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La battaglia del silenzio


Non solo il presidente desiderava conoscere i requisiti da rispettare per il prossimo rituale da eseguire. La mattina dopo la notte in cui Regina facesse risuonare gli strumenti sacri della Cattedrale, i Quattro Autentici Messicani le chiederono rispetto al modo in cui doveva realizzarsi la seconda e decisiva tappa del rituale che stavano praticando. Fino a quel momento la Regina del Messico aveva anticipato solo quale considerava che sarebbe la data più appropriata per cercare di concludere il rituale - il 13 settembre, anniversario di sacrificio dei Fanciulli Eroi - ma si era astenuto di fornire più dettagli sulla questione.

Sapendo che la risposta costituirebbe per i suoi ascoltatori una doccia di acqua ghiacciata, Regina procedé a informarli che nella data indicata doveva effettuarsi una manifestazione ad un stesso tempo simile e diversa a quella che aveva appena avuto luogo il giorno prima. Simile in quanto a che bisognerebbe realizzare esattamente lo stesso percorso ed essere integrata da un minimo di trecento novantaseimila persone. Diversa perché la manifestazione si doveva fare nel più completo silenzio. Questo requisito era fondamentale per la consumazione del rituale a grado tale che questo si vedrebbe totalmente frustrato con il semplice fatto che chiunque che prendesse parte alla manifestazione pronunciasse una sola parola nel corso della marcia. Unicamente "quando lo Zocalo si fosse riempito di silenzio", lei potrebbe pronunciare, per tre volte, il nome sacro del Messico, risvegliando in tal modo ai due esseri più antichi e potenti del paese: la coppia di vulcani che prenderebbe in carico il compito di riuscire che la nazione intera recuperasse la sua consapevolezza.

Regina finì di parlare e i Quattro Autentici Messicani sono rimasti muti, scambiandosi occhiate tra di loro che denotavano condividere stesso parere; finalmente don Uriel disse:

-Sarà impossibile. Il silenzio è un attributo di coloro che sanno dominarsi e sono padroni di se stessi. Né il più grande degli ottimisti può supporre che in questa epoca, in qualsiasi parte del mondo, sia possibile riunire circa mezzo milione di persone e fare che queste rimangano per ore senza pronunciare una parola. È completamente impossibile.

-Allora io devo essere più ottimista che il più grande degli ottimisti - disse Regina.

-Bisogna anche prendere in considerazione - intervenne don Gabriel - che il governo verrà a sapere forzosamente questo e cercherà a tutti i costi di rompere il silenzio. Gli basterebbe infiltrare sua gente tra i manifestanti e che questa pronunciasse una semplice parola. Con solo quello già saremmo rovinati.

-Se almeno tutti fossero indios - ritenne don Miguel -, sarebbe possibile avere qualche speranza; ma non con questo tipo di gente, sono dei chiacchieroni, non potrebbero tacere anche la loro vita dipendesse da questo.

-Sinceramente nemmeno io lo credo- indicò schiettamente don Rafael.

Regina fece finta che un totale scoraggiamento si impadroniva di lei. Con teatrale gesto scosse la sua lunga chioma, si portò le mani alla testa ed esclamò:

-Credo che avete assolutamente ragione. Non c'è motivo di tentare più nulla. È meglio che ciascuno ritorni a casa sua e che cerchiate di diventare ricchi. Che bello che almeno ho il mio lavoro di hostess. Arrivederci.

Voltandosi Regina tentò di allontanarsi. Quattro agitate voci la trattennero. Ognuna esprimeva, utilizzando diverse parole, identiche scuse, al tempo che ribadiva che coloro che parlavano avevano deciso di consacrare le loro esistenze al servizio della Regina del Messico.

Regina rise con grande piacere e poi espresse:

-Bene, se davvero cerchiamo di concludere il rituale, dovremo lavorare sodo. Da questo momento ogni minuto conta e può essere decisivo. Questa sera avremo un incontro con i dirigenti dei Centri di Messicanità. È necessario che coloro che sono venuti da provincia a prendere parte alla manifestazione di ieri ritornino immediatamente ai loro luoghi d'origine a continuare a diffondere il Movimento o, per meglio dire, a far sì che questo raggiunga una maggiore profondità, un grado superiore di consapevolezza. Voi anche dovrete partire domani stesso a percorrere di nuovo il paese proporzionando le direttrici ed orientazioni più appropriate. Tutti dovranno essere di ritorno prima del giorno 13.

