26 luglio
Il padre e la madre, le due sorelle maggiori e i due fratelli minori, irruppero improvvisamente nella camera dei gemelli cantando "Las mañanitas" e dando loro di cuscinate. Jorge ed Eduardo si svegliarono nel bel mezzo di una valanga di congratulazioni con motivo del loro diciottesimo compleanno. Abbondavano anche i regali, sebbene questi erano modesti considerata la scarsità delle risorse familiari. Una delle sorelle si vantava di poetessa e aveva redatto alcuni versi umoristici satireggiando ai gemelli. Li lesse con teatrale accento e in mezzo alla generalizzata gioia di tutti i presenti.
Dopo aver ingerito la colazione con la loro abituata fretta, i due fratelli uscirono dal dipartimento affermando che stavano andando a scuola. Non era così. Le classi nella Vocacional Cinque erano sospese. Quel giorno, di pomeriggio, si realizzerebbe la manifestazione a cui avevano convocato i dirigenti della Federazione Nazionale di Studenti Tecnici, FENET, per protestare per la recente aggressione della polizia sugli studenti del Politecnico.
Correndo per il semplice gusto di farlo, Jorge ed Eduardo divorarono la considerabile distanza esistente tra il loro domicilio, ubicato nel quartiere Santa Maria la Ribera, e la Scuola Commerciale Amministrativa, edificata nel quartiere dei Dottori e titolare del ben meritato reputazione di essere una delle migliori strutture del paese per quanto riguarda la preparazione delle segretarie. Marta e Patricia, fidanzate dei Casillas, studiavano in detta scuola. Erano due ragazzine che senza essere gemelle lo sembravano; ben formata costituzione, viso ovale, inarcate sopracciglia e occhi grandi e tondi.
Non appena arrivarono le loro fidanzate i gemelli le proposero di non andare a lezioni ma di concedere loro, come regalo di compleanno, trascorrere insieme la mattina remando nel lago di Chapultepec. Le ragazze si opposero all'inizio ma non ci volle molto a lasciarsi convincere.
La sera prima aveva piovuto abbondantemente e il vecchio bosco spiccava nebbioso e malinconico. Le loro carreggiate erano rilucenti di umidità e degli alberi sgocciolava acqua come se continuasse ancora a piovere. In una barca a quattro remi le due coppie risero, cantarono e remarono, fino a rimanere esauste. Verso mezzogiorno i fratelli accompagnarono le loro fidanzate fino alle sue rispettive case e si diressero poi alla loro.
Pasto speciale con i piatti che più piacevano ai festeggiati. Tradizionale torta con candeline che devono essere spente con un soffio al tempo che si formulano mentalmente tre desideri. Al termine del pranzo, Jorge ed Eduardo informarono loro intenzione di partecipare alla manifestazione studentesca che avrebbe luogo quel pomeriggio, sua mamma tentò di convincerli che era meglio che fossero al cinema, ma essi replicarono che consideravano la loro presenza in detto atto come un dovere verso la loro scuola e i suoi compagni. Circa le quattro andarono via, portandosi entrambi i pezzi di torta per mangiarli per strada.
Dopo aver ingerito la colazione con la loro abituata fretta, i due fratelli uscirono dal dipartimento affermando che stavano andando a scuola. Non era così. Le classi nella Vocacional Cinque erano sospese. Quel giorno, di pomeriggio, si realizzerebbe la manifestazione a cui avevano convocato i dirigenti della Federazione Nazionale di Studenti Tecnici, FENET, per protestare per la recente aggressione della polizia sugli studenti del Politecnico.
Correndo per il semplice gusto di farlo, Jorge ed Eduardo divorarono la considerabile distanza esistente tra il loro domicilio, ubicato nel quartiere Santa Maria la Ribera, e la Scuola Commerciale Amministrativa, edificata nel quartiere dei Dottori e titolare del ben meritato reputazione di essere una delle migliori strutture del paese per quanto riguarda la preparazione delle segretarie. Marta e Patricia, fidanzate dei Casillas, studiavano in detta scuola. Erano due ragazzine che senza essere gemelle lo sembravano; ben formata costituzione, viso ovale, inarcate sopracciglia e occhi grandi e tondi.
Non appena arrivarono le loro fidanzate i gemelli le proposero di non andare a lezioni ma di concedere loro, come regalo di compleanno, trascorrere insieme la mattina remando nel lago di Chapultepec. Le ragazze si opposero all'inizio ma non ci volle molto a lasciarsi convincere.
La sera prima aveva piovuto abbondantemente e il vecchio bosco spiccava nebbioso e malinconico. Le loro carreggiate erano rilucenti di umidità e degli alberi sgocciolava acqua come se continuasse ancora a piovere. In una barca a quattro remi le due coppie risero, cantarono e remarono, fino a rimanere esauste. Verso mezzogiorno i fratelli accompagnarono le loro fidanzate fino alle sue rispettive case e si diressero poi alla loro.
Pasto speciale con i piatti che più piacevano ai festeggiati. Tradizionale torta con candeline che devono essere spente con un soffio al tempo che si formulano mentalmente tre desideri. Al termine del pranzo, Jorge ed Eduardo informarono loro intenzione di partecipare alla manifestazione studentesca che avrebbe luogo quel pomeriggio, sua mamma tentò di convincerli che era meglio che fossero al cinema, ma essi replicarono che consideravano la loro presenza in detto atto come un dovere verso la loro scuola e i suoi compagni. Circa le quattro andarono via, portandosi entrambi i pezzi di torta per mangiarli per strada.
Quando i Casillas arrivarono a Piazza della Cittadella c'era già in essa diversi contingenti, rappresentativi delle diverse scuole politecniche. Prendendo in considerazione che la popolazione del Politecnico ascendeva a 80.000 studenti, l'assistenza alla manifestazione convocata per la FENET non era molto elevata, perché in piazza non c'erano più di tre mila persone. L'unico contingente in realtà nutrito era quello della Vocacional Cinque, essendo anche il più fragoroso ed entusiasta.
Prima di cominciare la marcia parlò brevemente José R.Cebreros, presidente della FENET. Utilizzando come tribuna il parapetto di un albero, spiegò che il lic.Gustavo Diaz Ordaz, presidente della Repubblica, era un governante patriota, rivoluzionario ed amico degli studenti. La sua ben sottolineata politica stava essendo sabotata per alcuni funzionari della polizia di seconda classe, ed era come un'espressione di rifiuto a questi per cui si svolgeva quella manifestazione, che servirebbe anche per dimostrare l'unità di tutti gli studenti politecnici attorno ai suoi legittimi rappresentanti.
La colonna si mise in marcia, uscendo dalla piazza si diresse verso via Bucareli. Il transito di veicoli in un'ampia zona cominciò a congestionarsi. Arrivando al viale Avenida Juarez gli studenti si incrociarono con un'altra manifestazione, integrata per qualche centinaia di persone, le quali avanzavano verso il centro della città. Della seconda manifestazione si staccarono vari individui ed arrivando davanti gli studenti li arringarono con voci rauche a rompere le file ed unirsi alla loro colonna. Parlavano di rendere in primo luogo un omaggio alla Rivoluzione Cubana nel monumento a Juarez, per poi marciare allo Zocalo ad esprimere il loro scontento contro le massime autorità del paese. Conclusero la loro dissertazione intonando in coro una sola parola insistentemente ripetuta: "Zo-ca-lo, Zo-ca-lo."
