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La Festa della Vittoria


La stanchezza di Regina era enorme. Il sabato 14 settembre dormì per quasi tutto il giorno. Si svegliò all'imbrunire e salutò la maggior parte dei transitori abitanti della casa della calle Alumnos. Sebbene i Guardiani della Tradizione rimarrebbero accanto alla Regina del Messico, avevano deciso che le loro rispettive famiglie dovevano ritornare ai loro luoghi di origine. Conclusi gli addii Regina tornò a dormire e non si svegliò fino a mattinata inoltrata della domenica. Si alzò interamente rinnovata e mettendo in mostra un'allegria ancora più alta del solito. I suoi amici l'informarono rispetto alle numerose chiamate ricevute esprimendo identica domanda: la presenza dell'Hostess nella "Notte Messicana" che con motivo delle fiestas patrias, si porterebbe a termine in Città Universitaria quella stessa domenica.

-Andremo molto volentieri - disse Regina -. Sarà "La Festa della Vittoria."

I lampi scintillavano in lontananza e il rombante botto dei tuoni arrivava a Città Universitaria attenuato per la distanza. In quasi tutto il Distretto Federale pioveva abbondantemente. Nonostante, ciò non succedeva nella vasta pietraia di lava vulcanica dove si trovano ubicate le principali strutture universitarie.

La "Notte Messicana" organizzata dagli studenti aveva cominciato dall'imbrunire. Migliaia di persone delle più diverse parti della città erano venute alla celebrazione e godevano di un ambiente nel quale regnava una grande esultanza. Si vendeva tutta la vasta gamma di prodotti propri di quel tipo di festeggiamenti, da tamales ed enchiladas fino a coriandoli, stelle filanti ed enormi cappelli "zapatistas." C'erano numerosi gruppi musicali: mariachi, estudiantinas e trii che cantavano bolero. Era un'autentica festa popolare nel più completo senso che può essere dato a questo termine.

La Regina del Messico e i suoi accompagnatori arrivarono dopo le sette e si incorporarono immediatamente alla baldoria. La maggior parte dei membri dei Centri di Messicanità erano presenti e desideravano testimoniare il loro affetto verso Regina; ben presto le risultò impossibile a questa ingerire l'interminabile quantità di cibi che le regalavano. Sempre sorridente e scherzosa, passava di gruppo in gruppo, avendo come di solito gesti e parole cordiali per tutti. Fra la numerosa affluenza si trovavano alcuni dei dirigenti del Consiglio Nazionale di Sciopero. I nomi e le figure di due di loro gli furono indicati a Regina.

Seduto in una sedia a rotelle che nascondeva la sua notevole altezza, un giovane di fazioni angolose prendeva una tazza di cioccolata. "È Marcelino Perelló" - dissero a Regina -. "È uno dei leader studenteschi più intelligente, possiede una capacità di analisi veramente impressionante; ma è un po' vedette, adora essere ammirato."

- Perché sta in una sedia a rotelle? -domandò l'Hostess -.

-"Sembra che un treno lo investì", gli risposero.

Un giovane di acceso sguardo e forte parvenza mangiava tacos senza smettere di parlare ad un gruppo di studenti che lo ascoltavano con evidente rispetto. "È Raúl Álvarez Garín" - informarono Regina -. "È un altro dei più importanti dirigenti del Consiglio. Ha una volontà indomabile e non si lascia intimidire davanti a nulla. È molto ostinato e non è facile farlo cambiare idea."

Allo scoccare delle undici di sera si diede rigorosa osservanza a "La Cerimonia del Grido." L'ingegnere Heberto Castillo, ancora non pienamente recuperato del feroce pestaggio che gli infliggessero ufficiali giudiziari, proferì con forte voce le tradizionali acclamazioni agli eroi dell'Indipendenza e al Messico. Concludendo la breve ma molto commovente cerimonia, l'ingegnere dichiarò davanti ad uno dei pochi giornalisti presenti:

-La celebrazione di questa data afferma il carattere nazionale del Movimento. Questo ha restituito il suo vero carattere ai concetti di Patria, Popolo, Libertà e Uomo.