Con i suoi grandi occhi azzurri lanciando una pioggia di scintillanti bagliori, la Regina del Messico concluse:

-Sono sempre più certa che raggiungeremo il nostro obiettivo. Il Messico risveglierà.
Il 1° settembre fu un buon giorno per il lic. Gustavo Díaz Ordaz. Come nella medesima data ogni anno, il presidente della Repubblica andò davanti al Congresso dell'Unione a rendere il suo annuale rapporto di attività. Secondo le disposizioni di legge, il proposito di detto rapporto è quello di proporzionare al Potere Legislativo le informazione necessarie affinché questo possa esercitare un efficace controllo sugli atti del Potere Esecutivo. Nella realtà era esattamente l'opposto.

Il rapporto presidenziale era una noiosa e routinaria cerimonia il cui unico obiettivo consisteva in evidenziare l'assoluta subordinazione al mandatario di turno, di tutto l'apparato politico, amministrativo ed economico del paese. Deputati, senatori, governatori, ministri della Corte Suprema e magistrati dei più diversi tribunali, alti funzionari dell'amministrazione pubblica, comandanti dell'esercito, capi sindacali e contadini, dirigenti aziendali del commercio e dell'industria, si recavano a detta cerimonia a compiere devotamente il compito di applaudire quanto dicesse il presidente. La presenza di alcuni deputati dei partiti politici di opposizione, non cambiava in alcun modo la vera natura di questo atto, costituiva soltanto un pittoresco dettaglio decorativo, con cui si pretendeva di dimostrare la "vera democrazia" raggiunta dal sistema di governo che dirige il paese.

Mettendo da parte anche la conformità puramente formale delle disposizioni legali - che presumibilmente obbligava a rendere conto al Congresso dei lavori realizzati in quell'anno - il lic. Díaz Ordaz dedicò la maggior parte della relazione a vituperare il Movimento, utilizzando per ciò le più veementi ingiurie e le più aperte minacce.

Sebbene gli insulti proferiti dal primo mandatario non facevano altro che sottolineare un fatto già noto - l'irascibile carattere del signor presidente - molte delle sue affermazioni lasciavano vedere, probabilmente senza volerlo, quali erano veramente le sue più profonde paure e nascosti aneliti, come l'alto grado di risentimento che lo dominava. Per esempio la sua affermazione: "L'ingiuria non mi offende, la calunnia non mi raggiunge, l'odio non è nato in me", evidenziò - dal esaltato tono di accesa furia con cui fu pronunciata - la vulcanica passione che lo divorava.

In un altro dei paragrafi della sua relazione, il lic. Díaz Ordaz rivelò la sua nascosta paura che il Movimento al quale andava incontro avesse una dimensione storica, possibilità che naturalmente negò in modo rigoroso: "In poche settimane o pochi mesi gli eventi prenderanno, con la prospettiva del tempo, la loro vera dimensione, e non passeranno come episodi eroici, ma come assurda lotta di oscure origini e inqualificabili propositi."

Allo stesso modo, il presidente rivelò attraverso le sue dichiarazioni qual era il suo più grande desiderio: ottenere il pieno appoggio delle Forze Armate, per così poter reprimere impunemente il Movimento. Con l'evidente intenzione di raggiungere tale sostegno, pagine intere della relazione traboccavano in lodi ai militari, così come di costanti allusioni ai precetti legali che conferiscono poteri di comando al presidente sull'esercito. Con molto buon senso selettivo, il primo mandatario si astenne di menzionare le limitazioni imposte a quei poteri per gli stessi precetti che citava.

Infine, il lic. Díaz Ordaz concluse la sua esposizione con una fulminante minaccia: "Non vorremmo trovarci nell'eventualità di prendere misure che non desideriamo, ma che prenderemo se è necessario; qualunque cosa sia il nostro dovere fare, lo faremo; fino a dove siamo obbligati ad arrivare, arriveremo."

