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Il Nome Sacro


Il telefono squillò prima dell'alba e Regina insisté nel rispondere personalmente tutte le chiamate. Per la maggior parte erano dell'entroterra del paese e le facevano persone che per diversi motivi non potrebbero assistere alla manifestazione. Alcune parlavano dai loro letti di malati. Altre erano state arrestate a causa della sua militanza a favore del Movimento ed attraverso qualche amico o parente chiedevano istruzioni sul comportamento che dovevano assumere quel giorno. Invariabilmente la Regina del Messico formulava la stessa raccomandazione che veniva facendo da molti giorni per casi simili. Tutti potevano essere presenti moralmente nella manifestazione. Dovevano restare in silenzio a partire dalle cinque del pomeriggio e prolungarlo come minimo tre ore. Il grande fragore del silenzio doveva sentirsi in tutta la nazione.

Insieme alle prime luci dell'alba cominciò nella casa della calle de Alumnos una continua sfilata di gruppi. Molti dei membri dei Centri di Messicanità passavano a salutare Regina prima di dirigersi verso il luogo di incontro di tutti i manifestanti. La Regina del Messico sapeva trovare per ogni persona il gesto o la parola più adeguata per esprimerle un speciale affetto.

Guidato dell'intenzione di prevenire che Regina dovesse ritornare a piedi a casa concludendo la manifestazione, don Uriel decise di portare la sua auto al centro della città e lasciarla parcheggiata non molto lontana dallo Zocalo. Abituato a percepire da bambino le mutevoli vibrazioni provenienti di case e palazzi, l'Erede della Tradizione Olmeca notò immediatamente la singolare tensione che predominava nel spirito di tutte le costruzioni. Era ovvio che non erano estranee alla speciale importanza di quel giorno. La città intera rivelava una coscienza vigile e in attesa. Dopo far girovagare per un bel po' la sua volkswagen, don Uriel sorrise nel osservare il nome di una strada e cercò in essa un posto per parcheggiare l'automobile; una volta fatto questo intraprese a piedi la via del ritorno.

Il traffico veicolare era quasi inesistente. Il servizio pubblico di trasporti era sospeso ed un grande numero di cittadini rimanevano rinchiusi nelle loro case pieni di paura. Ma in nessun modo era questo il sentimento predominante. Dappertutto si vedevano gruppi che si dirigevano verso Chapultepec con fermo e deciso camminare. Innumerabili visi portavano già le improvvisate maschere fatte con bendaggi e tessuto adesivo. La mancanza di voci umane cominciava a produrre un strano silenzio che si stava diffondendo sempre per zone sempre più ampie della capitale.

Don Uriel camminò lungo il viale Chapultepec. Si effettuavano in questo i lavori di quello che sarebbe la prima linea del "Metro" del Distretto Federale. Grandi buche, colline sterrate ed enormi mucchi di materiali da costruzione, davano al menzionato viale un singolare aspetto. Quel giorno nessuno lavorava nel cantiere. Avvicinandosi all'incrocio del viale Chapultepec con Avenida de los Insurgentes, don Uriel notò che si erano concentrati su quel posto un gran numero di muratori che lavoravano nella costruzione della metropolitana. Li aveva visti da lontano per i suoi particolari caschi di colore giallo. Si trattava di operatori che provenivano dai settori più umili della popolazione e che venivano realizzando un ammirabile sforzo per portare a termine un'opera davvero difficile, date le problematiche caratteristiche del sottosuolo della capitale.

La concentrazione di muratori era perché questi effettuavano un'assemblea per decidere se partecipare o non alla manifestazione. Don Uriel si fermò ad ascoltare quello che diceva il lavoratore che in quei momenti faceva uso della parola. Manifestava un criterio opposto alla partecipazione alla marcia. Le sue ragioni erano che il governo prenderebbe rappresaglie contro coloro che in essa partecipassero. Potrebbe benissimo succedere che li licenziassero del loro lavoro.