I fratelli Casillas non avevano sentito mai il minimo interesse per questioni di ordine politico, fosse questo internazionale, nazionale o puramente studentesco. Né le lodi alla Rivoluzione Cubana, né gli insulti alle autorità del paese, produssero nel loro umore effetto alcuno; invece, per alcuna strana ragione che né loro stessi avrebbero saputo spiegarsi, l'incitamento di dirigersi allo Zocalo che proferivano a squarciagola gli sconosciuti svegliò nel più profondo del loro essere un irresistibile desiderio di andare quanto prima alla Plaza Mayor.
Abbandonando il loro posto nelle file della manifestazione studentesca, Jorge ed Eduardo si incorporarono a quella che procedeva per il viale Avenida Juarez. Non erano da soli, con loro si staccò della giovanile colonna un grande numero dei suoi membri. Praticamente l'intero contingente della Vocacional Cinque cambiò il suo percorso. Una volta ristrutturate nella sua composizione, entrambe le colonne riprenderono la marcia. Una proseguì verso il Casco de Santo Tomas e l'altra, considerevolmente ingrossata, si diresse al monumento a Juárez.
Il raduno commemorativo dell'inizio della Rivoluzione Cubana portava già un bel po' di essersi iniziato. Circa duemila persone partecipavano all'atto. L'inaspettato arrivo di un nuovo contingente causò stranezza e diffidenza tra gli organizzatori della cerimonia, tutti essi dirigenti di partiti e movimenti politici di sinistra, abituati da molto tempo fa a soffrire persecuzioni e vessazioni di ogni genere da parte delle autorità, e di conseguenza, possessori di un fine istinto per localizzare la presenza di poliziotti agguati tra le loro file.
Dando per terminato il raduno, gli organizzatori conclusero l'atto raccomandando a tutte le persone che avevano partecipato in esso la loro rapida dispersione. Ben orchestrate voci manifestarono subito un parere contrario. Strimpellando il loro apparentemente incontrollabile furore antigovernativo, vari individui proponevano andare fino allo Zocalo per esprimere su quel luogo un aperto ripudio alle autorità ed esigere una pronta compensazione a favore degli studenti feriti nella recente aggressione della polizia. Come lo facessero prima, i presunti oppositori dell'autorità finirono la loro esortazione ripetendo la stessa parola: "Zo-ca-lo, Zo-ca-lo, Zo-ca-lo"
Prima di cominciare la marcia parlò brevemente José R.Cebreros, presidente della FENET. Utilizzando come tribuna il parapetto di un albero, spiegò che il lic.Gustavo Diaz Ordaz, presidente della Repubblica, era un governante patriota, rivoluzionario ed amico degli studenti. La sua ben sottolineata politica stava essendo sabotata per alcuni funzionari della polizia di seconda classe, ed era come un'espressione di rifiuto a questi per cui si svolgeva quella manifestazione, che servirebbe anche per dimostrare l'unità di tutti gli studenti politecnici attorno ai suoi legittimi rappresentanti.
La colonna si mise in marcia, uscendo dalla piazza si diresse verso via Bucareli. Il transito di veicoli in un'ampia zona cominciò a congestionarsi. Arrivando al viale Avenida Juarez gli studenti si incrociarono con un'altra manifestazione, integrata per qualche centinaia di persone, le quali avanzavano verso il centro della città. Della seconda manifestazione si staccarono vari individui ed arrivando davanti gli studenti li arringarono con voci rauche a rompere le file ed unirsi alla loro colonna. Parlavano di rendere in primo luogo un omaggio alla Rivoluzione Cubana nel monumento a Juarez, per poi marciare allo Zocalo ad esprimere il loro scontento contro le massime autorità del paese. Conclusero la loro dissertazione intonando in coro una sola parola insistentemente ripetuta: "Zo-ca-lo, Zo-ca-lo."
I fratelli Casillas non avevano sentito mai il minimo interesse per questioni di ordine politico, fosse questo internazionale, nazionale o puramente studentesco. Né le lodi alla Rivoluzione Cubana, né gli insulti alle autorità del paese, produssero nel loro umore effetto alcuno; invece, per alcuna strana ragione che né loro stessi avrebbero saputo spiegarsi, l'incitamento di dirigersi allo Zocalo che proferivano a squarciagola gli sconosciuti svegliò nel più profondo del loro essere un irresistibile desiderio di andare quanto prima alla Plaza Mayor.
Abbandonando il loro posto nelle file della manifestazione studentesca, Jorge ed Eduardo si incorporarono a quella che procedeva per il viale Avenida Juarez. Non erano da soli, con loro si staccò della giovanile colonna un grande numero dei suoi membri. Praticamente l'intero contingente della Vocacional Cinque cambiò il suo percorso. Una volta ristrutturate nella sua composizione, entrambe le colonne riprenderono la marcia. Una proseguì verso il Casco de Santo Tomas e l'altra, considerevolmente ingrossata, si diresse al monumento a Juárez.
Il raduno commemorativo dell'inizio della Rivoluzione Cubana portava già un bel po' di essersi iniziato. Circa duemila persone partecipavano all'atto. L'inaspettato arrivo di un nuovo contingente causò stranezza e diffidenza tra gli organizzatori della cerimonia, tutti essi dirigenti di partiti e movimenti politici di sinistra, abituati da molto tempo fa a soffrire persecuzioni e vessazioni di ogni genere da parte delle autorità, e di conseguenza, possessori di un fine istinto per localizzare la presenza di poliziotti agguati tra le loro file.
Dando per terminato il raduno, gli organizzatori conclusero l'atto raccomandando a tutte le persone che avevano partecipato in esso la loro rapida dispersione. Ben orchestrate voci manifestarono subito un parere contrario. Strimpellando il loro apparentemente incontrollabile furore antigovernativo, vari individui proponevano andare fino allo Zocalo per esprimere su quel luogo un aperto ripudio alle autorità ed esigere una pronta compensazione a favore degli studenti feriti nella recente aggressione della polizia. Come lo facessero prima, i presunti oppositori dell'autorità finirono la loro esortazione ripetendo la stessa parola: "Zo-ca-lo, Zo-ca-lo, Zo-ca-lo"
Anche in questo caso, i Casillas sentirono che la semplice menzione del luogo in cui l'aquila divorasse il serpente produceva in loro un misterioso effetto, qualcosa di ancestrale ed atavico sembrava germogliare del più profondo del loro essere e spingerli a provare di arrivare immediatamente alla Plaza Mayor. Senza pensarci su i gemelli si misero davanti di coloro che desideravano marciare fino allo Zocalo. La maggioranza degli assistenti al raduno, diffidenti, si dispersero rapidamente. Gli studenti della Vocacional Cinque costituivano ora circa tre quarti del contingente della nuova manifestazione il cui numero supererebbe scarsamente al migliaio di persone. I soggetti che erano venuti sbraitando con maggiore forza il loro rancore contro il governo svanirono come per magia. Le ombre della notte cominciavano ad estendersi sulla città.