Conclusa la cerimonia in Città Universitaria, Regina disse:

-C'è qui vicino nelle pietraie un centro di energia, un "nadi" della Terra, credo che sia il posto adeguato per dichiarare formalmente finito il Movimento.

Il luogo menzionato da Regina era posizionato a circa un chilometro da dove si era celebrata la "Notte Messicana." Coloro che avevano automobile furono portando i restanti membri dei Centri di Messicanità che erano privi di detto mezzo di locomozione. Il luogo in questione non si trovava sul ciglio della strada, bensì a poche centinaia di metri all'interno di quella zona pietrosa. Era in realtà un posto impressionante per la nuda forza che rivelava. Sembrava che quando la lava ancora era incandescente, avesse formato una sorta di vortice all'impulso di una potente energia. I Quattro Autentici Messicani percepivano chiaramente le speciali vibrazioni che venivano emesse da quella zona.

-Fino gli storiografi ufficiali sanno che qui sotto questa lava ci sono i resti di una delle civiltà più antiche del Messico - disse don Uriel.

Circa un migliaio di persone si erano radunate in quel singolare sito. La notte era davvero buia, illuminata soltanto dagli incessanti lampi. Continuava a piovere in modo torrenziale in gran parte dell'area metropolitana, ma l'acqua ancora non cadeva nella zona sud della città.

Più bella e radiosa che mai, con la sua lunga chioma ondeggiando a causa del forte vento, Regina parlò ampiamente, utilizzando un piccolo altoparlante che le fornisse uno degli assistenti. Il Movimento che aveva come proposito iniziare il risveglio del Messico aveva concluso con successo - esclamò giubilante -. Questo era stato possibile grazie alla collaborazione generosa e decisa del popolo. Perciò - affermò la Regina del Messico con parole che sprizzavano emozione -, voleva rendere palese la sua profonda gratitudine a tutti coloro che avevano preso parte a detto Movimento.

Alcune gocce di pioggia cominciarono a cadere e tuoni sempre più vicini sembravano voler sottolineare con il loro frastuono le affermazioni di Regina. L'Hostess del '68 proseguì parlando: anche se a partire dal 13 settembre il compito di riuscire che il Messico recuperasse pienamente la consapevolezza corrispondeva principalmente al Popocatépetl e l'Iztaccíhuatl, gli esseri umani potevano collaborare per fare che questo lavoro si realizzasse con maggiore rapidità. Per ciò era necessario che ognuno trovasse il modo di raggiungere un'elevata spiritualità e di sacralizzare al massimo la sua esistenza.

Le gocce di pioggia cadevano in crescente numero, minacciando di trasformarsi in denso acquazzone. Regina si vide costretta a cambiare momentaneamente auditorium. Con voce severa rimproverò alle nuvole la sua impertinenza, ordinando loro di rimanere inattive per tutta la durata della riunione. Il pioggia smise di cadere e la Regina del Messico proseguì la sua allocuzione. Considerava che i Giochi Olimpici, prossimi ad effettuarsi nella città del Messico, costituivano una magnifica opportunità per iniziare a recuperare la corretta pronuncia del nome sacro del paese. Si trattava di un lavoro che aveva bisogno di essere effettuato per tappe, perché non conveniva favorire un improvviso ritorno all'adeguata enunciazione di detto nome finché non venisse elevato il livello di consapevolezza della maggior parte della popolazione. Tuttavia, si poteva benissimo cercare di fare un primo passo, consistente in accentuare e separare un po' le sillabe che integrano la parola sacra, la quale, pronunciata in quel modo, potrebbe essere insistentemente ripetuta dal pubblico assistente agli eventi sportivi delle Olimpiadi. Dopo di affermare quanto precede, Regina esemplificò a viva voce quello che voleva far capire. Un migliaio di voci si unirono alla sua. Nel cosmico paesaggio di rocce vulcaniche che nascondevano una millenaria eredità, rimase risuonando parecchio momento una sola parola:

-Me-xi-co! Me-xi-co! Me-xi-co!
Mentre in Città Universitaria aveva luogo la "Notte Messicana" organizzata dagli studenti, nel centro della capitale si teneva la tradizionale celebrazione a cui si recano annualmente innumerevoli persone e che culmina con "La Cerimonia del Grido." In questa occasione, le autorità avevano seri timori che l'assistenza risultasse molto inferiore alla solita, come una ulteriore dimostrazione del dispiacere del popolo verso le autorità. Man mano che avanzava la serata, le paure ufficiali si furono dissipando. Malgrado piovesse abbondantemente il popolo riempiva le strade e davano prova di un genuino entusiasmo. Molto prima dell'ora del "Grido", il Zocalo era già affollato alla sua massima capacità.

In realtà "La cerimonia del grido" è molto più di una semplice cerimonia commemorativa dell'inizio della Guerra di Indipendenza. La verità dei fatti è che questa cerimonia costituisce un innegabile ed autentico rituale. Ogni anno, arrivando la sera del 15 settembre, in tutta la Repubblica Messicana come in numerosi luoghi all'estero dove dimorano o transitano messicani, si ricostruisce di nuovo il fatto con il quale Don Miguel Hidalgo y Costilla desse inizio alla lotta libertaria all'alba del 16 settembre 1810. Il rituale è sorprendentemente semplice ed enormemente potente. Nella capitale del paese - punto centrale nella celebrazione di detto rituale - il presidente di turno viene fuori ad un balcone dal Palazzo Nazionale e, dopo acclamare agli eroi dell'Indipendenza, acclama per tre volte consecutive al Messico. Poi fa suonare ripetutamente la stessa campana che fece suonare il padre Hidalgo la sera in cui convocasse al popolo ad iniziare lo scontro. Le centinaia di migliaia di persone che riempiono il Zocalo rispondono vivamente alle acclamazioni. Milioni di esseri seguono lo sviluppo della cerimonia attraverso gli schermi televisivi e stazioni radio. In tutte le popolazioni del paese, sia nelle capitale degli stati come nelle umili baracche, viene eseguito identico rituale. La stessa cosa succede nelle ambasciate e consolati messicani. Questi si riuniscono quella sera e praticano, riverenti e nostalgici, il tradizionale rito.

Naturalmente la campana con il cui rintocco si diede inizio alla Guerra dell'Indipendenza non è una campana ordinaria. La sua elaborazione ci volle più di un secolo agli alchimisti della Nuova Spagna, i quali sapevano molto bene quello che stavano facendo: costruire un strumento con il quale si potrebbe risvegliare, qualche giorno, le addormentate coscienze degli abitanti della nazione. Tenendo conto della sacralità di tale strumento, una valutazione superficiale potrebbe portare alla conclusione che rappresenta un sacrilegio il fatto che sia toccato da soggetti che - tranne pochissime eccezioni - costituiscono l'antitesi dei valori nazionali. Fortunatamente non è questo il caso. Così come succede con altri rituali particolarmente potenti che prelevano la loro forza da se stessi, "La cerimonia del grido" produce i suoi trascendentali effetti a prescindere della dignità o indegnità della persona che la presiede. La migliore prova della veracità di questa asserzione la costituisce l'annuale rinnovazione della sua identità nazionale che questo rituale propizia in milioni di esseri.

Scrutando attraverso una delle finestre del Palazzo, il lic. Díaz Ordaz osservava, piacevolmente compiaciuto, la chiassosa moltitudine che si stringeva nella Piazza della Costituzione. Tutto sembrava indicare che la festività popolare si sviluppava senza che si producessero sintomi di ostilità contro il governo. Mancavano soltanto pochi minuti per le undici di sera e il primo mandatario si preparò a dare inizio alla cerimonia.