Molti di coloro che partecipavano all'assemblea riconobbero don Uriel. Erano muratori che avevano lavorato con lui in alcuna delle opere che realizzasse come architetto. Attraverso il suo trattamento ad un stesso tempo generoso e severo, l'Erede della Tradizione Olmeca si era guadagnato sempre il rispetto ed affetto dei suoi lavoratori. I muratori insisterono che esprimesse il suo parere sulla questione che dibattevano e don Uriel salì alla pila di tavole che faceva le volte di palco.

Chi avesse la minima paura di partecipare alla manifestazione era meglio che non andasse - espresse l'architetto con forte accento -. Ma coloro che sentivano che non bastava lavorare facendo case, edifici e tunnel sotterranei, ma bisognava anche costruire un paese migliore per i loro figli e i loro nipoti, questi sì dovevano andare, perché quella marcia era la sua grande occasione di poter fare qualcosa a beneficio da tutti i suoi discendenti.

Non fu necessario effettuare nessuna votazione quando don Uriel finì di parlare. Senza pronunciare parola, come un solo uomo, coloro che costruivano la prima linea del Metro si misero in moto. I loro caschi e la loro manifestamente unificata volontà li faceva sembrare un esercito dirigendosi al combattimento.

Affrettando il passo, don Uriel presto tornò alla casa dove viveva. In questa proseguiva la sfilata di gruppi e più gruppi che dopo aver salutato Regina intraprendevano la camminata fino a dove si trovava la scultura di Tlaloc, luogo in cui si riunivano tutti i membri dei Centri di Messicanità.

All'una del pomeriggio la Regina del Messico smise di rispondere chiamate telefoniche e di occuparsi di chi arrivavano. Regina e i Quattro Autentici Messicani si rinchiusero a pregare e rimasero invocando l'aiuto divino per tre ore. Le sue preghiere non furono espresse a voce alta, bensì formulate in profondo silenzio.

Alle quattro del pomeriggio Regina, i Quattro Autentici Messicani e Il Testimone, si incamminarono al Bosco di Chapultepec. In questa occasione il Segreto Guardiano del Bosco non li attendeva nei Bagni di Moctezuma, ma era uscito a riceverli fino all'ingresso dove si trovano le bancarelle di fiori. Il motivo del cambiamento era informarli che dall'alba El Sargento aveva ordinato tutti gli abitanti della foresta che stessero in silenzio. Perciò - affermò il Guardiano - faceva già ore che in Chapultepec non si sentiva il mormorio di una foglia o il vibrare di un'ala. Molto presto la Regina del Messico e i suoi accompagnatori poterono comprovare che non c'era esagerazione alcuna in quelle parole. L'ordine data dall'Anziano Guerriero del Bosco veniva rispettata alla lettera. Chapultepec si era trasformata in un mondo a parte dove il suono sembrava non esistere.

Nuovamente fu rispettato l'obbligo di purificare visi, mani e piedi, nel piccolo getto di acqua che sgorgava dell'antica fonte. Allo stesso modo si procedé a presentare - ora in modo silenzioso - la richiesta di oltrepassare la invisibile e sacra porta. El Sargento la concedé gustoso e senza necessità di emettere il minimo sussurro. Regina percepiva chiaramente come derivavano dal millenario ahuehuete le inaudibili vibrazioni con cui questo esprimeva non solo il suo consenso affinché attraversasse la porta, ma anche i suoi migliori auguri affinché la Regina del Messico riuscisse a portare a felice termine il suo trascendentale scopo.

Avvicinandosi al luogo della riunione notarono il diverso silenzio che regnava in questo. Il silenzio del bosco foresta e quello dell'immensa moltitudine riunita di fronte al museo si completavano senza mescolarsi, come due anti-note di una silenziosa sinfonia. L'elevatissimo numero di persone congregate risultava incredibile. Don Gabriel calcolò mentalmente che dovevano essere circa settecentomila. Mai nella storia del Messico si era dato il caso di una manifestazione di tali proporzioni.