Appena i manifestanti iniziavano la loro marcia, quando ascoltarono il tintinnante frastuono che produce la rottura di molteplici vetri. Un secondo dopo scoppiò l'inferno.
Appena i manifestanti iniziavano la loro marcia, quando ascoltarono il tintinnante frastuono che produce la rottura di molteplici vetri. Un secondo dopo scoppiò l'inferno.
Sinceramente interessati in farsi le ossa davanti al titolare della dipendenza ufficiale per cui fornivano ora i suoi servizi, i Ciudadelos furono i primi porros in arrivare al viale Avenida Juarez il venerdì 26 luglio 1968. Davanti ai suoi seguaci, il Chupetas percorse dalle due del pomeriggio il viale, comprovando discretamente se erano state mese le pietre nei bidoni della spazzatura. Avendo ottenuto soddisfacenti risultati della sua ispezione, il Chupetas condusse la banda sotto il suo comando fino alla via de Lopez, posto dove dovevano aspettare il momento di entrare in azione.
Annoiato dalla lunga attesa e desideroso di controllare, almeno per quel pomeriggio, la sua insaziabile sete di bibite alcoliche, il capo dei Ciudadelos entrò in un stabilimento dove servivano chufas valencianas. Quando portava presi tre bicchieri della bianca bibita, alcuni membri della banda vennero a dirgli che era già impressionante lo spiegamento che si stava svolgendo intorno alla Alameda Central, sia delle forze della polizia come delle bande di porros.
Spinto dalla curiosità, il Chupetas uscì ad effettuare un nuovo percorso. Nelle diverse strade che sboccavano nel viale Avenida Juárez erano concentrate tutte le bande di porros esistenti nella città. Innumerevoli battaglioni di granaderos e di poliziotti comuni si trovavano altrettanto distribuiti nelle strade prossime al luogo dove si realizzerebbe il raduno. Considerando che l'azione degli porros si limiterebbe a rompere alcuni vetri, il Chupetas giunse alla conclusione che sarebbero stato sufficiente venti mani e non quelle di centinaia di individui che si erano resi disponibili per questo, ma risultava evidente che all'autore del progetto gli piaceva programmare le cose alla grande.
Erano le sei e mezza del pomeriggio quando i manifestanti arrivarono davanti al monumento a Juarez. Immediatamente diedero inizio al raduno. Elogiativi discorsi a favore della Rivoluzione Cubana e dei suoi dirigenti. Stava parlando il terzo oratore di turno quando arrivò un nuovo contingente di manifestanti. L'uomo del microfono finì il suo discorso e diede per concluso il raduno. Grida, dispersione dei più e raggruppamento dei meno. L'ora dei porros era arrivata. I Ciudadelos si spingevano avvicenda nel loro zelo di voler tirare fuori tutte in una volta le pietre depositate nei bidoni della spazzatura. Il Chupetas impose l'ordine proferendo ogni tipo di insulti. Personalmente estrasse la prima pietra e realizzando un desiderio che aveva da bambino, la scagliò con forza contro la grossa vetrata di un sportello bancario. Il vetro saltò frantumato producendo un forte boato. Rumori simili si ascoltavano lungo il viale Avenida Juárez.
Annoiato dalla lunga attesa e desideroso di controllare, almeno per quel pomeriggio, la sua insaziabile sete di bibite alcoliche, il capo dei Ciudadelos entrò in un stabilimento dove servivano chufas valencianas. Quando portava presi tre bicchieri della bianca bibita, alcuni membri della banda vennero a dirgli che era già impressionante lo spiegamento che si stava svolgendo intorno alla Alameda Central, sia delle forze della polizia come delle bande di porros.
Spinto dalla curiosità, il Chupetas uscì ad effettuare un nuovo percorso. Nelle diverse strade che sboccavano nel viale Avenida Juárez erano concentrate tutte le bande di porros esistenti nella città. Innumerevoli battaglioni di granaderos e di poliziotti comuni si trovavano altrettanto distribuiti nelle strade prossime al luogo dove si realizzerebbe il raduno. Considerando che l'azione degli porros si limiterebbe a rompere alcuni vetri, il Chupetas giunse alla conclusione che sarebbero stato sufficiente venti mani e non quelle di centinaia di individui che si erano resi disponibili per questo, ma risultava evidente che all'autore del progetto gli piaceva programmare le cose alla grande.
Erano le sei e mezza del pomeriggio quando i manifestanti arrivarono davanti al monumento a Juarez. Immediatamente diedero inizio al raduno. Elogiativi discorsi a favore della Rivoluzione Cubana e dei suoi dirigenti. Stava parlando il terzo oratore di turno quando arrivò un nuovo contingente di manifestanti. L'uomo del microfono finì il suo discorso e diede per concluso il raduno. Grida, dispersione dei più e raggruppamento dei meno. L'ora dei porros era arrivata. I Ciudadelos si spingevano avvicenda nel loro zelo di voler tirare fuori tutte in una volta le pietre depositate nei bidoni della spazzatura. Il Chupetas impose l'ordine proferendo ogni tipo di insulti. Personalmente estrasse la prima pietra e realizzando un desiderio che aveva da bambino, la scagliò con forza contro la grossa vetrata di un sportello bancario. Il vetro saltò frantumato producendo un forte boato. Rumori simili si ascoltavano lungo il viale Avenida Juárez.
Il gioioso divertimento di scagliare pietre contro i vetri di negozi e uffici non durò a lungo. Imponendosi su qualsiasi altro suono, si lasciò sentire l'esplosione di granate che piovevano dappertutto e generavano nuvole di gas lacrimogeni che si espandevano istantaneamente.
In un primo momento, il Chupetas suppose che i granaderos erano preda della confusione e che per ciò avevano iniziato il loro attacco prima che i porros lasciassero la zona delle operazioni. Ben presto comprese non solo che la premura nell'attacco era deliberata, ma l'aggressione ai manifestanti costituiva il secondo obiettivo dei poliziotti, essendo il primo le bande dei porros.
In un primo momento, il Chupetas suppose che i granaderos erano preda della confusione e che per ciò avevano iniziato il loro attacco prima che i porros lasciassero la zona delle operazioni. Ben presto comprese non solo che la premura nell'attacco era deliberata, ma l'aggressione ai manifestanti costituiva il secondo obiettivo dei poliziotti, essendo il primo le bande dei porros.
