento di entrare in scena.

Facendo galla di un incredibile sangue freddo, i khampa abbandonarono il loro nascondiglio e a trotto lento si incamminarono apertamente all'incontro dell'esercito che si avvicinava. Vari dei guerriglieri indossavano enormi bandiere cinesi che sventolavano incessantemente, mentre gli altri agitavano amichevolmente le braccia e proferivano i più affettuosi saluti.

Alla vista di questo inaspettato spettacolo, i volti dei soldati cinesi rifletterono il più totale stupore. Alcuni ufficiali pensarono che poteva trattarsi di un gruppo di tibetani collaborazionisti che accorrevano a manifestarli la sua servile adesione. Tuttavia, i membri della pattuglia di motociclisti stimarono altamente sospetta l'improvvisa comparsa di questi sconosciuti, e prendendo maggiore velocità alle sue macchine, partirono per incontrarsi con loro con lo scopo evidente di fermarli e scoprire le intenzioni che animavano loro.

Proporzionare qualsiasi tipo di spiegazioni non era precisamente quello che Tsering e i suoi uomini desideravano fare in quel momento. Girando le sue cavalcature, i khampa intrapresero galoppo verso Lhasa.

Le truppe cinesi che isolavano la città avvistavano già molto chiaramente la vicina colonna. Di fronte ad essa cavalcava un gruppo di fantini tibetani. I cinesi giudicarono che molto possibilmente si trattava di guide assunte da loro coetanei per assisterli durante il lungo viaggio che stavano per finire. Dietro i fantini, e anche quasi mescolati con questi, l'avanzata di motociclisti si muoveva con una certa difficoltà attraverso la sinuosa strada sterrata. I loro autisti proferivano esclamazioni che non riuscivano a sentirsi a causa del frastuono delle macchine.

I motociclisti avevano raggiunto i fantini e stavano per oltrepassarli. Con esaltate voci di furia ordinavano loro più e più volte che si soffermassero. Tsering osservò il gesto di un ufficiale che lottava per estrarre il suo revolver. La distanza che li separava dalle linee cinesi era già meno di un centinaio di metri. Gettando nel suolo la bandiera rossa che aveva con sé, il capo dei khampa sparò un colpo dritto alla testa dell'ufficiale nemico. Altri spari altrettanto accurati renderono conto dei motociclisti più vicini.

Superando il rumore assordante che producevano gli spari, il picchiettare dei zoccoli dei cavalli e il ruggito delle macchine, si ascoltò la voce assordante di Tsering, pronunciando con sfidante tono, una domanda nel preciso istante in cui di fronte ai suoi uomini si gettava contro le linee cinesi:

—Dove sono i Khampa?