Prima che la marcia desse inizio aveva raggiunto già un'importante vittoria. I provocatori inviati per il governo avevano fatto la loro comparsa dalle dieci del mattino. Da soli o in piccoli gruppi cominciarono a ripartire volantini nei quali si incitava a proferire insulti contro le autorità. Chi leggevano i volantini procedevano a distruggerli senza fare il minore caso di quanto in questi si consigliava. Alla luce del loro fallimento, i provocatori tentarono di rompere il crescente silenzio proferendo grida ed insulti. Ignoravano la poderosa coesione che genera il silenzio. I suoi isolati urli e insulti presto si spensero. Erano come le fiamme cercando di bruciare un spazio senza ossigeno. Dalle dodici qualsiasi tentativo di voce umana per esprimersi si vide soffocato per lo schiacciante peso di un silenzio la cui solidità risultava tangibile. Momentaneamente vinti i provocatori si ritirarono, incamminandosi fino alla rotonda ubicata nell'incrocio di Paseo de la Reforma e avenida Río Mississipi. Lì si trovavano i centinaia di delinquenti assunti per ingiuriare ed aggredire i manifestanti. I provocatori fecero fronte comune con loro, condividendo lo stesso proposito di intercettare in quel posto l'avanzata del silenzio.

Era arrivata l'ora - cinque del pomeriggio - di dare inizio alla manifestazione. Nessuno si mosse per iniziarla. Anche se si erano indicato con grande anticipo quali sarebbero i contingenti che dovevano guidare la marcia, questi rimanevano inchiodati nel suolo, come se stessero aspettando qualcosa. La spiegazione della loro apparentemente strana condotta era in realtà facile da capire. Come risultato dell'efficace esercizio del silenzio, i manifestanti avevano raggiunto la lucidità di coscienza necessaria per intuire che, in un atto della trascendentale importanza come quello che andavano a tentare, potevano essere solo guidati da un essere veramente eccezionale, e pertanto, non desideravano dare inizio alla marcia finché detto essere non apparisse.

Assumendo pienamente la sua responsabilità come Regina del Messico, Regina iniziò l'avanzata. La Manifestazione del Silenzio aveva iniziato, nessuno di quanti presero parte in essa potrebbero dimenticarla mai. La frase "Io ero nella Manifestazione del Silenzio" riempirebbe di giustificato orgoglio a chi la pronunciavano molti anni dopo successo l'evento. La moneta che deciderebbe il destino della nazione era nell'aria.

La trasformazione di settecentomila individui in una poderosa e unificata volontà si raggiunse dall'inizio stesso della marcia. Uscendo dal bosco ed arrivando alla fontana della Diana Cazadora era già un solo essere che avanzava con incrollabile determinazione verso il raggiungimento della sua meta. Regina alzò le mani per richiamare l'attenzione e subito dopo iniziò un passo ritmico, cadenzato e marziale. I Quattro Autentici Messicani adattarono immediatamente suo camminare a quello di Regina. Altrettanto fecero i membri dei Centri di Messicanità. Come una sorta di onda che incorpora al suo proprio movimento una grande porzione di acqua in brevi istanti, la singolare cadenza nella marcia avviata dalla Regina del Messico fu estendendosi rapidamente fino ad abbracciare a tutti i contingenti. Con un camminare esattamente uguale avevano avanzato secoli fa per quella stessa rotta i Caballeros Águilas. In altre parti del pianeta rotte altrettanto sacre sono state percorse, con lo stesso ritmo, per quegli esseri che in epoche molto diverse hanno meritato il nome di autentici guerrieri. Le moderne marce degli attuali eserciti non sono altro che falliti tentativi di raggiungere un proposito pienamente riuscito dai possenti guerrieri di altri tempi: stabilire l'ordine e l'armonia con il suo semplice camminare.

Nell'angolo di Reforma e Mississipi delinquenti e provocatori si apprestavano a fermare il silenzio. Nervosi e impazienti avevano deciso di utilizzare l'aggressione diretta e prescindere degli insulti. Formati in barriera nel Paseo de la Reforma aspettavano il prossimo arrivo dei manifestanti. Nelle mani della maggior parte rilucevano lame e coltelli. Con ironico accento lo sgarbato soggetto che li comandava espresse:

-Vediamo se non dicono "ahia" quando li infilzeremo i ferretti.