Illuminata per i riflettori, apparve nel balcone centrale di Palazzo la figura del presidente. Davanti alla sua presenza l'immensa moltitudine reagì subito unificata per un stesso sentimento. Una fischiata assordante inondò lo spazio e per alcuni secondi s'intrufolò tramite i recettori di radio e televisione. I tecnici in comunicazione interruppero la trasmissione del suono, lasciando sugli schermi televisivi l'immagine di un soggetto alterato dalla rabbia e lo stupore. Il lic. Díaz Ordaz riuscì a reagire e diede inizio la cerimonia, ma la sua voce appena si sentiva nella piazza a causa della fischiata. Senza necessità di intermediario il popolo acclamava, con maggiore fervore che mai, al loro paese e i loro eroi. Solo restava al primo mandatario la risorsa di suonare la campana e la fece suonare. Rispettosa, la moltitudine rimase in silenzio mentre suonava il sacro strumento.

Il lic. Díaz Ordaz lasciò il balcone centrale del Palazzo Nazionale. Nessun presidente era mai stato oggetto di così evidente rifiuto del suo popolo.
Una volta conclusa la prima prova collettiva di recupero della corretta pronuncia del nome del Paese delle Aquile, Regina salutò personalmente ognuno degli assistenti alla riunione, ribadendogli la sua profonda gratitudine per la collaborazione prestata al Movimento.

Un giovane scultore si presentò davanti don Uriel per partecipargli il progetto che aveva appena concepito. Desiderava realizzare un monumento che avrebbe un doppio scopo: commemorare quella riunione e conservare l'esatta memoria del posto dove questa aveva avuto luogo. Il progetto di detto monumento era in realtà singolare, perché non porterebbe nessuna figura ma sarebbe costituito esclusivamente da un spazio vuoto, cioè, si cercherebbe il modo di incorniciare il posto dove la riunione aveva avuto luogo, ma senza modificare in alcun modo il pietroso paesaggio, lasciando che risaltasse l'estranea bellezza di quella lava modellata sotto l'impulso di una misteriosa energia.

Don Uriel manifestò il suo pieno accordo con il progetto che gli era presentato ed apportò alcune idee per la sua realizzazione. Finalmente sottolineò la convenienza che il monumento si eseguisse rispettando le norme che avevano guidato sempre agli artisti olmechi: monumentalità e perfetta simmetria nella realizzazione esterna, elevata spiritualità nell'anima dell'artista.1

1. Il progetto dell'originale monumento si portò a termine; si denomina "Espacio Escultórico" e si trova a scarsa distanza della sala concerti Nezahualcóyotl.

Dopo aver stretto le ultime mani Regina salì sulla opel olimpico del Testimone. L'accompagnavano il proprietario della vettura e i Quattro Autentici Messicani. Non ritornarono alla casa della calle Alumnos. La padrona di casa era ritornata il giorno prima dalla sua altra dimora, ubicata nell'Aldea de los Reyes. La Regina del Messico desiderava parlare quanto prima con il Popocatépetl e l'Iztaccíhuatl e stimò che il posto più adeguato a tal fine era la casa dove era nata, situata ai piedi dei vulcani. Per tanto, l'auto si diresse fuori città verso l'autostrada a Puebla.

Mentre il veicolo si muoveva tra le ombre della notte attraverso una autostrada quasi deserta, Regina parlava animatamente sulle sue prossime attività e futuri piani. Una volta effettuata la vulcanica intervista, ritornerebbe a Città del Messico a svolgere il suo lavoro di hostess, il quale comincerebbe il 17 settembre e concluderebbe a fine ottobre. Dopo di che si dedicherebbe a viaggiare molto in lungo e in largo su tutto il territorio nazionale. Desiderava conoscere fino all'ultimo angolo del paese, non solo perché sentiva un pressante desiderio di farlo, ma perché ciò le permetterebbe di collaborare più efficacemente con la coppia di vulcani nel compito di raggiungere il pieno risveglio del Messico.