Una lunga, calorosa ovazione sigillò la minaccia presidenziale. Alzati i principali dirigenti politici e imprenditoriali del paese applaudirono per diversi minuti al lic. Díaz Ordaz. Fra tutti quelli che rendevano omaggio al primo mandatario ci fu uno che prolungò più di chiunque altro il suo applauso. Si trattava del deputato González, padre di Ana Maria, la giovane preparatoriana dell'Escuela Isaac Ochoterena la cui colonna vertebrale rimanesse seriamente danneggiata succedendo il primo scontro tra studenti e granaderos il martedì 23 Luglio. In una delle tasche dell'elegante abito del signore deputato aveva un telegramma al cui testo aveva dato lettura mentre effettuava il percorso tra la sua mansione e la Camera di Deputati. Il telegramma era redatto in inglese e proveniva da un famoso ospedale nella città di Houston; nel messaggio veniva informato che le due operazioni realizzate a sua figlia non avevano dato il risultato atteso ed esprimevano il loro rammarico di dover comunicargli che non c'era già niente da fare: Ana Maria era condannata a rimanere paralizzata per tutta la vita.
In tutte le assemblee che si tenevano nelle scuole in sciopero cominciò ad essere sollevata da un crescente numero di studenti una stessa proposta: effettuare una nuova e gigantesca manifestazione, la quale doveva realizzarsi il giorno 13 settembre e svolgersi nel più completo silenzio.

Non era solo dal settore studentesco da dove veniva l'insistente proposta di effettuare una manifestazione silenziosa. Di giorno in giorno arrivavano davanti al Consiglio Nazionale di Sciopero - che continuava giornalmente a fare sessioni in Città Universitaria, nell'auditorium della Facoltà di Medicina - le più varie commissioni con identica proposta. Facendo eco del clamore popolare, il Consiglio Nazionale di Sciopero decise di realizzare la richiesta manifestazione nel modo e termini che tutto il mondo stava chiedendo.

La notizia si diffuse subito per tutto il paese generando immediatamente un'attesa senza precedenti, superiore perfino a quella che svegliasse l'annuncio dell'anteriore manifestazione. Fino nei più appartati angoli della Repubblica si incrementarono i raduni, manifestazioni e ogni tipo di atti a sostegno del Movimento. Di alcune regioni cominciarono a mobilitarsi carovane di persone che pianificavano effettuare a piedi lunghi percorsi per raggiungere la capitale alla data indicata. In tutta la nazione non si parlava di altro che la Manifestazione del Silenzio.

La diffusione della singolare caratteristica che avrebbe la prossima marcia venne a conoscenza del governo. Ben presto risultò chiaro che le autorità utilizzerebbero tutte le risorse che fossero nelle loro mani con oggetto di rompere il silenzio che si cercava di raggiungere nel proiettato evento.

Venerdì pomeriggio 6 settembre, Regina si trovava partecipando ad una numerosa riunione convocata per il Centro di Messicanità ubicato in Città Nezahualcóyotl. Più e più volte la giovane insisté nel sottolineare che nella prossima marcia non si tentava di rimanere più o meno silenzioso, bensì di tenere un assoluto e totale silenzio; solo allora sarebbe possibile ottenere le elevate mete che si cercavano di raggiungere con questa marcia. Concludendo la sua esposizione, uno degli assistenti mostrò a Regina l'esemplare di un volantino che apparentemente stava essendo lanciato da aeroplani ed elicotteri in tutta la città. Sebbene i presunti autori del volantino erano i membri di una invisibile "Unione di Studenti Democratici", non c'era bisogno di possedere grandi capacità deduttive per concludere che il vero redattore di quel prospetto era stato il proprio governo. Il volantino in questione affermava con grandi caratteri quanto segue:
NON TACEREMO! 
Coloro che cercano di mettere a tacere la voce accusatoria degli studenti non raggiungeranno il loro scopo. Nella prossima grande manifestazione del giorno 13 settembre faremo sentire la nostra verità. Durante tutto il percorso insulteremo le autorità, mostrando così il disprezzo che queste ci meritano. Quel giorno le voci degli autentici studenti si ascolteranno più forte che mai.