Le granate che cadevano sui Ciudadelos erano lanciate per il nutrito contingente di polizia che si trovava situato nell'incrocio del viale Avenida Juarez e San Juan de Letrán, luogo da cui Mendiolea Cerecero in persona dirigeva l'operativo al suo carico. Una sezione di granaderos, brandendo i suoi lunghi bastoni, avanzava in grande fretta per la Calle de Lopez con l'evidente consegna di attaccare da dietro gli scagnozzi del Chupetas. Questo ebbe allora una sorprendente reazione di virilità. Invece di cercare di sfuggire dai granaderos che si avvicinavano, avanzò al loro incontro facendo ondeggiare una grossa catena. Lo sfidante atteggiamento del suo capo contagiò i Ciudadelos. Brandendo le loro armi picchiatrici e filo-taglienti si lanciarono contro i granaderos, cominciando al punto un feroce incontro. La superiorità in numero ed in organizzazione auspicava in favore dei poliziotti una immediata vittoria. Non succedé così. Inaspettati e opportuni rinforzi arrivarono in aiuto dei teppisti. I membri delle multiple bande di porros sparse nel viale Avenida Juarez erano usciti correndo da essa cominciando la rissa. Non passò molto tempo prima di notare che si trovavano in una trappola per topi senza possibilità alcuna di evasione. Il cerchio poliziesco era completo. I contingenti di uomini di blu sorgevano da tutte le strade che per i quattro fianchi sboccavano nella Alameda Centrale. Nella sua pazzesca corsa numerosi porros arrivarono fino al posto dove aveva luogo l'incontro tra granaderos e Ciudadelos. Istintivamente presentirono che quella lotta comportava l'unica possibilità di rompere il cerchio e riuscire a scappare. Spinti dalla forza che deriva dalla disperazione si incorporarono alla lotta. Il risultato non si fece aspettare, i granaderos cominciarono a dar chiari segni di rischiare di essere sopraffatti dai loro rivali.
A solo un isolato di distanza, il maligno sguardo di Mendiolea Cerecero osservava attentamente la forma in cui si sviluppava l'incontro. Percependo la vicina sconfitta dei poliziotti bloccati nella lotta, ordinò che andassero nel loro aiuto la maggior parte delle forze che custodivano l'incrocio del viale Avenida Juarez e San Juan de Letran, manovra che sebbene garantiva una schiacciante superiorità dei granaderos sugli porros, lasciava invece debolmente protetta il logico percorso che dovrebbero seguire i manifestanti nel loro impegno per raggiungere lo Zocalo.
Come c'era da aspettarsi, il massiccio attacco di numerose sezioni di granaderos annientò in poco tempo la resistenza dei membri delle bande, i quali riceverono un'overdose di calci e bastonate. Quel povero Chupetas soffrì un trattamento speciale. La pioggia di colpi diretti in suo contro non cessò finché il suo indolenzito corpo esalò l'ultimo alito.
Una volta completato il primo obiettivo dell'operazione, le forze di polizia cercarono di raggiungere il secondo obiettivo della stessa: infliggere una esemplare punizione ai manifestanti.
A solo un isolato di distanza, il maligno sguardo di Mendiolea Cerecero osservava attentamente la forma in cui si sviluppava l'incontro. Percependo la vicina sconfitta dei poliziotti bloccati nella lotta, ordinò che andassero nel loro aiuto la maggior parte delle forze che custodivano l'incrocio del viale Avenida Juarez e San Juan de Letran, manovra che sebbene garantiva una schiacciante superiorità dei granaderos sugli porros, lasciava invece debolmente protetta il logico percorso che dovrebbero seguire i manifestanti nel loro impegno per raggiungere lo Zocalo.
Come c'era da aspettarsi, il massiccio attacco di numerose sezioni di granaderos annientò in poco tempo la resistenza dei membri delle bande, i quali riceverono un'overdose di calci e bastonate. Quel povero Chupetas soffrì un trattamento speciale. La pioggia di colpi diretti in suo contro non cessò finché il suo indolenzito corpo esalò l'ultimo alito.
Una volta completato il primo obiettivo dell'operazione, le forze di polizia cercarono di raggiungere il secondo obiettivo della stessa: infliggere una esemplare punizione ai manifestanti.
L'inconfondibile suono che producono i vetri rompendosi fu sostituito per il secco schioccare delle granate di gas. Sorpresi e sconcertati, i manifestanti fermarono la loro avanzata. Contingenti di polizia che sembravano essere sorti dal fondo della Terra formavano un chiuso circolo attorno alla Alameda Centrale. Erano sempre più vicini al tempo che lanciavano successive raffiche di bombe lacrimogene. Con gli occhi lacrimosi, avanzando e ritirandosi in un unico luogo, i membri della manifestazione somigliarono presto una sorta di mulinello umano, incapace di scegliere il posto verso il quale dirigersi. La coesione che univa la moltitudine stava per estinguersi per far posto a un sbandamento di esseri dominati dal panico.
In mezzo alla scarsa visione che gli permettevano degli occhi trasformati in ardenti carboni, i Casillas riuscirono a percepire l'esecuzione di una strana manovra delle sezioni di polizia che erano davanti a loro. Dopo di avanzare velocemente avvicinandosi ai manifestanti, i granaderos girarono a sinistra e si scagliarono contro alcuni individui che apparentemente cercavano di farsi largo alla forza nell'angolo di López e Avenida Juarez.
Rendendosi conto della apparente diminuzione della barriera che li bloccava il passaggio, i Casillas compresero che si apriva davanti a loro una possibilità di salvezza. Senza perdere un secondo si lanciarono in avanti in veloce corsa pronunciando più e più volte la parola "Zo-ca-lo." Semi-soffocati ed accecati, un migliaio di manifestanti avanzò dietro di loro tra nuvole di gas. Veloci attraversarono a fianco dei granaderos febbrilmente occupati in colpire i porros con sadica fruizione. Istanti dopo si scontravano con l'ultima linea di contenimento della polizia capitalina. Si generalizzò una forte ma breve rissa. La magra muraglia blu non ci mise molto ad essere superata. Giubilanti, i manifestanti crederono che avevano via libera fino allo Zocalo e si lanciarono per Avenida Madero con rinnovato impeto, sicuri di raggiungere il loro obiettivo.
Rannicchiato in una pattuglia, il vicecapo della Polizia contemplava impotente il passo del fiume umano che era riuscito a rompere il cerchio. Non appena concluse la rapida sfilata, Mendiolea Cerecero uscì dalla macchina ed osservò il ritorno dei granaderos che erano usciti trionfanti nella sua lotta con i porros. A grandi voci li ordinò che andassero immediatamente in persecuzione dei manifestanti. Proprio in quel momento si lasciò sentire il sempre travolgente suono derivante dello sparo di armi da fuoco.
In mezzo alla scarsa visione che gli permettevano degli occhi trasformati in ardenti carboni, i Casillas riuscirono a percepire l'esecuzione di una strana manovra delle sezioni di polizia che erano davanti a loro. Dopo di avanzare velocemente avvicinandosi ai manifestanti, i granaderos girarono a sinistra e si scagliarono contro alcuni individui che apparentemente cercavano di farsi largo alla forza nell'angolo di López e Avenida Juarez.
Rendendosi conto della apparente diminuzione della barriera che li bloccava il passaggio, i Casillas compresero che si apriva davanti a loro una possibilità di salvezza. Senza perdere un secondo si lanciarono in avanti in veloce corsa pronunciando più e più volte la parola "Zo-ca-lo." Semi-soffocati ed accecati, un migliaio di manifestanti avanzò dietro di loro tra nuvole di gas. Veloci attraversarono a fianco dei granaderos febbrilmente occupati in colpire i porros con sadica fruizione. Istanti dopo si scontravano con l'ultima linea di contenimento della polizia capitalina. Si generalizzò una forte ma breve rissa. La magra muraglia blu non ci mise molto ad essere superata. Giubilanti, i manifestanti crederono che avevano via libera fino allo Zocalo e si lanciarono per Avenida Madero con rinnovato impeto, sicuri di raggiungere il loro obiettivo.