Regina osservò l'inaspettato ostacolo che si frapponeva alla loro avanzata. La distanza che separava la barriera umana dall'avamposto dei manifestanti diminuiva sempre più. Sollevando la mano con cui afferrava il suo lungo coltello, un soggetto di sinistre fazioni si preparò per dare il segnale di attacco. Non arrivò a farlo. La Regina del Messico fu più veloce. Con la stessa forza e precisione con cui un destro lanciatore lancia un pugnale, la mano destra di Regina si proiettò in avanti formando un simbolo con le dita. Era la "V" di "Vinceremo." La formulazione di quel segno non costituì in quei momenti la semplice espressione di un desiderio, bensì la concretizzazione, in un solo gesto, dell'incrollabile decisione di trionfare che incoraggiava sia alla Sovrana come al paese del Messico. E il segno si trasformò in energia. Una forza misteriosa e irresistibile si abbatté su delinquenti e provocatori. La barriera si sbarazzò. I suoi membri si dispersero posseduti dal panico. Non tutti si allontanarono correndo. Alcuni, pochissimi, presentirono che quell'istante poteva significare un'inaspettata opportunità di trasformare le loro vite. Storditi, contemplavano la figura della bella Hostess che con un solo movimento delle sue dita aveva rovinato i suoi aggressivi propositi. La giovane sembrò indovinare la commozione che scuoteva le loro anime e con gentili gesti indicò loro di integrarsi alla colonna. Così lo fecero, apportando a questa il suo pentito silenzio.

Raggiungendo il Monumento dell'Indipendenza, Regina ebbe la certezza che la battaglia del silenzio era stata vinta. Un invisibile ma poderoso rinforzo sosteneva ora il mutismo dei manifestanti. Il paese intero stava entrando in un profondo stato di silenzio. Di nord a sud e di est ad ovest, lo stesso nelle grandi città che nelle piccole baracche, innumerevoli esseri umani erano in silenzio. Malati che giacevano doloranti nei loro letti, operai nelle fabbriche ed officine, casalinghe nelle loro case, contadini accanto ai solchi, carcerati reclusi nelle loro celle, impiegati lavorando in uffici, tutti coloro che desideravano aderirsi moralmente alla marcia, che in quei momenti aveva luogo nella città del Messico, mantenevano un silenzio totale e assoluto.

Ognuno dei gazebo situati nel Paseo de la Reforma costituisce il segno manifesto di una chiave relativa al ritmo di marcia che occorre adottare percorrendo la rotta sacra che porta di Chapultepec allo Zocalo. Regina variava lievemente la cadenza dei suoi passi attraversando di fronte ad ognuno dei gazebo. A volte l'accelerava leggermente e in altri la rendeva un po' più lenta e solenne. L'interminabile colonna di manifestanti, immenso essere di unificata e silenziosa consapevolezza, continuava ad aggiustare ugualmente i suoi passi al ritmo adottato dalla Regina del Messico. L'ultima parte del tragitto - le strade del viale Cinco de Mayo - fu percorsa da un camminare marcatamente cerimonioso. Si trovava già nelle prossimità dell'altare dove culminerebbe il rituale del quale dipendeva il recupero della coscienza nazionale.

Arrivando allo Zocalo, Regina si fermò per un attimo. Il suo viso - e in generale tutto il suo organismo - soffrì una subitanea trasformazione. Il marziale aspetto che caratterizzasse la sua figura durante tutto il percorso si trasformò all'improvviso in un mistico atteggiamento che si manifestava in ognuno dei suoi tratti e movimenti. Infatti ora non era soltanto la Regina del Messico, ma la Suprema Sacerdotessa della sua nazione. La sua snella sagoma somigliava una vivente rappresentazione delle stilizzate figure dei códices.

Riprendendo il suo avanzamento Regina arrivò fino al centro della piazza e cominciò ad eseguire, con perfetta sincronizzazione, una serie di movimenti che integravano un complesso cerimoniale diviso in quattro tappe - una per ciascuna delle rotte dell'Universo -. Finalmente si inginocchiò giusto sotto l'enorme asta portabandiera, e chiudendo gli occhi, adottò un atteggiamento che rifletteva il più profondo stato di concentrazione. I Quattro Autentici Messicani si situarono in piedi accanto a lei, ognuno girato verso un diverso punto cardinale.