Lasciando l'autostrada che conduce a Puebla, l'automobile prese la deviazione per Cuautla. Attraversò veloce da Chalco e Tlalmanaco e proseguì come se andasse ad Amecameca. Tre chilometri prima di raggiungere questa popolazione girò a sinistra e percorse una breve distanza su un sentiero sterrato. Erano già nella Aldea de los Reyes. Una bianca cappella coloniale risaltava nell'oscurità. Discesero dall'auto davanti ad una casa di mattoni rossi e tegole dello stesso colore. Attraversando il cancello ed entrando nel terreno situato fronte alla casa, ascoltarono un forte ronzio e si videro all'improvviso avvolti per un sciame di api che svolazzavano veloci. Ben presto si resero conto che l'atteggiamento degli insetti non era aggressivo. Regina ascoltò attentamente gli incessanti ronzii e dopo commentò:

-Dicono che mi stavano aspettando. Sono discendenti di un nido d'ape che fu loro regalato ai miei genitori il giorno in cui sono nata.

Sorridendo affabilmente la Regina del Messico ringraziò le api il ricevimento e chiese loro di andare a dormire. Il sestetto entrò nella casa, non c'era luce elettrica e accesero alcune candele e il camino.

Ebbe inizio l'ultima tappa di una discussione iniziata ore fa. Regina voleva che la lasciassero da sola, perché così era come desiderava godere la sua conversazione con i vulcani. I suoi accompagnatori erano riluttanti a farlo, ma finalmente accettarono e si ritirarono mettendosi d'accordo per ritornare all'imbrunire del nuovo giorno per portare Regina di ritorno nella capitale.

Mancavano due ore al sorgere del sole. Regina decise di non addormentarsi ma di attendere l'alba. Seduta di fronte ad una finestra che le permetteva di osservare i contorni delle, in quel momento, nere sagome dei vulcani, si mise a cantare percorrendo il suo variegato ed internazionale repertorio di lettere musicali. Nel firmamento scintillavano innumerevoli stelle.

La chiarezza fu spostando le tenebre. Un cielo luminoso annunciava una soleggiata mattina. Con i suoi corpi quasi integramente coperti di neve, le maestose figure dei vulcani dominavano il paesaggio. Il momento tanto atteso dalla Regina del Messico era arrivato. Regina si alzò e dalla sua finestra salutò con entrambe le mani alla più antica e potente coppia del paese. Mentalmente inviò un'affettuosa salutazione al Popocatépetl. Chiara e vigorosa percepì subito la risposta altrettanto mentale del colosso. Il vulcano era perfettamente sveglio e pronto per l'azione. Traboccante di felicità, Regina inviò un telepatico saluto all'Iztaccíhuatl. Non ricevé risposta alcuna. Tentò più e più volte la comunicazione, ottenendo identici risultati. La montagna, conosciuta popolarmente con il soprannome di "La Donna Addormentata", sembrava ostinata in lasciar vedere la giustezza del suo appellativo.

Preda di una crescente angoscia Regina cominciò a gridare con tutte le sue forze. Utilizzando alternativamente il nahuatl e lo spagnolo, stette per lungo tempo sollecitando al femminile vulcano di sospendere il suo millenario sonno. A volte la sua voce suonava adirata e altre supplicante. Tutto fu inutile. Era ovvio che la volcana era profondamente addormentata.

La comprensione del suo fallimento risultò troppo per il, fino ad allora, indomabile spirito di Regina. Un soffocato singhiozzo paralizzò la sua gola. Il suo bruno volto si contrasse in una smorfia che denotava un'intensa sofferenza e le sue azzurre pupille si trasformarono in pozzi di insondabile disperazione. Come se avesse ricevuto una mazzata il suo corpo barcollò e finì per crollare.

Incosciente, solitaria e vinta, la Regina del Messico giaceva prostrata sul pavimento di una piccola casa nella Aldea de los Reyes.