Rannicchiato in una pattuglia, il vicecapo della Polizia contemplava impotente il passo del fiume umano che era riuscito a rompere il cerchio. Non appena concluse la rapida sfilata, Mendiolea Cerecero uscì dalla macchina ed osservò il ritorno dei granaderos che erano usciti trionfanti nella sua lotta con i porros. A grandi voci li ordinò che andassero immediatamente in persecuzione dei manifestanti. Proprio in quel momento si lasciò sentire il sempre travolgente suono derivante dello sparo di armi da fuoco.
I Casillas proseguivano alla testa della manifestazione. I due avevano ricevuto forti colpi scontrandosi con i poliziotti e i loro occhi, gole e vie respiratorie ardevano spaventosamente a causa dei gas; ma nonostante tutto, continuavano fermamente decisi ad arrivare allo Zocalo. Improvvisamente osservarono che a scarsa distanza, nell'incrocio di Palma e Madero, una trentina di soggetti di aspetto inquietante si frapponeva nella loro avanzata. I membri della nuova barriera portavano alcune pistole che i gemelli giudicarono di enormi dimensioni, perché miravano a dove essi si trovavano. Si ascoltò un'ordine. Jorge ed Eduardo cercarono all'unisono di proteggere con il suo corpo quello del suo fratello. La simultaneità dei loro movimenti aveva annullato il generoso tentativo di mutua protezione. Suonò una scarica. Diversi giovani che capeggiavano la manifestazione caddero per terra sanguinando copiosamente. Gli identici visi dei gemelli non denotavano sentimento alcuno di paura, solamente un'espressione di profonda sorpresa. Entrambi erano morti.
I manifestanti si fermarono bruscamente. La chiara consapevolezza di un mortale pericolo si diffuse in invisibili onde a tutti i presenti. Voltandosi cercarono di ritornare per la stessa strada per la quale erano arrivati. Non era possibile, provenienti dell'Avenida Juárez i granaderos avanzavano per Madero in stretta formazione. La Calle de Isabel la Catolica costituiva l'unica via di fuga per la intrappolata folla e questa non la sprecò. Disperdendosi in entrambe le direzioni attraverso detta strada, la maggior parte dei manifestanti raggiunsero a liberarsi delle mazze della polizia. Coloro che non c'e l'avevano fatta furono picchiati a sangue, soffrendo contusioni che arrivavano alla rottura di legamenti e frattura di ossa.
I membri dei due gruppi in fuga in cui si era trasformato la manifestazione ebbero molte diverse storie da raccontare. Quelli che intrapresero la fuga per Isabel la Católica nella sua direzione sud si disseminarono rapidamente tra le numerose strade, salvando così l'integrità corporale e mettendo punto finale alla sua attuazione negli eventi di quella sera. Invece coloro che fuggivano verso nord, mantennero più tempo la loro unità come gruppo, attirando così l'implacabile persecuzione delle forze di polizia.
German Reyes, studente della Preparatoria Uno, correva completamente esausto e affrettato in compagnia di circa trecento manifestanti. La distanza tra questi e i poliziotti diventava sempre più piccola. Gli occhi di German, colpiti dai gas, non riuscirono a percepire un piccolo dislivello nel marciapiede, inciampò e cadde a terra. Sentì arrivato la sua fine. Le nere e minacciante mazze dei granaderos erano sempre più prossime alla sua prostrata persona.
Il giovane Reyes apparteneva ad un settore di umile classe media. Suo padre, impiegato della Direzione Generale di Imposte Interni della Segreteria delle Finanze e del Credito Pubblico, guadagnava un stipendio che gli permetteva di proporzionare ai membri della sua dimora lo strettamente indispensabile per una vita dignitosa. Entrando nella preparatoria, German cominciò a scoprire l'esistenza del mondo della politica. In primo luogo partecipò come candidato alla vicepresidenza nelle elezioni della Associazione di Studenti della Preparatoria Uno. Il suo staff perse con un ampio margine davanti a quella che appoggiavano gli porros e, dietro questi, i funzionari del PRI e della Segreteria di Governo. Posteriormente cominciò a concorrere a conferenze promosse dal Partito Comunista e dei gruppi trotzkisti e democristiani. In esse venne a sapere di questioni che la stragrande maggioranza dei giovani della sua classe ignoravano o erano del tutto indifferenti: le terribili disuguaglianze economiche prevalenti nel paese, le condizioni di sfruttamento in cui si trovavano i gruppi emarginati, l'altissimo grado di corruzione ufficiale e il rigido controllo politico che manteneva il governo sulla nazione.
Arrivando la data in cui tradizionalmente si veniva realizzando una manifestazione di omaggio alla Rivoluzione Cubana, German non esitò a partecipare a detto evento. Neanche dubitò un istante quando, concludendo il raduno di fronte all'Hemiciclo a Juarez, la maggior parte degli partecipanti all'atto si dispersero e soltanto una minoranza cercò di raggiungere lo Zocalo. Stava con la minoranza.
Le forte mazzate dei granaderos non arrivarono a stabilire contatto con la goffa figura di German Reyes. Prima che questo accadesse, quattro mani amiche lo issarono in bilico permettendogli di continuare la sua interrotta corsa. I passi dei suoi persecutori stavano ora così vicini che il giovane poteva ascoltarli come se fossero i suoi passi. Senza smettere di correre osservò di traverso i suoi salvatori. Uno era tarchiato con i capelli lunghi, l'altro alto e magro. I due indossavano magliette con loghi del Politecnico. German era quasi al limite delle sue forze e sentiva che molto presto gli risulterebbe impossibile fare un passo in più. Improvvisamente si rese conto che si trovavano a scarsa distanza della Calle de San Ildefonso, in cui si trovava ubicata la sua scuola. La sola immagine mentale dell'edificio dove studiava gli aveva infuso un nuovo coraggio.
Il giovane Reyes apparteneva ad un settore di umile classe media. Suo padre, impiegato della Direzione Generale di Imposte Interni della Segreteria delle Finanze e del Credito Pubblico, guadagnava un stipendio che gli permetteva di proporzionare ai membri della sua dimora lo strettamente indispensabile per una vita dignitosa. Entrando nella preparatoria, German cominciò a scoprire l'esistenza del mondo della politica. In primo luogo partecipò come candidato alla vicepresidenza nelle elezioni della Associazione di Studenti della Preparatoria Uno. Il suo staff perse con un ampio margine davanti a quella che appoggiavano gli porros e, dietro questi, i funzionari del PRI e della Segreteria di Governo. Posteriormente cominciò a concorrere a conferenze promosse dal Partito Comunista e dei gruppi trotzkisti e democristiani. In esse venne a sapere di questioni che la stragrande maggioranza dei giovani della sua classe ignoravano o erano del tutto indifferenti: le terribili disuguaglianze economiche prevalenti nel paese, le condizioni di sfruttamento in cui si trovavano i gruppi emarginati, l'altissimo grado di corruzione ufficiale e il rigido controllo politico che manteneva il governo sulla nazione.