Il Zocalo cominciò a riempirsi di silenzio. Contingente dopo contingente continuava ad arrivare alla piazza portando con sé l'accesa emozione e sveglia coscienza di ognuno dei suoi membri. Il ritmo unificato di migliaia di passi, avanzando verso un stesso punto, era l'unico suono che registravano i registratori governativi posizionati in diversi posti. Il silenzio dei manifestanti non era già una semplice mancanza di voci, bensì qualcosa di molto più profondo. Era la piena realizzazione di una prodezza che se è difficile di raggiungere individualmente, lo è ancora molto di più di raggiungere collettivamente: la conquista del silenzio interno, l'unico che permette all'essere umano di stabilire comunicazione con sé stesso e con il suo Creatore.

Durante poco più di due ore la sfilata proseguì ininterrottamente. La piazza fu colmandosi sempre di più fino a rimanere del tutto affollata. Il silenzio depositato in essa costituiva una percettibile energia di indescrivibile potere. Le multiple condizioni richieste per il culmine del rituale erano state strettamente compiute. Dopo di procedere alla pulizia tanto della rotta che conduceva all'altare come l'altare stesso, si erano fatti risuonare le metalliche voci del passato che richiamavano la gestazione di un nuovo e glorioso presente. Mancava soltanto pronunciare il Nome Sacro. 

A colpi del passato il presente si sentirà 
ma solo nel silenzio la sua voce si ascolterà. 

Forte, vibrante, commovente, con tutto l'irresistibile potere che rivelano le forze cosmiche manifestandosi attraverso un suono, la voce della Suprema Sacerdotessa e Regina del Messico si lasciò sentire, pronunciando per tre volte una stessa parola:

-ME-XIHC-CO! ME-XIHC-CO! ME-XICH-CO!

La reazione fu immediata. Tutti i presenti ebbero all'unisono l'intuitiva comprensione che qualcosa superiore era nato; che un cambiamento trascendentale e positivo si era operato nell'anima stessa della nazione. Si trattava di un fatto inspiegabile e misterioso, ma che presentivano estremamente fortunato. Una scossa di giubilo scosse la moltitudine. Esplose la festa.

Regina cercò di alzarsi senza riuscirci, era felice ma completamente esausta. Quattro amichevoli mani l'issarono subito. Altrettanto emozionati e felici, ognuno degli Autentici Messicani fu abbracciando la giovane, colmandola di affettuose parole in nahuatl, maya, zapoteco e spagnolo. Regina sorrideva irradiando attraverso tutto il suo essere onde di gioia.

Il Zócalo era ora un immenso deposito di chiassoso entusiasmo. La moltitudine aveva indovinato, senza necessità che nessuno glielo dicesse che non era più necessario restare in silenzio. Migliaia di bavagli venivano strappati dei visi e gettati in aria. Canti, grida di euforia e incessanti evviva a Messico scoppiettavano lo spazio. Possedute di incontrollabile emozione molte persone ridevano e piangevano contemporaneamente. Quella che attimi prima era una silenziosa piazza si trasformò in una gigantesca festa popolare dove regnava la più indescrivibile gioia.

Facendosi largo faticosamente attraverso l'allegra moltitudine, Regina e i suoi accompagnatori si allontanarono dallo Zocalo. Dopo aver camminato cinque isolati arrivarono fino al posto dove don Uriel aveva lasciato parcheggiato la sua automobile al mattino. Prima di salire in questa, l'Erede della Tradizione Olmeca segnalò la placca metallica che indicava il nome della strada e dirigendosi a Regina affermò con marcato accento umoristico:

-Come un ricordo di questa sera e come un meritato omaggio alla sua persona, le autorità della città abbiamo deciso dare il suo nome a questa strada.

La Regina del Messico lesse quanto inciso nella placca collocata nella parete, e in effetti in essa diceva che quella strada portava per nome "Regina." Con simulata solennità, la giovane rispose:

-Sono molto grata per così elevato onore.

Proveniente dello Zocalo arrivò fino a loro il canto dell'Inno Nazionale intonato per più di settecentomila voci. C'era in ognuna delle sue frasi un sconosciuto fervore e un evidente sentimento di ferma speranza nel futuro del paese.