Un altro dei partecipanti alla riunione commentò che un suo cugino, incarcerato per essere stato scoperto al momento di rubare un magazzino, era stato rilasciato e riceverebbe mille pesos per essere parte di un gruppo organizzato dalle autorità per insultare i manifestanti fino a riuscire che questi rispondano alle ingiurie, rompendo così il loro silenzio.

Si ascoltarono diversi pareri e tutti erano d'accordo in stimare che non ci si poteva aspettare che la totalità dei manifestanti - specialmente gli studenti - sopportassero in silenzio le provocazioni alle quali sarebbero oggetto.

La Regina del Messico ascoltò pazientemente le pessimistiche opinioni, dopo espresse con severo voce:

-Chi senta di non poter tenere la bocca chiusa nella prossima manifestazione che gliela copra con tessuto adesivo.

Spesso basta un singolo dettaglio per rivelare l'integrale realtà di un evento. Forse più chiaramente che con qualunque altro fatto, l'alto grado di consapevolezza raggiunto dal Movimento divenne chiaro con l'inaspettata reazione che produssero le parole dette da Regina nella riunione di Città Nezahualcóyotl. Cercare di spiegare il modo in cui queste parole raggiunsero una diffusione praticamente istantanea risulta impossibile. Il fatto è che due giorni dopo essere state pronunciate, tutti i tipi di tessuto adesivo scarseggiava già nelle farmacie e stabilimenti commerciali della capitale. Tre giorni dopo si era esaurito la riserva nel mercato di quel prodotto ed un numero ogni volta più elevato di gente cercava di ottenerlo nelle stesse fabbriche che lo elaboravano, le quali videro sparire in ore fino all'ultimo rotolo di tessuto adesivo che avevano. La questione non si fermò lì. Esaurito il tessuto adesivo arrivò il turno ai bendaggi. Tutto il mondo giudicava che potrebbe improvvisare con essi un efficace bavaglio.

Il mercoledì 11 settembre l'infermiera Leticia Rojas Jiménez - coordinatrice del Centro di Messicanità ubicato in Tlatelolco - parlò per telefono con Regina alle sei del mattino per chiederle di andare all'Ospedale 20 Novembre. I malati che sarebbero stati operati in quel nosocomio si negavano a che venissero effettuati gli interventi chirurgici. Il motivo che fornivano era che se queste si realizzavano si impiegherebbero i bendaggi che avrebbero bisogno i manifestanti per non rompere il loro silenzio.

Regina arrivò prontamente. La sua voce denotava profonda emozione quando ringraziò i malati per il loro generoso gesto di solidarietà con il Movimento, ma chiese loro di non mettere in pericolo le loro vite, invece di ciò contava sul fatto che il giorno della manifestazione sarebbero moralmente presenti in questa, mantenendo un profondo silenzio a partire dalle cinque del pomeriggio. Tutti promisero farlo, non solo i malati, anche i medici, tirocinanti, infermiere, ragazzi e il personale delle pulizie. Tra applausi e acclamazioni al Messico, la giovane uscì sorridendo dell'ospedale.

Quello stesso giorno, in tempi diversi, furono ritornando alla capitale don Gabriel, don Rafael e don Miguel - don Uriel era rimasto ad accompagnare Regina e facendo insieme a lei brevi percorsi per numerose popolazioni vicine al Distretto Federale -. I tre sono arrivati dopo spossanti e fruttiferi giri per diversi stati della Repubblica. Il grado di profondità di consapevolezza raggiunto all'interno del paese per il Movimento, affermarono, era magnifico. Le migliaia di persone provenienti delle quattro rotte stavano arrivando alla città del Messico, avevano una chiara comprensione dell'importanza dell'atto nel quale parteciperebbero.