Arrivando la data in cui tradizionalmente si veniva realizzando una manifestazione di omaggio alla Rivoluzione Cubana, German non esitò a partecipare a detto evento. Neanche dubitò un istante quando, concludendo il raduno di fronte all'Hemiciclo a Juarez, la maggior parte degli partecipanti all'atto si dispersero e soltanto una minoranza cercò di raggiungere lo Zocalo. Stava con la minoranza.
Le forte mazzate dei granaderos non arrivarono a stabilire contatto con la goffa figura di German Reyes. Prima che questo accadesse, quattro mani amiche lo issarono in bilico permettendogli di continuare la sua interrotta corsa. I passi dei suoi persecutori stavano ora così vicini che il giovane poteva ascoltarli come se fossero i suoi passi. Senza smettere di correre osservò di traverso i suoi salvatori. Uno era tarchiato con i capelli lunghi, l'altro alto e magro. I due indossavano magliette con loghi del Politecnico. German era quasi al limite delle sue forze e sentiva che molto presto gli risulterebbe impossibile fare un passo in più. Improvvisamente si rese conto che si trovavano a scarsa distanza della Calle de San Ildefonso, in cui si trovava ubicata la sua scuola. La sola immagine mentale dell'edificio dove studiava gli aveva infuso un nuovo coraggio.
-Alla prepa, alla prepa - cominciò a gridare German con lo stesso tono del naufrago in una zattera che vede una costa.
Molti dei manifestanti captarono il messaggio e arrivando al successivo angolo girarono a destra. Chi proseguirono di fronte non passò molto tempo ad essere raggiunti dai granaderos. Le mazze si diedero il suo banchetto sbattendo muscoli ed ossa. La rabbia poliziesca fu terribile.
German ed una ventina di giovani perseguitati da una sezione di granaderos, riuscirono ad arrivare all'elaborata porta coloniale della Scuola Nazionale Preparatoria. Il suo arrivo stava per dar luogo ad una nuova catena di eventi.
A pochi isolati del Palazzo Nazionale della città del Messico si localizza l'antico quartiere universitario, posto durante innumerevoli generazioni dei più importanti centri educativi del paese. Cominciando nell'anno 1954 il trasloco di scuole e facoltà alla nuova Città Universitaria, edificata su manti di lava vulcanica nella zona sud della capitale della Repubblica, rimasero funzionando varie scuole preparatorie in alcune delle vecchie strutture. Tale è stato il caso delle Preparatoria Uno, Due e Tre, in cui frequentavano un elevato numero di studenti.
I recenti eventi successi nella Piazza della Cittadella non avevano danneggiato per nulla le quotidiane attività dell'Università Nazionale Autonoma del Messico. Ancora quando la scuola Isaac Ochoterena era incorporata all'UNAM, ciò costituiva un fatto di carattere legale ma non emotivo, dato che gli studenti di questa non vedevano a quelli dell'altra come veri compagni. Inoltre, le autorità governative venivano orchestrando da molto tempo fa un'abile politica, incline a promuovere la rivalità tra universitari e politecnici, utilizzando principalmente a tal fine le attività sportive. Perciò, l'aggressione della polizia sugli studenti delle Vocacionales Politecnicas non avevano prodotto, fino a quel venerdì sera, qualche reazione tra la popolazione universitaria.
Molti dei manifestanti captarono il messaggio e arrivando al successivo angolo girarono a destra. Chi proseguirono di fronte non passò molto tempo ad essere raggiunti dai granaderos. Le mazze si diedero il suo banchetto sbattendo muscoli ed ossa. La rabbia poliziesca fu terribile.
German ed una ventina di giovani perseguitati da una sezione di granaderos, riuscirono ad arrivare all'elaborata porta coloniale della Scuola Nazionale Preparatoria. Il suo arrivo stava per dar luogo ad una nuova catena di eventi.
A pochi isolati del Palazzo Nazionale della città del Messico si localizza l'antico quartiere universitario, posto durante innumerevoli generazioni dei più importanti centri educativi del paese. Cominciando nell'anno 1954 il trasloco di scuole e facoltà alla nuova Città Universitaria, edificata su manti di lava vulcanica nella zona sud della capitale della Repubblica, rimasero funzionando varie scuole preparatorie in alcune delle vecchie strutture. Tale è stato il caso delle Preparatoria Uno, Due e Tre, in cui frequentavano un elevato numero di studenti.
I recenti eventi successi nella Piazza della Cittadella non avevano danneggiato per nulla le quotidiane attività dell'Università Nazionale Autonoma del Messico. Ancora quando la scuola Isaac Ochoterena era incorporata all'UNAM, ciò costituiva un fatto di carattere legale ma non emotivo, dato che gli studenti di questa non vedevano a quelli dell'altra come veri compagni. Inoltre, le autorità governative venivano orchestrando da molto tempo fa un'abile politica, incline a promuovere la rivalità tra universitari e politecnici, utilizzando principalmente a tal fine le attività sportive. Perciò, l'aggressione della polizia sugli studenti delle Vocacionales Politecnicas non avevano prodotto, fino a quel venerdì sera, qualche reazione tra la popolazione universitaria.
L'improvviso arrivo di un contingente di granaderos alle centenarie porte della Scuola Nazionale Preparatoria fu motivo di una generalizzata sorpresa. I poliziotti inseguivano un piccolo gruppo di giovani. Avendo raggiunto molti di questi giusto all'ingresso della struttura, cominciarono a dare delle mazzate senza pietà. I granaderos non avevano un criterio selettivo molto rigoroso, e pertanto, non si presero il disturbo di tentare di distinguere quali erano i giovani che venivano perseguitando e quali quelli che uscivano tranquillamente dalle loro lezioni in quel momento. Senza effettuare discriminazione alcuna cominciarono a batterli tutti allo stesso modo.
La condotta dei granaderos risultò essere sia imprudente come quella di chi la prende a colpi contro un favo di vespe. Superata in pochi secondi la loro iniziale sorpresa, i preparatorianos reagirono con sfrenata furia. Di tutte le parti sgorgavano iracondi giovani che molto presto formarono un impetuoso torrente. Davanti al loro irresistibile contraccolpo, i granaderos tentarono un'ordinata ritirata, ma questa divenne ben presto in precipitosa fuga. Alla fine di riuscire a fuggire con maggiore fretta, molti poliziotti gettarono lontano da sé scudi e randelli. I preparatorianos li perseguitarono un buon tratto, scagliandoli ogni tipo di oggetti.
I granaderos in fuga non fermarono la loro corsa fino a riunirsi con i suoi compagni. Questi avevano bastonato già, fino a stancarsi, a quanto sfortunato manifestante cadesse nelle loro mani. Conoscendo l'affronto inferito ai loro colleghi, si prepararono prontamente a vendicarla. Mendiolea Cerecero li contenne. Il vicecapo della Polizia sapeva molto bene che non sarebbe stato un incontro facile e volle effettuarlo applicando tutte le norme prescritte nei manuali anti-sommosse. Aspettò in primo luogo che fossero integrate le sezioni di polizia che erano state disperse. Poi distribuì i suoi uomini in diverse colonne e diede loro istruzioni affinché effettuassero una manovra avvolgente che permettesse loro di accerchiare gli studenti. Finalmente dispose che prima di procedere all'attacco corpo a corpo doveva saturarsi di gas una vasta area. Prese queste previsioni diede l'ordine di avanzare.
In conformità alle istruzioni ricevute le forze di polizia si mobilitarono con prontezza. La manovra avvolgente poté essere realizzata senza maggiori difficoltà. Un ampio settore intorno agli edifici che ospitavano le scuole preparatorie fu circondato. Varie migliaia di studenti rimasero bloccati in un perimetro relativamente stretto. Lo sgradevole sibilo e conseguente esplosione finale che caratterizzano l'impiego di granate lacrimogene, non cessavano di ascoltarsi trasformando l'aria in un tossico irrespirabile. Godendo in anticipo l'emozione di poter battere impunemente loro avversari, i granaderos investirono per entrambi lati della Calle de San Ildefonso, fermamente determinati a polverizzare qualsiasi studente che si incrociasi sulla loro strada. Non trovarono nessuno.
I centri educativi di istruzione superiore fondati in Messico nel periodo Coloniale, costituirono per il paese inestimabili strumenti nell'osservanza del compito più importante a realizzare in quei tempi: riuscire ad innestare nel suo essere l'unica cosa che aveva di valore, la estranea cultura con cui era entrato in contatto. Molti di questi centri arrivarono a possedere belli e magnifici edifici, essendo uno dei migliori esemplari al riguardo la Scuola di San Ildefonso, eretto nella via dello stesso nome, della città capitale. Detto edificio fu concepito con un vero senso di grandezza. I suoi ampi cortili interni ed enormi soggiorni, le sue ampie arcate ed elevati muri, possiedono una genuina signorilità ed un'innegabile maestosità. La notte del 26 Luglio 1968, l'edificio dell'antica Scuola di San Ildefonso, trasformato nel tempo in sede delle Preparatorias Uno e Tre, sarebbe diventato un'inespugnabile fortezza.
Rendendosi conto che il cerchio teso per le forze di polizia si stava stringendo rapidamente, i preparatorianos non commisero l'imprudenza di rimanere aspettando per le strade l'arrivo dei granaderos. Senza necessità di possedere conoscenze in materia militare risultò loro evidente di quale era, tra gli edifici alla sua portata, il più adeguato per far fronte l'imminente assedio che stava per succedere. Mentre l'edificio della Preparatoria Due -ubicato nell'angolo delle vie di Licenciado Verdad e Guatemala- era comparativamente vulnerabile, gli alti muri di tezontle rosso e cava di San Ildefonso conferivano la più solida garanzia di sicurezza. Inoltre, la comunicazione interna esistente tra questo edificio e quello che ospitava gli uffici amministrativi dell'Università, con ingresso sulla via di Justo Sierra, proporzionava l'addizionale vantaggio di poter avere una via di fuga per una strada diversa a quella del ingresso. Così, senza necessità di fermarsi a deliberare sulla questione, isegnanti e studenti delle tre preparatorias entrarono rapidamente nella coloniale costruzione e chiusero le sue potenti porte. Fuori rimasero le forze di polizia come padrone assoluti della strada, ma questo dominio non sarebbe durato a lungo.
Rifugiandosi nell'edificio di San Ildefonso gli universitari non avevano l'intenzione di rimanere passivamente sotto il suo riparo. Come laboriose formiche impegnate nella salvezza del formicaio, si diedero al compito di localizzare tutto quello che potesse servirli alla loro difesa. Flaconi con acido ed altre sostanze infiammabili immagazzinate nei laboratori, così come la più varia collezione di oggetti da lanciare, da bottiglie di bibita fino a sedie e lavagne, furono caricati sul tetto della preparatoria ai fini di essere utilizzati in una rapida controffensiva.
Carenti degli elementi necessari per prendere d'assalto l'ermetico edificio, i granatieri rimanevano per strada senza che il suo comandante in capo, l'onnipresente Mendiolea, riuscisse a escogitare alcuna misura che permettesse loro di riprendere l'iniziativa. L'impiego di gas lacrimogeni aveva dato già tutti i suoi frutti ma non erano molti. Gli alti muri di San Ildefonso, così come i suoi vasti spazi interni, avevano protetto gli universitari dall'azione dei gas. Invece, questi avevano pregiudicato considerevolmente vicini e passanti. Spaventate, tossendo e piangenti, le persone che abitavano in case prossime alle preparatorias erano costrette ad uscire precipitosamente dalle loro case. Numerosi autobus di trasporto urbano avevano un aspetto solitario ed abbandonato. Autisti e passeggeri erano fuggiti quando la combinazione di gas lacrimogeni e congestionamiento di transito aveva trasformato i veicoli in insopportabili trappole di tortura per i suoi occupanti.
Rendendosi conto che il cerchio teso per le forze di polizia si stava stringendo rapidamente, i preparatorianos non commisero l'imprudenza di rimanere aspettando per le strade l'arrivo dei granaderos. Senza necessità di possedere conoscenze in materia militare risultò loro evidente di quale era, tra gli edifici alla sua portata, il più adeguato per far fronte l'imminente assedio che stava per succedere. Mentre l'edificio della Preparatoria Due -ubicato nell'angolo delle vie di Licenciado Verdad e Guatemala- era comparativamente vulnerabile, gli alti muri di tezontle rosso e cava di San Ildefonso conferivano la più solida garanzia di sicurezza. Inoltre, la comunicazione interna esistente tra questo edificio e quello che ospitava gli uffici amministrativi dell'Università, con ingresso sulla via di Justo Sierra, proporzionava l'addizionale vantaggio di poter avere una via di fuga per una strada diversa a quella del ingresso. Così, senza necessità di fermarsi a deliberare sulla questione, isegnanti e studenti delle tre preparatorias entrarono rapidamente nella coloniale costruzione e chiusero le sue potenti porte. Fuori rimasero le forze di polizia come padrone assoluti della strada, ma questo dominio non sarebbe durato a lungo.
Rifugiandosi nell'edificio di San Ildefonso gli universitari non avevano l'intenzione di rimanere passivamente sotto il suo riparo. Come laboriose formiche impegnate nella salvezza del formicaio, si diedero al compito di localizzare tutto quello che potesse servirli alla loro difesa. Flaconi con acido ed altre sostanze infiammabili immagazzinate nei laboratori, così come la più varia collezione di oggetti da lanciare, da bottiglie di bibita fino a sedie e lavagne, furono caricati sul tetto della preparatoria ai fini di essere utilizzati in una rapida controffensiva.
Carenti degli elementi necessari per prendere d'assalto l'ermetico edificio, i granatieri rimanevano per strada senza che il suo comandante in capo, l'onnipresente Mendiolea, riuscisse a escogitare alcuna misura che permettesse loro di riprendere l'iniziativa. L'impiego di gas lacrimogeni aveva dato già tutti i suoi frutti ma non erano molti. Gli alti muri di San Ildefonso, così come i suoi vasti spazi interni, avevano protetto gli universitari dall'azione dei gas. Invece, questi avevano pregiudicato considerevolmente vicini e passanti. Spaventate, tossendo e piangenti, le persone che abitavano in case prossime alle preparatorias erano costrette ad uscire precipitosamente dalle loro case. Numerosi autobus di trasporto urbano avevano un aspetto solitario ed abbandonato. Autisti e passeggeri erano fuggiti quando la combinazione di gas lacrimogeni e congestionamiento di transito aveva trasformato i veicoli in insopportabili trappole di tortura per i suoi occupanti.