Instancabile, Regina dedicò il giorno prima della manifestazione ad un ultimo giro di ispezione che iniziò alle sei del mattino e finì a mezzanotte. Senza fermarsi a mangiare né a riposare, visitò ognuno dei Centri di Messicanità stabiliti nell'area metropolitana, così come diverse scuole universitarie e politecniche. Ovunque trovò lo stesso entusiasmo ed una febbrile attività di quanti lavoravano, delle più svariate maniere, nei preparativi per l'atteso evento. Potevano confezionare grandi pile di bavagli come dipingere innumerevoli coperte e cartelli. La consegna, insistentemente ripetuta dalla Regina del Messico in tutti i luoghi che visitava, fu sempre una e la stessa: silenzio, un totale ed assoluto silenzio, quella sarebbe la poderosa arma che dovrebbe dar loro il trionfo nella giornata nella quale il Messico si giocava il suo destino.
Mentre Regina percorreva la città ripetendo senza sosta la parola silenzio, il presidente della Repubblica aveva un incontro con il segretario di Governo, il capo del Dipartimento del D.F. ed i procuratori della Federazione e del Distretto. Il motivo di quel incontro era verificare se stavano prendendo le misure adeguate per trasformare la pretesa manifestazione silenziosa nella più stridente di tutte le marce.

Il lic. Luis Echeverría Álvarez rese una lunga relazione che dimostrava quanto duramente stava lavorando. Era diversi giorni che la città era inondata di volantini incitando gli studenti a non rispettare la consegna di restare in silenzio. Tutti i membri dei gruppi studenteschi controllati attraverso la Segreteria di Governo - non solo quelli della capitale, ma anche quelli degli stati - parteciperebbero alla manifestazione che si verificherebbe il giorno dopo. Era stato garantito loro che i suoi emolumenti e prerogative migliorerebbero sostanzialmente con il solo fatto che durante il percorso di detta manifestazione proferissero qualsiasi tipo di parole, così fossero insulti alle autorità. Squadre di registrazione adeguatamente situate registrerebbero quante voci umane si ascoltassero, per avere così una prova evidente - che sarebbe immediatamente rilasciata attraverso i mezzi di comunicazione - del totale fallimento di coloro che avevano cercato di marciare in silenzio.

Il generale e lic. Alfonso Corona del Rosal aveva anche svolto multipli lavori i cui meriti non erano in nessun modo inferiori a quelli del suo competitore nella lotta per la poltrona presidenziale. La delinquenza del Distretto Federale era stata organizzata e messa al servizio del governo. Diverse centinaia di ex carcerati - liberati precisamente per svolgere il compito che le autorità li designassero - si mischierebbero tra il pubblico che assisterebbe a contemplare la marcia dei manifestanti. Fingendo di essere cittadini sfavorevoli al Movimento, coprirebbero di ingiurie i contingenti che sfilavano - specialmente quelli di studenti, per considerare che questi risponderebbero più facilmente agli insulti che erano fatti loro - e di essere necessario li aggredirebbero. In poche parole - concluse - si farebbe quanto fosse necessario per "riuscire a rompere l'ipocrita silenzio dei piantagrane."

Il lic. Julio Sánchez Vargas e Gilberto Suárez Torres spiegarono che il personale delle loro rispettive Procure stava collaborando, molto attivamente, nei lavori che dirigevano i due alti funzionari che li avevano preceduti nell'uso della parola. Oltre a ciò, i corpi degli agenti giudiziali di entrambe le dipendenze avevano effettuato, con grande successo, diversi atti di tipo terroristico contro i rivoltosi. L'ingegnere Heberto Castillo - membro importante del comitato di coordinamento della Coalizione di Maestri di Scuola Media e Superiori Pro-libertà Democratiche- aveva ricevuto un sovrano pestaggio. Lo stesso trattamento era stato fornito ad un grande numero di insegnanti, studenti e dirigenti popolari di conosciuta militanza a favore del Movimento. Varie delle strutture educative in sciopero erano state mitragliate di sera, propiziando in tal modo una crescente paura per il destino dei suoi figli tra i genitori degli alunni coinvolti nel Movimento.

Finalmente i procuratori proporzionarono una notizia che consideravano in estremo riconfortante (quello del Distretto la fece conoscere e quello della Federazione la confermò) perché lasciava vedere che il governo disponeva di un sconosciuto gruppo di fedeli sostenitori. Non tutti i mitragliamenti di scuole ed uccisioni di studenti erano stati perpetrati da agenti giudiziari, alcuni di questi incidenti erano risultato dell'azione di un gruppo che agiva dalle ombre in chiaro appoggio dalle autorità. L'analisi dei bossoli dei proiettili utilizzati per gli sconosciuti permetteva di affermare che si trattava dello stesso gruppo e non di diversi.