Gli studenti iniziarono la loro controffensiva. Proveniente dal tetto della Scuola Nazionale Preparatoria cominciò a cadere sui poliziotti una vera valanga di sostanze ed oggetti una più dannosa che l'altra. Incendi ed esplosioni si succedevano senza interruzione nella via di San Ildefonso. Spaventati, i poliziotti furono costretti a ripiegarsi, molti di loro seriamente feriti.
Le porte dell'edificio di uffici amministrativi della via Justo Sierra si aprirono e per esse uscirono centinaia di giovani. Non cercavano scappare ma di allargare il perimetro della zona sotto il loro controllo. Impadronendosi dei autobus abbandonati formarono con questi barricate che bloccavano l'accesso alle strade dove si trovavano le scuole. Estraendo la benzina dei trasporti spruzzarono con essa la carrozzeria e l'interno dei veicoli. Appena finivano di farlo quando si verificò una nuova carica dei granaderos. Questi si erano raggruppati dopo la loro affrettata ritirata e ritornavano con l'intenzione di recuperare lo spazio perso. Non c'e l'avrebbero fatta. Gli studenti incendiarono gli autobus alzando un'insormontabile muraglia di fuoco. Come se non bastasse, incrementarono l'invio di proiettili, lanciandoli ora non solo dalla terrazza della Preparatoria Uno, ma anche dall'alto della Preparatoria Due, nella quale si erano reintrodotti, e perfino del tetto e finestre dell'antico edificio di Giurisprudenza (convertito in sede di archivi ed uffici amministrativi dell'Università) ubicato all'angolo di Argentina e San Ildefonso. I poliziotti si difendevano con raffiche di granate di gas, ma ben presto divenne chiaro che in quel pesante scontro aereo stavano portando la peggiore parte. L'incessante incremento di uniformati fuori combattimento così lo indicava.
Comprendendo che se continuava in prolungare il confronto questo finirebbe fatalmente nella sconfitta degli uomini sotto il suo comando, il vicecapo della Polizia optò per un ripiegamento che li allontanasse dalla portata dei proiettili universitari. Conoscitore dell'ossessione che dominava il presidente della Repubblica, nel senso di impedire che si realizzasse nello Zocalo una concentrazione che non fosse promossa dal governo, distribuì i contingenti di granaderos in modo tale che costituissero una barriera che isolasse il vecchio quartiere universitario dalla Plaza Mayor. Con questo sperava di evitare che finisse in catastrofe il già evidente fallimento che avevano sofferto in quella giornata le forze di polizia. Agenti della Federale di Sicurezza, armi spianate, rinforzarono poco dopo la barriera di contenimento organizzata da Mendiolea.
Le porte dell'edificio di uffici amministrativi della via Justo Sierra si aprirono e per esse uscirono centinaia di giovani. Non cercavano scappare ma di allargare il perimetro della zona sotto il loro controllo. Impadronendosi dei autobus abbandonati formarono con questi barricate che bloccavano l'accesso alle strade dove si trovavano le scuole. Estraendo la benzina dei trasporti spruzzarono con essa la carrozzeria e l'interno dei veicoli. Appena finivano di farlo quando si verificò una nuova carica dei granaderos. Questi si erano raggruppati dopo la loro affrettata ritirata e ritornavano con l'intenzione di recuperare lo spazio perso. Non c'e l'avrebbero fatta. Gli studenti incendiarono gli autobus alzando un'insormontabile muraglia di fuoco. Come se non bastasse, incrementarono l'invio di proiettili, lanciandoli ora non solo dalla terrazza della Preparatoria Uno, ma anche dall'alto della Preparatoria Due, nella quale si erano reintrodotti, e perfino del tetto e finestre dell'antico edificio di Giurisprudenza (convertito in sede di archivi ed uffici amministrativi dell'Università) ubicato all'angolo di Argentina e San Ildefonso. I poliziotti si difendevano con raffiche di granate di gas, ma ben presto divenne chiaro che in quel pesante scontro aereo stavano portando la peggiore parte. L'incessante incremento di uniformati fuori combattimento così lo indicava.
Comprendendo che se continuava in prolungare il confronto questo finirebbe fatalmente nella sconfitta degli uomini sotto il suo comando, il vicecapo della Polizia optò per un ripiegamento che li allontanasse dalla portata dei proiettili universitari. Conoscitore dell'ossessione che dominava il presidente della Repubblica, nel senso di impedire che si realizzasse nello Zocalo una concentrazione che non fosse promossa dal governo, distribuì i contingenti di granaderos in modo tale che costituissero una barriera che isolasse il vecchio quartiere universitario dalla Plaza Mayor. Con questo sperava di evitare che finisse in catastrofe il già evidente fallimento che avevano sofferto in quella giornata le forze di polizia. Agenti della Federale di Sicurezza, armi spianate, rinforzarono poco dopo la barriera di contenimento organizzata da Mendiolea.
In realtà gli studenti non avevano intenzione alcuna di indirizzarsi allo Zocalo, erano piuttosto soddisfatti di essere riusciti a respingere con tale buon successo l'aggressione della polizia. Prevedendo che questa potesse ripetersi, lavoravano attivamente rinforzando i suoi mezzi di difesa. Fu posizionata una nuova barriera di autobus cosparsi di benzina e i tetti degli edifici scolastici erano traboccanti di oggetti da lanciare.
Per tutta la notte i vecchi recinti che accoglievano le preparatorie sembrarono vibrare e fremere, ascoltando l'incessante ripetizione della tradizionale ovazione universitaria:
Per tutta la notte i vecchi recinti che accoglievano le preparatorie sembrarono vibrare e fremere, ascoltando l'incessante ripetizione della tradizionale ovazione universitaria:
Goya, Goya,Cachún Cachún Ra Ra
Cachún Cachún Ra ra
Goya, Università.
Furgoni della polizia raccolsero delle strade i tredici corpi delle persone decedute nei violenti avvenimenti. Tre erano porros che erano morti a colpi propinati per i granaderos nel confronto che avessero con questi nell'angolo di López ed Avenida Juarez. Dieci erano studenti dell'Istituto Politecnico Nazionale: tre della Vocacional Due sette della Vocacional Cinque, tutti loro uccisi da colpi di pistola nell'angolo di Palma e Madero per agenti della Federale di Sicurezza.
I morti furono portati al forno crematorio del Panteón Civil de Dolores. Una volta cremati i corpi, le ceneri si sparsero ai quattro venti. Cleofas Martínez Segura, il vecchio incaricato del funzionamento del forno, notò con stupore che due dei cadaveri possedevano identiche fazioni e in generale caratteristiche del tutto simili.
-Non volevo bruciarli separati -confesserebbe anni più tardi raccontando il fatto-, preferii stringerli affinché andassero via insieme. Presentii che in vita erano stati sempre uniti e che così dovevano stare facendo il loro ultimo viaggio.