Sinceramente commosso, il presidente ritenne che si doveva fare un sforzo per verificare l'identità di tali esemplari cittadini, in modo che il governo li rendesse palese in qualche modo il suo riconoscimento.
Concluso il giro di ispezione, Regina ritornò al suo domicilio. Tra i multipli messaggi telefonici che l'aspettavano vari di essi erano per informarle che nel luogo dove darebbe inizio la manifestazione - la spianata situata di fronte al Museo Nazionale di Antropologia e Storia - c'erano già persone accampate aspettando l'inizio della marcia. La giovane considerò che doveva dirigersi alla ricerca di dette persone con oggetto di fornir loro indirizzi dove potrebbero trascorrere la notte al riparo. I Quattro Autentici Messicani la supplicarono di non andare. Il giorno dopo l'aspettava un pesante compito da compiere e conveniva che dormisse almeno alcune ore. Tre di loro si incamminerebbero immediatamente a proporzionare quanta orientazione risultasse utile ai prematuri manifestanti.

Regina finì per accettare la proposta e si ritirò a riposare. Don Miguel, don Rafael e don Uriel uscirono della casa e si addentrarono nel Bosco di Chapultepec. Un'anormale tensione prevaleva nell'ambiente. Né gli alberi, né gli uccelli e insetti che popolavano la foresta dormivano, tutti sembravano vegliare impazienti, aspettando l'arrivo del giorno che chissà segnerebbe l'inizio di un nuovo risveglio del Paese delle Aquile.

Senza supporre che andavano a contemplare l'insolito spettacolo che stavano per presenziare, i tre vaganti arrivarono con affrettato camminare al loro obiettivo. Infatti, proprio come le venisse comunicato a Regina, c'erano già persone aspettando l'inizio della manifestazione. Soltanto che non si trattava di alcune bensì di un incalcolabile numero. In tutto l'enorme spazio che anticamente fosse un campo di golf brillavano centinaia di piccoli falò. Intorno ad essi si stringevano gruppi di svariate dimensioni. L'abbigliamento dei suoi membri rivelava che appartenevano alle più diverse regioni del paese.

-Peccato che non sia venuto don Gabriel - disse don Rafael -, egli potrebbe dirci facilmente quante persone ci sono qui.

-Non possono essere meno di cinquantamila - concluse attonito don Uriel.

-Così deve essere stata la sera prima alla fondazione di Tenochtitlán - affermò don Miguel e dopo proseguì con voce rotta dall'emozione -: lo stesso luogo, lo stesso popolo, lo stesso sentimento di tutti di voler fare qualcosa di grande ed elevato. Come dobbiamo ringraziare Dio per averci permesso di vivere questi eventi.

Trascesa l'iniziale sorpresa aspettava un'altra ancora più grande agli Autentici Messicani. Ben presto notarono il profondo silenzio che regnava tra gli accampati. Sebbene molti si trovavano già dormendo, una considerabile parte rimaneva con gli occhi aperti; ma non si sentivano le solite canzoni né le usuali battute. Nessuno pronunciava una parola, come se per loro la Manifestazione del Silenzio avesse cominciato già.

Dato che era inutile ogni tentativo di proporzionare rifugio a così grande moltitudine, gli Autentici Messicani optarono per ritirarsi. Un nuovo contingente arrivava in quei momenti. Erano insegnanti, contadini e piccoli commercianti dello stato di Oaxaca, i quali avevano effettuato a piedi il percorso fino alla capitale. Don Rafael conosceva diversi membri di quel gruppo e li salutò con movimenti della mano, senza cercare di parlarli. Aveva colto i falò che rifulgevano nei loro occhi e sapeva molto bene che il fuoco che li generava solo si ottiene dopo diversi giorni di profondo silenzio.

-La cosa si fa più interessante - sentenziò in un mormorio l'Erede della Tradizione Zapoteca.